Juba, Sud Sudan, domenica 2 marzo
Accanto
all’aeroporto di Juba è stato allestito dalle Nazioni Unite un
campo di raccolta per gli sfollati della guerra civile. Accoglie 27
mila persone, ma in tutto il Sud Sudan gli sfollati sono quasi 900
mila (fra loro, secondo le stime dell’Unicef, ci sono 400 mila
bambini).
Alle
9 del mattino fa già molto caldo e nel campo l’aria è soffocante
e maleodorante. Ci sono un sacco di bambini, che corrono da tutte le
parti, si inseguono, ridono, si mettono in posa davanti all’obiettivo
di Paolo Siccardi e di Bapstiste, il fotografo di Paris
Match che viaggia con
noi.
La
gente, nonostante il disagio, il sovraffollamento e l’incertezza
del futuro, si è adattata inventandosi delle attività.
Un uomo
sistema gli abiti con una vecchia macchina da cucire, alcuni chioschi
improvvisati vendono farina, tè, riso. Un banchetto vende
medicinali. Una musica a tutto volume annuncia un chiosco dove si
vende materiale elettrico, radio, batterie per i cellulari.
Al
punto di distribuzione dell’acqua c’è un grande affollamento.
Donne e bambini riempiono le taniche gialle.
Il portavoce dell’Onu
ci spiega che oggi in Sud Sudan i campi per gli sfollati sono sette.
I Caschi blu dell’Onu sono 7 mila, ma ne devono arrivare altri 5
mila per rafforzare il contingente. In questi ultimi giorni si sono
aggiunti 320 militari nepalesi.
Lasciamo
il campo e raggiungiamo l’ospedale di Juba,
dove ci aspetta il
ministro della Sanità Riek Gai Kok. Il ministro elogia il lavoro di
Amref in Sud Sudan: «Fanno la cosa giusta.
Non ci mettono il pesce
nel piatto, ma ci insegnano a pescare. È quello che serve per lo
sviluppo del nostro Paese».
Un
giornalista della televisione di Stato mi fa una intervista, poi
raggiungiamo la pista dell’aeroporto di Juba, dove ci aspetta
James, il nostro bravo e simpatico pilota dell’aereo di Amref.
Tommy Simmons, direttore generale di Amref. Nell'immagine di copertina: uno dei medical officer formati alla scuola di Amref mentre effettua una visita - Le foto sono di Paolo Siccardi.
Decolliamo
verso Maridi, nello stato del Western Equatoria, una delle regioni
del Sud Sudan non toccate dalla violenza degli ultimi due mesi e
mezzo. Sorvoliamo una fitta boscaglia e dopo 50 minuti James plana
sulla pista in terra battuta.
Scendiamo dall’aereo e nel nulla che
ci circonda vediamo un piccolo capannone sovrastato dalla scritta
pretenziosa: Maridi Passenger Terminal. Dentro il capannone
sgarruppato non c’è assolutamente nulla, solo tre ragazzi che ci
guardano impassibili. Una scena surreale.
Facciamo
poche decine di metri a piedi e raggiungiamo il compound di Amref,
dove ciascuno di noi alloggia all’interno di un tukul. Fa meno
caldo di Juba, il posto è molto tranquillo e gettando lo sguardo
oltre il recinto vediamo il nostro aereo parcheggiato fuori.
Il
nostro villaggetto di tukul dista poche centinaia di metri
dall’Istituto Nazionale di Formazione Sanitaria di Maridi. Per il
Sud Sudan questo è un centro di eccellenza, perché grazie ad Amref,
che lavora in partnership con il Governo centrale, sono stati
istituiti dei corsi per la formazione di assistenti medici. In
inglese sono chiamati medical
officers, una via di
mezzo fra gli infermieri e i medici. Questi giovani potranno
trattare le malattie più diffuse (come la malaria), somministrare i
vaccini, fare visite a domicilio, eseguire interventi chirurgici non
complessi.
«Finora,
con i nostri corsi triennali, ne abbiamo formati già 400. Ciascuno
di loro potrà coprire un bacino di circa 20 mila persone», dice Tommy
Simmons, direttore di Amref Italia.
Gli
edifici della scuola sono disposti attorno a una grande prato. Ci
sono le aule, la biblioteca, le postazioni per i computer (c’è la
rete wifi), i dormitori per gli studenti.
È consolante vedere decine
di giovani dietro i banchi, nelle aule, oppure all’aperto, intenti
a studiare all’ombra dei grossi manghi carichi di frutti ancora
acerbi. «Quello che noi sosteniamo è un investimento e un progetto
a lungo termine», dice Simmons, «che stiamo realizzando grazie al
supporto del Ministero degli Affari Esteri italiano, attraverso la
Cooperazione, e ai fondi dell’8 per mille della Chiesa Valdese. Ma
per noi è fondamentale il coinvolgimento della popolazione locale.
Qui a Maridi facciamo crescere quel capitale umano necessario per lo
sviluppo sanitario del più giovane stato africano.
Roberto
Zichittella