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venerdì 04 ottobre 2024
 
calcio
 

Il caso Genoa è il caso di tutti noi

29/09/2020  In poche ore 14 contagiati tra cui 12 giocatori. Appesi ai numeri, ai tamponi e ai protocolli. In un attimo tutto può saltare. Ma a ben vedere la serie A non è molto diversa da quello che ci può accadere tutti i giorni

(Nella foto: il presidente del Genoa, Enrico Preziosi)

Il caso Genoa, 14 contagiati in quarantena di cui 12 giocatori, fa parte del «ripartire “in sicurezza”». Dove le virgolette sono la misura di questo tempo storico, della nostra vita quotidiana sulle sabbie mobili del Covid-19 che è ancora tra noi. Tendiamo psicologicamente a rimuovere le virgolette, che sono la visualizzazione grafica della relatività, e tende a rimuoverle, per necessità, chi ci deve convincere che ci dobbiamo fidare del protocollo che passa il convento, anche se sappiamo tutti benissimo razionalmente che non c’è protocollo al mondo che possa consentirci di togliere quelle virgolette a cuor leggero. Le virgolette ci sono: a scuola, sui mezzi pubblici, nei luoghi di lavoro, al supermercato, nei tribunali, all’università, negli studi dei programmi televisivi: viviamo a contatto con un rischio, calcolato e calcolabile solo in parte, che in parte ma non in tutto dipende dalla nostra personale attenzione e in parte non in tutto dall’attenzione degli altri nei nostri riguardi. Ma siamo consapevoli, anche se non ce lo diciamo troppo, che quel metro di distanza – elastico, per altro - che convenzionalmente ci viene indicato al chiuso potrebbe non bastare, che non ci possiamo trincerare dietro la nostra sola mascherina, ma abbiamo bisogno di quella dell’altro.

Ecco il caso Genoa e il campionato di calcio rientrano in questa, nostra, incerta dimensione. Emerge forse di più e meglio per un paio di fattori: è una squadra di Serie A e dunque sta in un contesto visibile e intanto lo sport di contatto professionistico è mediamente sicuramente più controllato della media delle nostre attività quotidiane. E questo è un aspetto su cui non riflettiamo abbastanza. Ci sentiamo ogni giorno dare numeri assoluti di positivi nel Paese: 100 qui, 200 là, 1.500 o 1.900 al giorno, numeri che dicono poco in realtà delle oscillazioni giornaliere, perché dipendono dal numero dei controlli che si fanno e si processano. E qui sarebbe ora di chiedere a chi ci dà i numeri ogni giorno di darci numeri confrontabili, cioè il rapporto tra il numero di contagi individuati e il numero dei test processati. Per questo il caso Genoa è forse meno di quanto sembri un caso Genoa e un caso Serie A, è il caso di tutti noi, che ancora possiamo contagiare ed essere contagiati senza saperlo. In più c’è il fattore sport di contatto, con il suo rischio intrinseco che, però, non rende il calcio dei professionisti diverso da quello della pallacanestro, la Serie A diversa dalla Serie C o dai campionati minori e neppure dalla partitella, ormai da mesi consentita, tra amici al campo di calcetto.

Vedremo rinviare delle partite, certo, forse vedremo un campionato falsato, ma lo stop al campionato finora non sembra nell’aria, un po’ per l’impatto economico un po’ perché probabilmente fermando quello per coerenza si dovrebbe fermare anche tutto lo sport di contatto per tutti a tutti i livelli. Per ora non si fa e speriamo che il rischio sia calcolato bene.

Tra un po’ non possiamo sapere, come non possiamo sapere di noi. La serie A come noi vive appesa ai numeri, a protocolli che chissà se bastano, alla responsabilità di tutti, che però non tutti si prendono allo stesso modo. E che però potrebbe non bastare, restando in bilico in questo limbo di stop e go, tra l’andare e il fermarsi con il fiato sospeso.

 

 
 
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