È difficile immaginare un ricordo più discreto di una pietra d’inciampo: si tratta di una lastrina di ottone, incastonata nel selciato di una città per commemorare una vittima della Shoah in genere davanti alla casa in cui è vissuta. Se ne trovano in tutta Europa e in moltissime città italiane, le ha inventate l’artista tedesco Gunter Demnig. Sulla piastrina ci sono incisi il nome e la data di nascita e di morte di un deportato e il nome del lager in cui ha terminato i suoi giorni. Date e nomi, zero commenti. Chi cammina abbassa lo sguardo sulla targhetta lucida, non vi inciampa perché non è fatta per tendere trappole, e (si spera) riflette.
Dire che ricordare milioni di vittime oggettive dell’odio con questa modalità, che più sobria non potrebbe essere, rischia «di portare di nuovo odio e divisioni», come dalle pagine del Giornale di Vicenza ha detto Alberto Bertoldo di Noi cittadini, lista di maggioranza del centrodestra, per spiegare il no alle pietre da parte del Consiglio comunale di Schio, è costringere la logica a un salto mortale con triplo avvitamento. Prova ne è, caso mai ce ne fosse bisogno, la tempestiva e pubblica presa di distanza del presidente del Veneto Luca Zaia e di altri esponenti della Lega in Regione.
È evidente che a rinfocolare l’odio non sono queste pietruzze silenziose, che affermano senza aggettivi una incontrovertibile e drammatica verità storica, ma coloro che questa verità non vogliono vedersi davanti agli occhi camminando. Non potendo ammettere che hanno nostalgia di quel mondo e di quell’odio, cosa che li collocherebbe immediatamente fuori dal perimetro della Costituzione repubblicana che non può che essere patrimonio comune alla destra e alla sinistra, danno la colpa alle pietre, che democraticamente mandano un monito silenzioso a tutti, indipendentemente dal colore politico di chi le guarda.
Ma le pietre da sole non rinfocolano l’odio, nemmeno quelle che si possono tirare (e non è questo il caso) perché sono inerti. Dipendono dagli uomini che decidono che cosa farne. Le pietre di inciampo sono un documento storico che, come diceva Henri-Irénée Marrou, parla in proporzione alla capacità di chi lo legge di farlo parlare. Se chi le legge sente montare l’odio, anziché il monito a non ripetere, il problema è nel suo sguardo.