Quattro anni dietro le sbarre sono lunghi. Sono un pezzo di vita che passa, sottratta i familiari e ai figli. Asia Bibi, 41 anni, donna e madre di famiglia cristiana, condannata a morte in base a una falsa accusa di blasfemia, resta dietro le sbarre, in attesa di un processo di appello che, per ragioni sempre diverse – tensioni, paure, condizionamenti sui giudici – non è ancora iniziato. I governi passano, le ingiustizie restano, dicono i fedeli cristiani in Pakistan.
Si è appena insediato a Islamabad il nuovo governo targato “Lega musulmana del Pakistan-N”, guidato dal Premier Nawaz Sharif, uomo legato all’establishment politico ed economico conservatore. E le prospettive, sul tasto sempre sensibile della legge di blasfemia – tre articoli del Codice che puniscono con la morte il vilipendio al Profeta Maometto o al Corano – non sembrano mutare in meglio, anzi. Gli osservatori ricordano che fu proprio Sharif, nella sua passata esperienza di governo (1990-93 e 1996-99), a tendere la mano ai gruppi estremisti islamici, per mero calcolo politico, e a inasprire le pene per la legge di blasfemia che, per la medesima logica di scambio politico, il dittatore Zia ul-Haq aveva introdotto manu militari, e senza alcun passaggio parlamentare, nella legislazione pakistana.
Da allora sono oltre mille i cittadini pakistani vittime innocenti di una legge draconiana e strumentalizzata di continuo. Quando ci si viole sbarazzare di un avversario o di un vicino litigioso, un accusa di blasfemia è la scorciatoia più semplice ed efficace. I cristiani in Pakistan, il 3% della popolazione, sono vittime di questa dinamica perversa che ha colpito Asia Bibi ma che continua a rovinare la vita di altri malcapitati, innocenti abbandonati in carcere per anni. Asia, dopo anni di cella di isolamento nella prigione di Shiekupura, è stata da poco trasferita, per motivi ignoti, in un altro carcere a Multan, sempre nella provincia del Punjab. E molti, a partire dai familiari della donna, nutrono timori e forti perplessità sulle condizioni e le tutele che Asia riceverà nella nuova struttura. La possibilità che possa essere eliminata, in una esecuzione extragiudiziale, è dietro l’angolo, dato che eminenti leader musulmani si sono pronunciati pubblicamente sull’opportunità che “la blasfema sia messa uccisa al più presto”.
Il caso di Asia non resta isolato: nel marzo scorso centinai di estremisti hanno dato alle fiamme la “Joseph Colony”, quartiere cristiano di Lahore, solo sulla base di una supposta accusa di blasfemia a carico del giovane cristiano Sawan Masih. Sugli 83 uomini identificati e arrestati, 31 hanno già ottenuto la libertà provvisoria su cauzione. Sawan Masih, falsamente accusato di aver insultato il Profeta Maometto, sarà invece processato in carcere per blasfemia.
La legge sulla blasfemia “è un ostacolo per la democrazia e un oltraggio all'umanità”, dicono i cristiani, ricordando un quadro generale desolate: i fedeli sono “trattati come bestie”, viene negata loro la dignità di esseri umani, denunciano le organizzazioni della società civile. In quanto minoranze religiose, sono discriminate e subiscono normalmente abusi e maltrattamenti da parte dei musulmani.