Monsignor Ivo Muser, vescovo di Bolzano
“Dobbiamo essere molto chiari: siamo contro gli steccati. Siamo contro questo nuovo confine. Il Brennero per noi non è solo un piccolo paese di frontiera, ma è un luogo-simbolo. Fa parte della nostra storia, anche con le sue ferite. Ma è simbolo di apertura, e tale deve rimanere. Su questo siamo in perfetta consonanza con la Conferenza episcopale e la Caritas austriache”.
Non usa mezzi termini monsignor Ivo Muser, vescovo di Bolzano-Bressanone per esprimere il totale dissenso della chiesa altoatesina sulla volontà austriaca di erigere una barriera al Brennero. Lo abbiamo intervistato poche ore prima che l’ennesima manifestazione, stavolta degli anarchici e dei black-bloc, al confine più “caldo” d’Italia si trasformasse in guerriglia urbana, con scontri con la polizia e feriti.
Cosa si rischia se l’Austria erigesse davvero il muro al Brennero?
“Se si realizzasse quanto minacciato, si rischierebbe di compromettere il grande lavoro di dialogo e di apertura tessuto da tanti in questi ultimi decenni. Dobbiamo stare attenti, poi, a non creare paure, che alla fine creano tensioni e non aiutano alla soluzione del problema”, continua il presule che rilancia la linea dell’accoglienza dei profughi già decisa al sinodo diocesano alcuni mesi fa”.
C’è chi dice che la decisione di erigere le barriere al Brennero sia stata una trovata propagandistica per vincere le elezioni presidenziali in corso in Austria. Che ne pensa?
“Penso che sia proprio così. Spero che, dopo il ballottaggio, si fermino le onde dell’intolleranza e il populismo, e con esse la costruzione della barriera”.
Confine del Brennero
Se così non fosse e prevalesse la politica dei muri, come accade in Austria, in Ungheria, in Inghilterra, in Svezia?
“Sarebbe una sconfitta per l’Europa tutta. Dobbiamo vigilare e stare attenti, senza dimenticare la grande tradizione umanista e cristiana dell’Europa”.
Sembra, però, andare in senso contrario anche il voto in parlamento a Vienna che inasprisce e sospende, di fatto, il diritto d’asilo in Austria. E ciò, nonostante i moniti della chiesa. Perché si va verso una politica che preferisce i muri ai ponti?
“Perché c’è tanta paura; sono aumentate le incertezze. Qualcuno arriva a sostenere che diventeremo, come cristiani, una minoranza in un’Europa invasa da musulmani. E questo timore fa breccia in molti. La questione dei profughi è stata strumentalizzata politicamente. Si fa politica coi rifugiati, sulla loro pelle”.
Qual è, allora, il ruolo dei cristiani?
“Di dare voce a chi non ha voce e, se serve, alzarla. Dobbiamo ricordarci che il Vangelo si schiera sempre dalla parte di chi ha bisogno del nostro aiuto. Le sfide e i problemi non mancheranno, ma qui è in gioco il concetto del mio prossimo. Siamo, cioè, chiamati a dare una risposta cristiana a questa sfida umanitaria che il papa ha definito la più grande dalla fine della seconda Guerra mondiale. Anche perché i poveri di questo mondo non si lasciano più fermare”.
Ma la paura di essere islamizzati ha qualche fondamento?
“Assolutamente no. Le faccio un esempio locale: a Castelrotto, dov’è sorta una casa d’accoglienza per profughi, si sono appena celebrati tre battesimi di altrettanti africani ospitati in quella sede. A Vandoies, in Pusteria, andrò il 19 di giugno io stesso a battezzare, comunicare e cresimare altri sei profughi africani. Queste sono le risposte a chi ha paura. Se ti conosco, se t’incontro le paure passano. Quando sostituiamo ai numeri i volti concreti, quelli di uomini donne, bambini, che nel loro paese, per diversi motivi, non vedono più alcuna prospettiva, cambia tutto”.
Si distinguono spesso i profughi dai migranti “economici”. E’ giusto farlo?
“C’è del giusto. Ma se uno lascia la terra perché non vede futuro per sé e per la sua famiglia, non significa forse che è costretto anche lui ad andarsene, come fosse a rischio di vita, o in guerra? No si scappa mai dal proprio Paese con leggerezza. Noi viviamo in un posto benedetto. Non ci sfiora neanche il pensiero di abbandonare la nostra terra. Certo abbiamo bisogno di regole, è chiaro che l’Europa deve porle a chi vi entra; ogni convivenza civile ne ha bisogno”.
Però?
“Però vedo tanto egoismo intorno. Ho l’impressione che si tocchi un nervo sensibile, quando ci viene chiesto di condividere il nostro benessere, il nostro stile di vita”.
A Roma ha incontrato nei giorni scorsi papa Francesco, le ha detto qualcosa in merito alla questione del Brennero?
“Vedendomi tra i vescovi, s’è fermato un momento, mi ha salutato e mi ha detto solo: “Il Brennero”, una specie di segnale, come dicesse: “sono al corrente della situazione che mi sta a cuore”.
Molti, anche in Austria, hanno paventato i rischi economici che una chiusura del confine comporterebbe…
“Il nostro no alla chiusura del Brennero non ha motivazioni economiche. Qui è in gioco il futuro dell’Europa e il grande pensiero cristiano ed europeo: sono necessari meno individualismo e meno populismo”.