IL BRACCIO DESTRO DEL PAPA - Nato a Schiavon (Vicenza) il 17 gennaio 1955, Pietro Parolin ha una sorella e un fratello. Il 27 aprile 1980 viene ordinato sacerdote. È il più giovane segretario di Stato dai tempi di Eugenio Pacelli.Foto ERIC VANDEVILLE/ABACA/ANSA
«Il Papa va in Corea per incontrare,
soprattutto, i rappresentanti
dei giovani di quel continente,
radunati per la Giornata
asiatica della gioventù, a
Daejeon, e poi per presiedere
il rito di beatificazione di Paolo
Yun Ji-chung e dei suoi 123
compagni, vittime della persecuzione
del regno Joseon. Il Santo Padre confermerà
la fede dei cattolici, offrendo a tutti
la stessa radice della speranza, che è
l’amore di Gesù Cristo, che trasforma la
vita e rende più umana ogni società.
Egli andrà per portare anche un messaggio
di pace, di riconciliazione e di unità,
nonché nuovi impulsi al dialogo inteso
a contribuire a sanare i conflitti che ancora
lacerano la Penisola e il popolo coreano.
Sono convinto che il suo messaggio
troverà cuori e menti aperti ad accoglierlo
».
Alla vigilia del primo viaggio in Asia di papa Francesco, previsto da mercoledì 13 a lunedì 18 agosto, il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, spiega il significato di una visita tutt’altro che formale. «La Corea», dice il cardinale, «è il primo Paese in Asia che ha la grazia e l’onore di accogliere Francesco, la cui visita, a sua volta, conferma la grande attenzione per la Chiesa locale, che è una delle più dinamiche e vivaci non solo del continente, ma del pianeta».
Quale sarà il messaggio che il Papa vorrà dare?
«Il Santo Padre, nel suo invito a “uscire verso le periferie esistenziali e geografiche”, desidera incontrare quella comunità cristiana, per coinvolgerla ancora più da vicino nell’opera dell’evangelizzazione e nell’impegno in favore della pace. È da notare che sui 124 martiri che saranno beatificati, solo uno è sacerdote, mentre gli altri sono operai, negozianti, servi, madri di famiglia. La Chiesa in Corea è nata grazie all’impegno dei laici e questa sua caratteristica sottolinea in maniera del tutto particolare che la responsabilità e la gioia dell’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo e la testimonianza cristiana sono compiti di tutti i battezzati».
Pyongyang, Corea del Nord. Fedeli in preghiera. Foto REUTERS
Quanto ha contributo, dopo il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica allo sviluppo del Paese?
«Da
un’indagine recente è risultato che la Chiesa cattolica in Corea, con i
suoi 5.442.996 fedeli (erano 250 mila nel 1955) su una popolazione di
52.127.386 abitanti (il 10,4 per cento) è l’organizzazione religiosa che
più influisce sulla società locale. Il suo contributo allo sviluppo del
Paese nei vari settori è apprezzato, in particolare per i suoi 328
istituti di istruzione (dalle scuole materne alle superiori, alle
università e ai centri di istruzione speciale), per i suoi 200 centri
caritativi e sociali, per i suoi 40 ospedali, 9 lebbrosari, 513 case per
anziani, invalidi e disabili, 277 orfanotrofi e asili nido, 83
consultori familiari e altri centri per la protezione della vita.
Inoltre, ricordo con piacere il riconoscimento che si attribuisce ai
cattolici per la loro leale e diligente partecipazione alla vita civile
della nazione, il loro apporto specifico allo sviluppo umano mediante il
diffondersi degli ideali del Vangelo e l’influsso positivo sulla
modernizzazione complessiva. Del cristianesimo colpisce la verità,
l’amore e l’impegno morale, come antidoti alla difficile situazione in
cui minaccia di sprofondare la società tradizionale, stratificata
gerarchicamente. La Chiesa ha sempre avuto a cuore il bene del Paese. E
dopo il concilio Vaticano II ha contribuito al suo sviluppo – con
l’impulso verso la democrazia e la giustizia – in un modo ancora più
evidente».
Lei ha scritto che «la Corea è forse l’unico Paese al mondo
dove la Chiesa cattolica cresce di pari passo con lo sviluppo
economico». A cosa si deve questo dinamismo?
«Se c’è un Paese che in
maniera particolare può essere citato a esempio della fecondità del
Vangelo per l’uomo e per la società è proprio la Corea. È una fecondità
che non inaridisce di fronte alla diffusione di quei fenomeni che
sembrano essere legati al mondo economicamente e tecnologicamente
sviluppato, cioè il materialismo, il secolarismo e il relativismo. Al
contrario, questa fecondità diventa risposta vitale ai grandi
interrogativi che tali fenomeni suscitano e alle inquietudini e
aspettative che generano nei cuori degli uomini. Mi pare che questa è
una delle ragioni profonde che spiega la crescita della Chiesa in Corea e
diventa motivo di fiducia e di speranza anche per tutti noi, immersi
nella stessa temperie culturale».
La Corea: da terra di missione a terra
missionaria verso gli altri Paesi. In particolare, quale contributo può
dare nei confronti del resto dell’Asia?
«Negli ultimi cinquant’anni il
granello di senape della comunità cristiana coreana, grazie anche alla
garanzia della piena libertà religiosa, si è trasformato in una pianta
rigogliosa con tanti rami. La Corea, da terra di missione, è diventata a
sua volta missionaria. Con la visita di papa Francesco, la Chiesa avrà
l’opportunità di riflettere nuovamente sul ruolo e sulla missione di
diffondere la Buona Novella e di crescere nella “passione” missionaria.
Attualmente, ci sono 957 missionari, sacerdoti religiosi e religiose
coreani, che operano in 77 Paesi, in Europa, Oceania, America latina e,
in particolare, in Asia. La Chiesa in Corea continua a impegnarsi per la
“missio ad gentes”, non soltanto con l’assistenza finanziaria, ma
anche, e soprattutto, con l’invio di personale apostolico nel mondo».
Suore a Madhu, in Sri Lanka. Foto REUTERS
Dopo la Corea, Sri Lanka e Filippine è in programma anche la Cina?
«La
Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese è viva e attiva. Essa
cerca di essere fedele al Vangelo e cammina attraverso condizionamenti e
difficoltà. La Santa Sede è a favore di un dialogo rispettoso e
costruttivo con le autorità civili per trovare la soluzione ai problemi
che limitano il pieno esercizio della fede dei cattolici e per garantire
il clima di un’autentica libertà religiosa».
Cosa c’è da attendersi
dall’Asia cattolica come contributo per la pace e per la lotta alla
povertà?
«Nel caso della Corea, la Santa Sede non ha mancato di
accompagnare con sollecitudine il profondo desiderio del popolo coreano
di trovare il cammino della riconciliazione e della pace, appoggiando
anche le iniziative della Chiesa in loro favore e della solidarietà con
gli abitanti del Nord e contribuendo così a una graduale riduzione delle
tensioni esistenti nella Penisola. Auspico che si rispettino sempre più
i diritti umani e che si aprano vie di dialogo, che non ci si stanchi
di cercare punti d’incontro e soluzioni, sempre possibili, che non
cessino gli aiuti umanitari alle popolazioni sofferenti e prevalga in
tutti la buona volontà di riconoscersi per ciò che si è, fratelli di un
unico popolo. Non si deve temere il Vangelo, perché esso è solo amore,
speranza vera e gioia, offerti nella mitezza e nel rispetto. Questo vale
anche per altri Paesi asiatici, dove la fede cristiana incontra
difficoltà e ostacoli ed è spesso ancora guardata come una realtà
estranea. Nella storia della Corea si tocca con mano che il Vangelo è
capace di inculturarsi e portare frutto in ogni ambiente, rispondendo
alle attese e alle aspirazioni più profonde dei popoli».