Equilibrio. Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia, multinazionale olandese di selezione, formazione e somministrazione di lavoro presente in 39 Paesi (4.400 filiali e 28.720 dipendenti), usa questo termine per tracciare lo stato dell’arte del lavoro in Italia. Equilibrio tra parti sociali (impresa e sindacati), tra vita professionale e vita familiare, tra generazioni.
Equilibrio è il contrario di conflitto sociale. Crede che in Italia sul tema lavoro sia in aumento?
Credo di sì. E dovremmo fare di tutto per abbassarlo. Imprese e lavoratori.
Partiamo dalle imprese.
Hanno bisogno di competere in un mondo che si fa sempre più frenetico. Chiedono flessibilità, ma non possono ignorare le competenze. Devono trovare un modo per adattare il proprio personale al mercato che cambia, ma formando non solo tagliando. L’imprenditore non può usare sempre e soltanto la leva della “contrattazione di forza”. Sono possibili strade nuove per conciliare.
Conciliazione, altro tema chiave.
Questione di equilibri anche qui. Non si può pretendere di avere lavoratori motivati solo sui salari e le gratifiche professionali. Oggi è attualissimo tutto il tema di come incastrare tempi di vita e di lavoro. E quel che sembra una spesa secca per le aziende è in realtà un investimento. In Randstad garantiamo 350 euro per l’asilo nido a chi rientra dalla maternità. E’ un aiuto ma anche un messaggio. Per noi quella maternità è un valore, tanto quanto per la donna che ne è protagonista. Siamo a fianco non contro. E’ un cambio culturale che nelle aziende deve ancora tradursi in concrete azioni di welfare aziendale. Ci sono spazi enormi che si possono e si devono ancora percorrere.
C’è un equilibrio da cercare tra generazioni. Qualcuno ha detto che il Jobs Act fa tutt’altro che bene in tal senso, visto che crea un doppio canale in materia di licenziamenti tra vecchi e nuovi assunti.
Al di là del Jobs Act, oggi in azienda c’è meno solidarietà. Un tempo era quasi un orgoglio per un “anziano” tramandare saperi e competenze a chi avrebbe dovuto sostituirlo. Oggi c’è più competizione, c’è quasi il timore che questo possa tradursi in un danno per chi passa la mano. E i giovani vedono le vecchie generazioni come ingombranti, obsolete nella difesa di privilegi a cui faticheranno ad accedere. In realtà, se si guarda all’andamento demografico, si scopre che saremo sempre di meno, avremo una offerta di lavoro sempre più insufficiente a coprire i bisogni del mercato. Dunque è una paura fuori posto. Anche qui basterebbe un po’ di equilibrio in più.
Domanda personale: ha senso festeggiare oggi il 1° maggio. Lei lo festeggia?
Ho lavorato per anni in Olanda. E quando dicevo loro che da noi era festa mi guardavano strano. “Una festa del lavoro non andrebbe festeggiata… lavorando?” mi dicevano. Ma quello è un mondo un po’ distante.