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sabato 23 settembre 2023
 
Pena di morte
 

Il compleanno di Shahrul, sperando non sia l’ultimo

21/03/2016  Tredici anni nel braccio della morte. Il 9 marzo, Shahrul Izani ha compiuto 32 anni, sapendo che potrebbe essere eseguito da un momento all’altro. “Vive” in un carcere dello Stato malese di Selangor dal 2003, detenuto perché trovato in possesso di 622 grammi di cannabis. Per questo è stato condannato alla pena capitale.

Quando è stato fermato con le foglie essiccate di canapa, Shahrul stava guidando la moto del suo vicino di casa e aveva 19 anni. Era il suo primo reato. Il ragazzo ha trascorso più di sei anni dietro le sbarre in attesa del processo, finché a dicembre 2009 è arrivata la condanna a morte in base alla legge sulle droghe pericolose del 1952. Ha tentato tutte le vie legali, esaurendo senza successo i vari livelli di giudizio.

«Durante la custodia cautelare in attesa del processo», ha detto nell’ultimo appello per la clemenza, «ho perso mio padre. Ora mia madre mi aspetta e ha bisogno di essere aiutata. Tutti meritano una seconda possibilità per essere dei buoni cittadini». In più occasioni, il giovane ha ripetuto di essersi pienamente pentito per il suo crimine e che non lo ripeterà di nuovo se gliene sarà data la possibilità.

Amnesty International da tempo lotta per la vita di Shahrul e invita a firmare una petizione internazionale. Per il mese di marzo, inoltre, propone a tutti di mandare una cartolina di auguri dietro le sbarre: «Serve restituirgli la speranza e lanciare un messaggio alle autorità».

Qualche speranza si era accesa quando, a novembre, il governo malese aveva annunciato che nel 2016 avrebbe presentato in parlamento una proposta di revisione dell’obbligatorietà della pena capitale. Secondo i dati ufficiali, erano state effettuate 33 esecuzioni dal 1998 al 2015, ma i dati sono molto incerti. Nel Regno di Malesia, infatti, vige il segreto di Stato sull’applicazione della pena capitale. Ciò che è certo è che circa la metà delle condanne a morte degli ultimi anni riguardano reati legati agli stupefacenti (16 su 38 nel 2014, 47 su 76 nel 2013).

Secondo la legge malese, chiunque venga trovato in possesso di sostanze stupefacenti, o che si trova ad avere la custodia di edifici o veicoli in cui queste si trovano, è automaticamente accusato di traffico di droga. L’onere della prova passa all’indagato, che deve dimostrare che esiste un ragionevole dubbio della sua presunta colpevolezza.


La Coalizione mondiale contro la pena di morte, di cui Amnesty è parte, ne ha più volte stigmatizzato l’uso per i reati di droga, che in 33 paesi del mondo sono puniti con sentenza capitale. Nel 2014 ci sono state circa 600 esecuzioni legate agli stupefacenti in almeno dieci nazioni: Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Malesia, Singapore, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam. La “mattanza di Stato” è proseguita nel 2015, anche se i dati disponibili sono ancora parziali: 241 fino al 28 aprile in Iran, 58 nei primi otto mesi in Arabia e 14 in Indonesia, tra cui i sette stranieri per cui l’Australia tentò una mobilitazione internazionale.

Amnesty International ha documentato come, soprattutto nei processi per droga, ci siano continue violazioni a un processo equo, fino a tortura e altri trattamenti crudeli e degradanti. «Imputati economicamente svantaggiati», denuncia l’associazione, «sono colpiti in modo sproporzionato».

Anche la Comunità di Sant’Egidio, altro socio fondatore della Coalizione mondiale contro la pena di morte, «sostiene pienamente l’appello al fine di evitare l’uso della pena capitale per reati connessi con il traffico di droga». L’occasione per ribadire la richiesta ci sarà dal 19 al 21 aprile, quando  a New York si svolgerà l’importante Ungass 2016, la sessione speciale dell’Assemblea delle Nazioni Unite sui problemi legati alla droga.

Stefania Tallei della Comunità di Sant’Egidio dice: «Nessuno studio criminologico riesce a provare che la pena di morte è un deterrente efficace. Un caso esemplare è Singapore: sono state inasprite le leggi contro il traffico di droga e oggi è tra i primi Stati che ammazza per tali reati. Eppure, senza alcun successo, in quanto il giro di stupefacenti negli ultimi anni è aumentato in maniera impressionante. Al contrario, in diversi Paesi le esecuzioni vengono comminate ufficialmente per droga, ma talvolta, come nel caso dell’Arabia Saudita, si tratta in realtà di colpire oppositori al regime, molte volte giovanissimi».

Infine Sant’Egidio rilancia con forza l’appello di Papa Francesco per una moratoria della pena capitale nel mondo, durante l’anno del Giubileo della Misericordia. All’Angelus della seconda domenica di Quaresima aveva ribadito: «Le società moderne hanno la possibilità di reprimere efficacemente il crimine senza togliere definitivamente a colui che l’ha commesso la possibilità di redimersi. Il problema va inquadrato nell’ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla dignità dell’uomo e al disegno di Dio sull’uomo e la società, e anche a una giustizia penale aperta alla speranza del reinserirsi nella società. Il comandamento “non uccidere” ha valore assoluto e riguarda sia l’innocente che il colpevole».
 
Per firmare l’appello di Amnesty International a favore di Shahrul Izani:
http://www.amnesty.it/flex/FixedPages/IT/appelliForm.php/L/IT/ca/201

Le cartoline di auguri a Shahrul Izani possono essere spedite a:
Amnesty International Malaysia
D-2-33A, 8 Avenue, Jalan Sungai Jernih 8/1, Section 8, 46050 Petaling Jaya, Selangor, Malaysia.

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