Ora che le piogge di dicembre
hanno portato un lieve sollievo alle popolazioni del Sahel colpite nel corso
del 2012 da una carestia con pochi precedenti, nonostante l'emergenza non sia
passata, c'è almeno il tempo di fare un bilancio. Dal Senegal al Chad, in un'intera
striscia del continente africano, niente e nessuno è stato risparmiato. Morale,
18 milioni di persone colpite da malnutrizione cronica che si vanno ad
aggiungere a quel 10% di popolazione che ne soffre già: l'Unicef completa il
quadro con stime che parlano di 1 milione di bambini con meno di 5 anni la cui
vita è in pericolo, e altri tre milioni sarebbero affetti da forme di
malnutrizione che, seppure non mortali, incidono in modo determinante sullo
sviluppo psico-fisico aumentando il rischio di contrarre malattie a quel punto
sì, nuovamente, pericolose. Principale fattore scatenante della carestia, la
siccità: in questa parte di mondo, è evidente, non costituisce una novità, ma
in modo così massiccio e persistente come avvenuto nel 2012 ha comportato un
calo della produzione agricola di sussistenza fino all'80%. E ciò, in un
contesto che vive di quello che coltiva, significa una cosa sola: fame. Alla
siccità, in maniera più o mena diretta, si sono aggiunti la scarsità di
foraggio a disposizione del bestiame, il rialzo dei prezzi complessivi e la
diminuzione delle "rimesse" da parte degli emigrati. D'altro canto va
detto che in emergenze di questa entità, bisogna riuscire a calibrare
lucidamente le risorse da impegnare in progetti a breve termine, quelli che per
intendersi consentono di tamponare le situazioni che non possono essere
rimandate, ad altri di più ampio respiro. È anche in un'ottica più lungimirante
che vanno affrontate le calamità così come ricorda il direttore generale della
Fao che, commentando lo stanziamento della comunità internazionale di oltre un
miliardo di euro, ha specificato come di debba «riuscire a rendere le
condizioni di vita delle popolazioni più resistenti alle crisi».
Tra i Paesi investiti con maggiore veemenza dalla carestia
c'è il Burkina Faso, dove l'organizzazione di cooperazione internazionale Lvia opera dal 1972 con programmi di sviluppo rurale e interventi di tutela
ambientale. Proprio la conoscenza capillare del territorio è ciò che rende
efficaci le azioni dell'associazione: bussando letteralmente porta per porta
anche nei villaggi "dimenticati", affidandosi ad operatori locali
formati in linea con le strategie di intervento messe a punto, Lvia mira a
individuare i casi più bisognosi di cure, indirizzando chi è a forte rischio di
malnutrizione verso strutture sanitarie adeguate. Dalla prevenzione alla cura,
dalla distribuzione degli integratori agli screening, ogni spesa è carico di
Lvia che con la campagna sms solidale "La carestia non è una dieta"
intende proseguire su due filoni in particolare: da un lato la cura della
malnutrizione infantile attraverso l'aggiornamento professionale e la
formazione del personale sanitario, la valutazione di massa della popolazione
infantile e l'acquisto di farmaci e altre spese mediche per i casi più gravi;
dall'altra la prevenzione della malnutrizione e il supporto alla produzione
agricola attraverso l'acquisto e la distribuzione delle sementi,
l'accompagnamento alla produzione delle comunità agricole locali e la
formazione per la creazione di unità artigianali. Va precisato che in Burkina
Faso la speranza di vita alla nascita è di 54 anni con un tasso di mortalità
infantile di circa 80 decessi di bambini con meno di un anno di vita su 1000
nati vivi. Nelle prossime pagine, le testimonianze di
referenti Lvia in Burkina Faso aiutano a comprendenre meglio il quadro di
riferimento.
Ousmane Ag Hamatou, referente
della Lvia per la crisi alimentare
nel Sahel.
A seguito del colpo
di stato nel Mali, ha lasciato il paese con la sua famiglia. Oggi vive a
Ouagadougou, Burkina Faso, dove continua a lavorare con Lvia per gli interventi
di risposta alla crisi alimentare nel Sahel, in attesa di poter riprendere le
attività nel nord del Mali.
Quali sono
stati i principali interventi promossi da Lvia per far fronte alla carestia in
Burkina Faso?
«A causa della scarsissima
campagna agricola del 2011, molte famiglie in Burkina Faso non hanno avuto
abbastanza cibo per nutrirsi quotidianamente. Per aiutare le fasce più povere e
vulnerabili colpite dalla crisi alimentare, la Lvia ha agito in due ambiti:
lotta alla malnutrizione infantile severa e, in un’ottica di prevenzione della
malnutrizione, supporto all’agricoltura locale».
Quali gli
interventi in ambito agricolo e alimentare?
«Tra gli aspetti più
critici legati alla crisi alimentare, c’è il fatto che la maggior parte dei
produttori non possiede più le sementi che, in mancanza di cibo sufficiente,
sono state utilizzate come nutrimento. Nel 2012 LVIA ha distribuito dei viveri,
essenzialmente miglio e mais, a 1.130 famiglie identificate con i servizi
sociali e le autorità locali, nei comuni di Yalgo, Tougouri, Nagbingou, Zitenga
e Gorom-Gorom, nel nord del paese. Inoltre, con una strategia di prevenzione,
per sostenere i contadini nel rilancio della produzione nella campagna agricola
2012, LVIA ha distribuito a 500 produttori dell’associazione contadina ASK,
sementi di niébé di Kapelga (fagioli) e di mais».
Quali gli
interventi per la cura della malnutrizione?
«Lvia ha iniziato in aprile
2012,
con Medicus Mundi Italia e il sostegno dell’ufficio umanitario
dell’Unione Europea ECHO, un progetto di emergenza per la lotta contro la
malnutrizione severa dei bambini con meno di 5 anni di età e si prevede
l’estensione dell’ intervento nel 2013, ancora con l’appoggio finanziario di
ECHO, per coprire tutti i distretti sanitari della regione del Centro Ovest».
Quali sono
le strategie adottate sul lungo termine?
«Nel Sahel, le crisi sono sempre più cicliche e
ricorrenti. Motivo per cui, oltre a realizzare interventi puntuali diventa
ancor più necessario rafforzare la capacità delle comunità di reagire agli
shock, proprietà definita in termini tecnici “resilienza”. In questa logica, è
stato formulato un progetto per rafforzare la resilienza degli allevatori del
Sahel, nel nord del Burkina Faso, nella prevenzione e gestione delle crisi
alimentari. Le attività, che inizieranno nel 2013, sono proposte con il Centro
Regionale delle Unioni del Sahel (CRUS), partner di lunga data della LVIA e
attore fondamentale per l’appoggio al mondo pastorale in Burkina Faso».
Marco Alban, rappresentante
della LVIA in Burkina Faso.
In un quadro
di insicurezza diffusa nel Sahel, dalla crisi
maliana al fondamentalismo islamico, quanto ne risente il Burkina Faso?
«Il Paese è un’area cuscinetto
nella regione, perché è uno dei paesi di accoglienza della crisi maliana e nel
recente passato lo è stato con la Costa d’Avorio. È un paese molto esposto e
sotto stress, per le crisi alimentari che si ripetono e per l’accoglienza dei
profughi, ma per sua cultura e per sua storia non è terreno fertile all’instaurarsi
del fondamentalismo islamico».
Quali sono oggi
i fattori più critici nel paese su cui si concentrano gli aiuti internazionali?
«La crisi è multipla: oltre
ad un problema di sicurezza della regione, ci sono la crisi alimentare e
l’aumento dei prezzi dei cereali. La stagione agricola 2012 è andata bene, ma
il vero problema è che i prezzi dei cereali, oggi, rispetto al 2009 sono
aumentati dal 40% al 70% e la speculazione finanziaria sui mercati nazionali e
internazionali è tra le grandi colpevoli. Quando i granai sono pieni, le
persone soffrono meno ma il livello di produzione familiare non è mai
sufficiente per l’intero anno e tutti devono comprare prodotti alimentari sul
mercato. Nel momento in cui si alza la domanda, i prezzi vanno alle stelle.
La FAO e il Programma
Alimentare Mondiale stanno studiando l’entità del problema. Altro punto
fondamentale per abbassare il prezzo degli alimenti è rendere più agibile ed
economico il trasporto sul mercato interno, migliorando le infrastrutture
stradali che sono ancora deficitarie nel paese».
La parola d’ordine
oggi sembra essere “resilienza”, indicata dall’Unione Europea come nuova
strategia d’azione per contrastare le emergenze. Di cosa si tratta?
«Resilienza significa
rafforzare la capacità delle comunità locali a sopportare lo shock delle crisi.
È un termine moderno, ma è quello che la Lvia e altre ong fanno da tempo: da
una parte promuovere lo sviluppo locale, dall’altra superare la crisi. Se
parliamo di agricoltura, ad esempio, rafforzare un’organizzazione contadina
significa fare resilienza perché se questa è ben organizzata e realizza un buon
stoccaggio dei prodotti agricoli, aiuta la comunità a sopportare meglio lo
shock nel momento di crisi alimentare. Allo stesso modo, un sistema promosso da
molte ong è il warrantage, una modalità di finanziamento rivolto ai piccoli agricoltori basato
sullo stoccaggio della produzione agricola in banche comunitarie a fronte di un
prestito: da un lato si aumenta il livello di sicurezza degli stock di
alimenti, dall’altro, attraverso il microcredito, si danno alle famiglie
risorse economiche per sostenere le spese, fare piccoli investimenti, avviare
piccole attività imprenditoriali e quindi far crescere l’economia locale.
Dobbiamo sicuramente continuare con questo approccio anche perché sarà
difficile per i finanziatori mantenere lo stesso livello di impegno per gestire
le crisi future».
Cosa ha
intenzione di realizzare Lvia nel 2013 in questa direzione?
«La lotta alla
malnutrizione resta una priorità. I bambini malnutriti gravemente sono nel
Sahel un’emergenza costante nel corso degli anni. In secondo luogo, stiamo
progettando interventi con i nostri partner, associazioni di agricoltori e
allevatori, per migliorare la sicurezza alimentare ponendo l’accento sulla resilienza,
cioè con un focus sui soggetti vulnerabili, i
più poveri. La chiave è permettere alle persone di uscire dalla povertà».
Dott.ssa Ella Compaoré,
nutrizionista. È impegnata con Lvia nel progetto di lotta alla
malnutrizione infantile nella Regione Centro Ovest del Burkina Faso. Il
progetto si svolge con Medicus Mundi Italia e il sostegno dell’ufficio
umanitario dell’Unione Europea ECHO. Le attività termineranno a febbraio 2013.
Successivamente, la Lvia prevede l’estensione dell’intervento nel 2013 per
coprire tutti i distretti sanitari della regione.
Qual è
l’impatto della carestia sulla popolazione in Burkina Faso?
«Il
2012 è stato un anno molto difficile per il paese. A causa delle piogge
insufficienti nel corso della campagna agricola precedente, i raccolti sono
stati deficitari e tutte le regioni, tutte le famiglie sono state colpite.
Nella regione del Centro Ovest, dove Lvia opera con questo progetto di lotta alla malnutrizione infantile, le famiglie
vivono di orticoltura e agricoltura di sussistenza ma nel 2012 la popolazione
non ha avuto abbastanza cibo».
Quali sono i
livelli di malnutrizione che avete riscontrato nella regione?
«La Lvia con Medicus Mundi
Italia opera in due distretti della regione, Réo e Nanoro. Abbiamo monitorato
100mila bambini dai 6 mesi ai 5 anni di età di cui 40.400 abbiamo verificato
essere affetti da malnutrizione. Di questi, 400 sono colpiti in modo
irreversibile da malnutrizione severa e 40mila sono affetti da malnutrizione
moderata che, anche se non mette a repentaglio le loro vite, può causare gravi
danni allo sviluppo psico-fisico».
Come
verificate il livello di malnutrizione e quali sono gli effetti sul bambino?
«Il metro di misurazione è
il perimetro bracciale. In condizioni normali, in un bambino normalmente
nutrito, il braccio misura tra i 13 e i 14 cm. Nel caso di malnutrizione
moderata la misura è tra i 12 e 12,5 cm. Al di sotto è malnutrizione severa.
Le conseguenze della
malnutrizione sono irreversibili. I bambini malnutriti gravemente avranno un
ritardo nella crescita, lo sviluppo intellettuale rischia di essere
compromesso, non potranno raggiungere buoni risultati a scuola, saranno adulti
con forti difficoltà nella vita lavorativa, che si affaticheranno facilmente
nella vita di tutti i giorni. Non saranno mai realmente autonomi e dovranno
essere presi in carico dalle famiglie e dalla società. Si ammaleranno spesso,
saranno deboli. Le bambine che hanno sofferto di malnutrizione, quando
cresceranno e diventeranno mamme partoriranno bambini piccoli, che cresceranno
male. La malnutrizione avrà quindi delle conseguenze nel futuro, passerà da una
generazione all’altra, nasceranno dei bambini meno sani.
Nel caso della
malnutrizione moderata la presa in carico deve essere immediata, per evitare
che gli effetti siano irreversibili. In questa condizione, i bambini sono
fortemente vulnerabili, a rischio di malattie, sono spesso malati. Il sistema
immunitario è debole e hanno difficoltà di apprendimento».
Come state
operando nel progetto in corso per la lotta alla malnutrizione infantile?
«Si inizia con la
formazione degli infermieri dei distretti sanitari e questi a loro volta, con
il supporto del progetto e del personale specializzato, formano gli agenti
sanitari locali. Gli agenti sanitari sono personale para-medico che vivono
nelle comunità locali, sono inseriti nei villaggi e conoscono ogni famiglia,
ogni bambino.
Con loro realizziamo le
visite bussando ad ogni porta.
I bambini malnutriti
vengono seguiti dagli agenti sanitari e sono accompagnati presso il Centro di
Salute Comunitaria più vicino. Si tratta di Centri pubblici che servono in modo
abbastanza capillare il territorio e che offrono cure ordinarie e di primo
soccorso.
Nei Centri, i bambini
vengono curati e nutriti con la misola, una farina altamente ricostituente.
I trattamenti sono
totalmente gratuiti. Nella lotta alla malnutrizione la gratuità deve essere
garantita perché le famiglie sono troppo povere per pagare le cure. Questa
operazione vede una collaborazione con l’Unicef e con il Programma Alimentare
Mondiale delle Nazioni Unite».
Qual è il
valore aggiunto di queste attività per le comunità locali?
«Il progetto è totalmente
inserito nel tessuto sociale e nel sistema sanitario locale. Abbiamo formato
120 infermieri e a cascata 372 agenti sanitari di villaggio, che garantiscono
un’azione di prossimità con la popolazione e un monitoraggio capillare dei casi
di malnutrizione. Facciamo degli incontri preparatori, delle dimostrazioni, si
spiega come informare la popolazione, come misurare il perimetro bracciale,
tutti parlano lo stesso linguaggio. L’obiettivo è accompagnare le comunità
locali affinché possano meglio gestire crisi future.Da questo punto di vista il progetto è innovativo perché
nell’emergenza stiamo costruendo percorsi di autonomia e sviluppo, stiamo lavorando
con le comunità per rendere il sistema indipendente».
Quali sono i
piani per il 2013?
«Dobbiamo continuare perché
il livello di insicurezza alimentare è ancora allarmante. Oggi le famiglie
stanno raccogliendo i prodotti dei loro campi perché la campagna agricola del
2012 è andata meglio ma tra poco non avranno più risorse, dovranno pagare i
debiti accumulati nell’anno, pagare la scuola, le cure mediche, ecc.
Nel campo della lotta alla
malnutrizione infantile stiamo progettando nuove attività, sempre con il
sostegno di ECHO, per ampliare il raggio di azione in tutti e 5 i distretti
della regione, come ci è stato richiesto dalle autorità locali. Realizzeremo
inoltre delle dimostrazioni culinarie affinché le donne imparino ad
auto-produrre le farine nutrienti a partire da cibi locali, come il miglio e
l’arachide. Molti bambini oggi sono colpiti da anemia, malaria e altre malattie
legate alle povere proprietà nutritive dell’alimentazione quotidiana».
François
Paul Ramdé, direttore dell’Union Fraternelle des Croyants (UFC). L’UFC è una ong
burkinabè che opera nella Regione Sahel, regione del nord del Burkina Faso.
Fortemente impegnata nel campo della sicurezza alimentare e dello sviluppo
locale, l’UFC è tra i principali partner della LVIA nell’area.
Qual è stata
l’entità di questa carestia nel paese e quali le cause?
«La carestia nel 2012 è
stata drammatica, tanto che il governo del Burkina Faso ha lanciato un appello
alla comunità internazionale per l’aiuto nell’emergenza. Nel paese c’è un’unica
campagna agricola, che va da giugno a settembre e che coincide con la stagione
delle piogge. Nel 2011 le piogge sono mancate, i raccolti sono stati scarsi e
nel 2012 le famiglie hanno terminato nel giro di poco tempo le scorte
alimentari. Contemporaneamente, il prezzo degli alimenti sul mercato è aumentato
e la popolazione non ha potuto comprare il cibo. Per effetto del riscaldamento globale, le piogge sono sempre
più scarse. Quando si parla di cambiamento climatico, in Europa si pensa
all’inquinamento, ma qui significa mancanza di pioggia, fallimento delle
campagne agricole, carestia».
Gli aiuti
per far fronte alla carestia sono stati importanti, la FAO ha dichiarato che
l’impegno della comunità internazionale nel 2012 ammonta a 1 miliardo di euro.
La crisi è sconfitta?
«I problemi e gli effetti
della carestia non possono essere risolti in un solo anno, serve una strategia
di ampio respiro a lungo termine che affronti le varie cause del problema».
Quali
dovrebbero essere gli assi di questa strategia?
«Acqua, agricoltura,
infrastrutture stradali le priorità. È necessario lavorare sulle infrastrutture
idriche per portare l’acqua nei villaggi che ancora ne sono privi. Ciò
significa valorizzare e manutenere le opere già esistenti ma anche costruirne
di nuove, ponendo attenzione a trovare un equilibrio tra le infrastrutture di
ampia scala, come le grandi ritenute d’acqua, e le opere più piccole che in
molti casi possono essere più efficaci perché permettono un controllo e una
gestione diretta da parte delle comunità locali, che ne diventano
responsabili. Importante, in
quest’ottica, lavorare sull’accompagnamento delle comunità per aumentare la
loro capacità di gestire tali infrastrutture. In agricoltura, dobbiamo
sviluppare degli adattamenti ai cambiamenti climatici, che impongono l’adozione
di altri processi e di altre tecniche. Infine, è necessario collegare il
mercato interno con strutture stradali più capillari ed efficienti. Molte aree
sono ancora isolate, soprattutto nel nord. Nelle aree deficitarie, i prezzi del
cibo sono molto più alti perché il costo dei trasporti è notevole».
In che modo
possiamo migliorare le capacità dei produttori a far fronte ai periodi di
siccità ormai cronica nel paese?
«Ci sono dei saperi locali
da valorizzare e occorre lavorare su questi piuttosto che importare delle
tecnologie che provocano dipendenza dall’aiuto. Pensiamo al caso dei semi.
Personalmente sono contrario all’introduzione di varietà di sementi non
prodotte localmente, dalle qualità d’importazione agli Ogm. In Burkina Faso
stiamo assistendo a questo fenomeno, l’acquisto dei semi oggi è sovvenzionato dallo
Stato ma questa soluzione non è sostenibile per il futuro e quando le
sovvenzioni finiranno cosa succederà ai produttori che non potranno
acquistarli? Nel paese ci sono dei centri di ricerca agricola che fanno un
ottimo lavoro, producono dei semi adatti al contesto locale.
E’ quindi fondamentale
supportare questo tipo di ricerca e nello stesso tempo migliorare le capacità
tecniche dei contadini, formandoli all’utilizzo di nuovi strumenti e processi».
Come
associazione siete coinvolti nell’elaborazione delle strategie per superare
questa crisi?
«Le decisioni sulle
strategie non sono sempre partecipative: promuovere una maggiore
partecipazione delle associazioni locali, dalle ong alle associazioni
contadine, aiuterebbe la concezione di piani d’azione più efficaci. I progetti
di sviluppo devono essere coerenti e non possono essere "calati" dall’alto
senza prendere in considerazione il piano locale, altrimenti l’intervento
rischia di essere non solo inefficace ma di fare danni, perché rende la popolazione
più dipendente di prima».
Cosa
impariamo da questa crisi?
«Nel 2012 le piogge sono
arrivate e la campagna agricola è andata meglio, ma non dimentichiamoci che il
Sahel è un’area a rischio, non possiamo permetterci di dimenticare le cause
della gravissima carestia che si è abbattuta sul paese. Dobbiamo andare avanti
sulla base di strategie di medio-lungo termine».
Moussa Diallo, Sindaco del
distretto di Gorom-Gorom, nord del Burkina Faso. Il distretto di Gorom-Gorom si trova nel nord del paese,
ai confini con il Mali e il Niger. La Lvia collabora da lungo tempo con la
municipalità burkinabè, che si trova in una tra le aree più vulnerabili del
Burkina Faso.
Quali
interventi ha predisposto la Municipalità per far fronte alla carestia?
«Grazie al sostegno del
governo, il Comune ha potuto mettere in piedi dei punti di distribuzione dei
viveri, soprattutto riso e
miglio, a prezzi sovvenzionati. Con la Lvia, inoltre, abbiamo distribuito 42
tonnellate di alimenti alle
famiglie più povere. Questo ha permesso la loro sopravvivenza. Siamo inoltre in
contatto con vari partner internazionali affinché continuino a supportarci in
questo momento difficile. I nostri servizi tecnici portano avanti, anche con il
sostegno dei donatori internazionali, dei programmi per aiutare la popolazione
nella cura della malnutrizione, l’agricoltura, l’allevamento, l’acqua e
l’igiene».
Come sarà la
situazione nel 2013? La carestia è sconfitta?
«La crisi è ancora
effettiva. Negli ultimi mesi del 2012 la raccolta è riuscita meglio, ma
comunque i livelli non sono promettenti, per lo meno in quest’area del paese
che è quella che più di tutte paga il prezzo del cambiamento
climatico. In quest’area semidesertica la crisi alimentare e la malnutrizione
sono condizioni croniche. Soprattutto in alcuni villaggi del mio distretto,
quelli più isolati, più lontani, la malnutrizione nei bambini è ancora grave».
Quali sono,
per lei, le priorità d’intervento nel 2013?
«Dobbiamo intervenire
prioritariamente sul piano alimentare, dell’acqua e dell’agricoltura
rafforzando le infrastrutture a disposizione dei villaggi, come ad esempio
gli
invasi d’acqua dove fare orticoltura di contro-stagione, agendo sui casi di
malnutrizione grave, soprattutto nei bambini, e nel complesso rafforzando le
capacità delle comunità di reagire alle crisi e prevenirle».
Dott. Tega, Direttore del
Servizio tecnico della Salute e Sanità del distretto di Gorom-Gorom, nord del
Burkina Faso.
Il distretto di
Gorom-Gorom si trova nel nord del paese, ai confini con il Mali e il Niger. La
Lvia collabora da lungo tempo con la municipalità
burkinabè,
che si trova in una tra le aree più vulnerabili del Burkina Faso.
Per far
fronte alla carestia come avete agito a livello distrettuale?
«La nostra strategia di lotta alla malnutrizione è sempre in atto, perché
esiste un problema di malnutrizione cronica. Questo piano è stato ulteriormente
sostenuto dal Governo e donatori internazionali nel periodo più acuto della
carestia».
Come
operate?
«Lavoriamo con i Centri di
Salute Comunitari, che sono presenti nei villaggi. Viene effettuata una
formazione specifica al personale para-medico a seguito della quale gli
operatori possono realizzare le visite nei villaggi per identificare i casi
sospetti di malnutrizione attraverso le operazioni di peso e di misurazione. La
priorità è data a tre categorie: i bambini fino ai 5 anni di età, le donne
incinte e in allattamento.
Le persone identificate come a rischio malnutrizione
vengono accompagnate nel più vicino distretto sanitario per essere visitate da
medici ed infermieri al fine di verificare se la malnutrizione è effettiva e se
ci sono complicazioni legate a malattie. Nel caso in cui non si riscontrino
altre malattie, le persone vengono riaccompagnate a casa e viene predisposto un
programma, affidato agli operatori dei Centri di Salute Comunitari, che
distribuiscono delle razioni alimentari. Gli infermieri si recano sul terreno
per fare un monitoraggio settimanale dei casi di malnutrizione e supportare il
lavoro del personale paramedico di villaggio».
Boubacar Cissé, direttore del
Comitato Regionale delle Unioni dei Produttori del Sahel (CRUS). Il CRUS è un’associazione che raggruppa a livello
regionale, nella Regione Sahel del nord del Burkina Faso, 61 unioni di
produttori per un totale di circa 40.000 persone e 1.800 gruppi. Il
coordinamento è impegnato con attività di sviluppo rurale nella regione
garantendo coerenza nell’elaborazione di strategie comuni. È un partner di
lunga data della LVIA nell’area.
La regione
del Sahel, nel nord del Burkina Faso, è principalmente terra di allevatori.
Come si caratterizza l’area?
«È vero, in questa regione
del Burkina Faso l’allevamento è tra le attività principali, il 25 % del bestiame
del paese si trova qui. La regione del Sahel è un’area transfrontaliera, confiniamo
con il Niger e il Mali e siamo legati dalla stessa cultura pastorale. Ogni anno
tra marzo e giugno avviene la transumanza, la migrazione stagionale
e temporanea delle greggi, delle mandrie e dei pastori che dal Niger e dal Mali
si spostano nei pascoli della nostra regione in Burkina Faso».
Che
ripercussioni ha avuto la carestia sull’allevamento nella regione?
«Nella regione parlerei
soprattutto di crisi pastorale: con la mancanza delle piogge, i pascoli si sono
impoveriti e i punti d’acqua si sono svuotati. A causa del colpo di stato in
Mali sono arrivati molti profughi che hanno portato il proprio bestiame. Questa
pressione ha conseguenza un ulteriore aumento dei prezzi, sia dei cereali che
del mangime per il bestiame. In entrambi i casi, i prezzi sono
raddoppiati. La carestia ha provocato
anche un forte indebolimento degli animali, e questo ha fatto crollare il
prezzo del bestiame sul mercato regionale, con gravi conseguenze per il
sostentamento delle famiglie di allevatori. E poi la mortalità del bestiame:
molte famiglie hanno perso la metà del gregge. Infine, un’altra grave
conseguenza è stata l’enorme abbassamento della produzione di latte, che ha
impoverito le donne, perché nel Sahel sono le donne che si occupano della
lavorazione del latte, e ha acuito lo stato di malnutrizione nei bambini».
A fronte di
questa crisi, quali sono state le attività promosse dal CRUS?
«Abbiamo elaborato un piano
strategico su tre linee d’azione. Primo, salvare
i capi di bestiame più importanti fornendo un supplemento di nutrizione: è
stato comprato il mangime, che abbiamo distribuito ad un prezzo sociale alle
famiglie in difficoltà, e donato gratuitamente alle famiglie molto povere. Le
famiglie molto povere sono quelle più vulnerabili: donne sole con figli o famiglie
che hanno come unica fonte di sostentamento un nucleo massimo di tre capi di
bestiame. Sono molto poveri perché se sono costretti a vendere il proprio
animale, non resta loro più nulla. Abbiamo così sostenuto 2000 famiglie.
Secondo punto: abbiamo aiutato
gli allevatori a vendere il bestiame ad un prezzo equo sul mercato nazionale e
di altri paesi dell’Africa Occidentale. Abbiamo fatto quattro operazioni in
tutte le province della regione ed ogni operazione ha toccato tra i 200 e i 300
capi di bestiame e tra i 400 e i 500 piccoli ruminanti. Abbiamo realizzato una
indagine dei mercati, organizzato gli allevatori per la vendita del bestiame e
facilitato la relazione con i mercati.
Terzo punto: il sostegno
alle famiglie più vulnerabili nell’accesso al cibo. Abbiamo operato con il
sostegno del PAM supportando circa 1400 famiglie nel realizzare un lavoro di
recupero delle terre pastorali e in cambio hanno ricevuto denaro o cibo».
Le piogge
sono tornate a fine 2012 e l’attività agricola è migliorata. Cosa succede nel
mondo della pastorizia?
«Anche i pascoli sono
migliorati ma restano dei fattori di instabilità che ci preoccupano fortemente.
Prima di tutto, la crisi
maliana: siamo vicini al Mali, confiniamo con la regione di Gao. Ogni anno da
dicembre a febbraio la maggior parte degli animali dal Burkina Faso e dal Niger
viene portata verso i pascoli maliani ma ora dovrà restare in Burkina Faso,
causando una pressione enorme sui pascoli della regione. In secondo luogo, c’è
l’insicurezza dell’area: i movimenti di popolazione tipici delle aree
transfrontaliere, com’è il nord del Burkina Faso, con spostamenti aumentati dal
Mali, creano forti difficoltà per i pastori nello spostare in sicurezza il
bestiame da un mercato all’altro della regione».
Quali sono le vostre proposte a fronte di questi fattori di
instabilità?
«Proponiamo di agire su tre
livelli: realizzare degli stock di sicurezza del mangime per il bestiame;
migliorare il livello di
sicurezza della regione; dialogare con i governi del Benin e del Togo affinché
ammettano o facilitino la transumanza del bestiame dal Burkina Faso».
Diverse crisi alimentari si sono ripetute nel paese negli ultimi
anni. Avete pensato a delle strategie che permettano di farvi fronte in
futuro?
«Con la Lvia stiamo
riflettendo proprio su questo aspetto e cioè su come rafforzare la resilienza. Ritengo si debba agire su tre livelli: la resilienza istituzionale,
rafforzando i Comuni, le Regioni e le organizzazioni della società civile ad
avere reazione rapida, con un piano strategico per affrontare gli shock. Non
possiamo aspettare che la crisi arrivi per reagire. In secondo luogo, mettere
in sicurezza la base della produzione locale, aumentando la produttività agricola
e, infine, supportare i produttori nell’integrare le attività di agricoltura e
allevamento in un’ottica economica ed imprenditoriale. Dobbiamo supportare le
piccole unità familiari ad intraprendere delle attività economiche per uscire
dalla povertà».