«Il freddo, che filtra dalle fessure delle baracche, mi resterà dentro per sempre, è ciò che non potrò dimenticare. Ero ben coperta eppure non riuscivo a difendermi: ho pensato alle casacche a righe di tela, larghe addosso ai prigionieri, e ho pensato che sarebbe bastato quello a distruggere persone. Ed era solo l’inizio». A raccontare è Maria Giorgi, 19 anni, studentessa di liceo a Viareggio. È stata ad Auschwitz, gli ultimi giorni del 2014. Lì ha ritrovato sulla pelle le cose lette e ci è rimasta male, malissimo «Quando la guida ci ha detto che se fossimo stati belgi o francesi ci avrebbe portato a visitare la parte di museo che riguardava il Belgio o la Francia e che invece, in quanto italiani, non avrebbe potuto farci visitare il block 21, sede della parte italiana del museo, perché il Governo italiano l’ha chiuso quattro anni fa. Ho notato – racconta con rammarico – che sembrava farcelo pesare e mi sono detta che – in un momento così difficile per il mondo in cui istanze di odio razziale possono tornare – questa “dimenticanza” non ce la possiamo permettere. Perché, come ho letto da qualche parte, chi non impara dagli errori della storia è destinato a ripeterla».
In realtà la storia che hanno raccontato a Maria non è tutta la storia del Memoriale segregato nel block 21, ma una sua versione molto parziale. Il Memoriale è un’opera d’arte e architettura inaugurata nel 1980 e concepita da ex deportati tra cui Lodovico Belgiojoso e Mario Samonà per il progetto artistico. Primo Levi ha scritto il testo che all'opera dà voce. Oggi il memoriale è sotto sfratto e l’Associazione ex deportati, cui l’opera appartiene, racconta sulla vicenda un punto di vista assai diverso: «La parte italiana - spiegano - è stata chiusa d’imperio con una decisione unilaterale dalla direzione del museo». Per divergenze, per così dire, di filosofia: ritengono che un'opera di quel tipo - artistica e figlia del tempo - gli anni Settanta - in cui è stata concepita, non sia compatibile con l'approccio didascalico che hanno inteso dare al museo.
Indipendentemente dalle ragioni, dalle divergenze - forse anche ideologiche - di vedute, quello che si sa è che c’è stata una lunga trattativa - troppo complessa per essere qui riassunta - con la direzione del museo mediata da più di un Governo italiano (tutto è cominciato con il mille proroghe del 2007), per cercare di aggiungere glosse e didascalie al Memoriale, sperando che bastasse a renderlo sufficientemente comprensibile agli spettatori – secondo il criterio polacco – senza rinnegare lo spirito originario. Ma nemmeno quel tentativo, ribattezzato "progetto glossa" ha avuto fortuna: bocciato dal museo.
«Il concetto dell'opera - spiega Dario Venegoni, vicepresidente dell'Associazione italiana ex deportati, - è un’architettura a spirale, che faccia fare allo spettatore un percorso emotivo camminando su una passerella che evoca le traversine del treno della deportazione. È qualcosa che non si spiega facilmente a parole ma che ha un senso nel suo contesto, perché si cammina sulla passerella, circondati dall'affresco che ricopre la spirale. E' un'opera, che certo va storicizzata agli anni Settanta in cui fu concepita e realizzata, ma che si comprende fino in fondo solo nel luogo per cui è stata pensata, fruendo contemporaneamente di un dentro e un fuori, con le finestre aperte sul lager. Ero presente all'inaugurazione, avevo accompagnato i miei genitori ex deportati, mi fa male pensare che sarò io a occuparmi di portarlo via».
Adesso, «con i tempi tecnici necessari – ricevuto un ultimatum dalal Polonia -, preso atto che ogni spazio di mediazione è chiuso, si è deciso di portare in Italia l’opera: c’era stata uno studio di fattibilità per il campo di Fossoli da cui Primo Levi era partito, giusto per conservare un contesto credibile e una radice di senso, ma il progetto era stato giudicato troppo costoso. Si è bussato a molte porte. Alla fine ha risposto Firenze. Il Memoriale verrà in Italia, il Governo italiano ha confermato l’impegno al trasporto».
Resta il paradosso che la voce di Primo Levi, la voce universalmente riconosciuta della Shoah nel mondo, non sia stata considerata una credenziale sufficiente per lasciare il Memoriale del block 21 nel luogo per cui era stato immaginato. Vivrà altrove è vero, ma perderà quello che l’emozione di Maria - che pure nel frattempo si sarà riconciliata con l’Italia, conoscendo l’altra campana – aveva colto a pelle: senza quel freddo dentro non sarà la stessa cosa.
E le parole di Primo Levi, concepite per un qui e ora che non ci sarà più, lo dimostrano:
«Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita.
Da qualunque parte tu venga, tu non sei estraneo.
Fa’ che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte.
Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento.
Fa’ che il frutto orrendo dell’odio, di cui qui hai visto le tracce, non dia nuovo seme né domani né mai!».