L’ultima
intervista di Carlo Maria Martini, nota come il suo “testamento”
e pubblicata dal Corriere
della Sera
il giorno dopo la morte, è conosciuta per la frase: «La Chiesa è
rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote?”. “Anzi,
disse “200 se non 300”», precisa padre Georg Sporschill, il
confratello gesuita che la raccolse e che lo intervistò anche nelle
famose Conversazioni notturne a Gerusalemme.
«Ricordo – dice
padre Georg – la lucidità, ma anche il disappunto e il dolore, con
cui pronunciò quelle parole. Oggi non so se le ripeterebbe, ma
sicuramente sarebbe contento per il cammino che, con capacità di
sorpresa, la Chiesa ha avviato. Francesco ha esaudito il desiderio di
Martini sul letto di morte».
Il riferimento è al recente Sinodo
straordinario sulla famiglia: «Il primo successo è il metodo e il coraggio di
affrontare certi temi in modo trasparente. Il Papa ha detto che non
serve il giudizio sulle famiglie in difficoltà, ma l’accompagnamento
concreto. Ecco, questa era la forma dell’azione pastorale di
Martini, uno stile che dà credibilità».
L’occasione
per ricordare il cardinale è la presentazione nella parrocchia
milanese di San Giovanni in Laterano del libro Chi salva una vitasalva il mondo intero di don Stefano Stimamiglio, giornalista paolino
del settimanale Credere,
che racconta la vita di Sporschill. Alla presentazione, il direttore
del Corriere
della Sera
Ferruccio De Bortoli intervista questo religioso austriaco di cui
Martini fu così amico.
Si conobbero nel 1982 a Vienna, ma si
frequentarono soprattutto negli anni della permanenza del cardinale a
Gerusalemme (2002-2008) e in successivi incontri a Gallarate.
L’ultimo l’8 agosto 2012, quando venne raccolto il “testamento”,
ventitré giorni prima della morte.
C’è un tratto che unisce i due
amici anche a un altro gesuita, Bergoglio, ed è fondamentalmente un
sogno: «Quello di una Chiesa povera e vicina ai poveri. Anzi, povera
perché vicina ai poveri. E quello di una Chiesa coraggiosa, che non
teme di entrare nelle tante miserie spirituali degli uomini di ogni
tempo, le famose periferie esistenziali».
Quest’amicizia
spirituale con chi soffre è stata vissuta dai tre confratelli in
modi diversi, ma li ha profondamente uniti. Padre Sporschill, dal
canto suo, l’ha vissuta nella Romania che usciva dal regime di
Ceausescu nel 1991, «cercando di far qualcosa» con i 20mila ragazzi
che abitavano nei tombini delle fogne di Bucarest e combattevano la
fame sniffando vernice e colla. Ci era andato per sei mesi e si è
fermato vent’anni. Ora invece è accanto agli 800mila rom stanziali
della Transilvania, sempre in Romania, che vivono in condizioni di
estrema povertà in catapecchie di legno.
«Martini – racconta
Padre Georg – fece la scelta di una Chiesa povera, in tutta la sua
azione. Quando avviò la Cattedra dei non credenti, qualcuno pensò
che fosse un modo per convertirli. Lui invece voleva essere istruito
della loro prospettiva, una sana povertà evangelica dal punto di
vista intellettuale. È lo stesso atteggiamento scelto dal Papa per
il Sinodo, in cui è prevalsa l’umiltà di capire, sedendosi
accanto a coloro che soffrono».
Il gesuita austriaco, infatti, vede
in Francesco l’unione tra discernimento e misericordia, tra la
dimensione intellettuale e quella della preghiera, che caratterizzava
proprio Martini. Lo racconta anche don Stefano Stimamiglio, è la
predilezione per il metodo induttivo: prima guardare la realtà,
amarla, capirla, porle le domande giuste; a partire da lì cercare,
criticamente, di applicare le regole generali. Non il contrario, non
ricette fatte e finite da applicare alle situazioni concrete, a costo
di forzare queste ultime. «Era uno dei tratti di Martini – dice
Padre Georg – che affascinava i giovani. Diceva che la Chiesa non
deve insegnare, ma ascoltare, ascoltare, ascoltare. Aggiungeva che
avrebbe dovuto scusarsi perché troppo spesso, specie verso i
ragazzi, aveva dato risposte a domande che non le erano state
formulate, ad esempio sul tema della sessualità».
Incalzato
dalle domande del direttore del Corriere,
Sporschill conferma di ritrovarsi nelle tesi che causarono a Martini
anche taglienti giudizi. Molte di quelle idee furono espresse proprio
in Conversazioni notturne a Gerusalemme. Per esempio le
critiche all’Humanae Vitae di Paolo VI, conosciuta anche come
“enciclica della pillola”, o l’apertura ai preti sposati. «In
Romania – dice Padre Georg – i preti uniati, che fanno parte
della Chiesa cattolica, possono sposarsi. Anche io credo che il
celibato debba essere una scelta e non imposto». Ma poi aggiunge:
«Credo che oggi il vero problema dei sacerdoti sia piuttosto
scegliere di stare in mezzo alla gente, nell’ospedale da campo di
cui parla Francesco». E alla domanda su chi è un buon cristiano,
risponde: «Quando questa sera sono entrato in questa chiesa, ho
visto il parroco baciare sulla testa un giovane. Ecco, questo è
l’atteggiamento del buon cristiano».