Da Bozoum*. Repubblica Centrafricana. Un Paese
grande due volte l’Italia, con
4 milioni di abitanti. E molti problemi.
A marzo 2013 alcuni gruppi
di ribelli (chiamati Seleka)
prendono il potere. In gran parte gente
del Ciad e del Sudan, musulmani, parlano
quasi solo arabo. E iniziano a rubare,
saccheggiare, torturare, uccidere e
distruggere il poco che c’è. Sembrano
inarrestabili, e parte della comunità
musulmana (il 10 per cento della popolazione)
si appoggia a loro.
La Chiesa cattolica, i protestanti e alcuni
imam musulmani, si rendono conto
molto presto (nel dicembre 2012) che
la situazione può degenerare. Insieme
creano una sorta di forum dei leader religiosi, che si riunisce e si sposta nelle
città del Paese per scongiurare il pericolo
della guerra.
Dopo quasi un anno di dominio della
Seleka, però, nasce un movimento di
reazione contro i soprusi e le violenze:
gli antibalaka. Questo movimento si diffonde
rapidamente in tutto il Paese, e
anche se armato di fucili di costruzione
artigianale e poco coordinato, il nuovo
gruppo ribelle si rivela molto attivo. Inizia
ad attaccare le città, costringendo i
ribelli della Seleka a ritirarsi lentamente
da gran parte del Centrafrica. La maggioranza
della popolazione fugge, abbandonando
case e quartieri per vivere
come rifugiati là dove c’è un po’ più di
sicurezza. Le parrocchie cattoliche, a
partire da dicembre scorso, si riempiono
di migliaia di sfollati. Ed è la situazione
che perdura ancora oggi.
Una volta partiti i ribelli della Seleka,
gli antibalaka attaccano anche gli
islamici, colpevoli, in parte, di connivenza
col vecchio regime. In pochi mesi
i musulmani, da membri di spicco della
comunità (l’80 per cento dei commerci
e dei trasporti erano in mano loro) diventano
un bersaglio. Anche loro sono
costretti a scappare. Si rifugiano a migliaia
nelle missioni cattoliche.
Avviene
un esodo. Quasi tutti devono partire
e andarsene in Camerun o in Ciad, perdendo
quasi tutto quello che avevano.
Questa guerra, classificata come
“guerra di religione” da gran parte dei
media, è tutto meno che un conflitto fra
cristiani e islamici.
Il fatto stesso che i
musulmani vadano a rifugiarsi nelle
missioni cattoliche, è un segno chiaro
che la tensione non è religiosa, ma etnica,
culturale ed economica.
E la Chiesa, in questo periodo, ha
mostrato uno dei suoi volti più belli e
materni: aule, saloni, chiese aperte ad
accogliere ogni uomo, donna e bambino
che sia nel bisogno, senza nessun
pregiudizio né distinzione. A Bozoum,
in un primo tempo abbiamo accolto i
cristiani, circa 5 mila persone, tra il 6 dicembre
e il 18 gennaio. Tutte le aule scolastiche
e i saloni erano pieni di gente,
e c’era tutto da fare: distribuzione del cibo,
le pulizie, vigilanza e sicurezza...
Appena partiti loro, è stata la volta
dei musulmani. Tremila e 500 sono partiti
il 13 gennaio con i ribelli della Seleka,
e 2.500 sono rimasti in città, confinati
in un quartiere, a causa degli attacchi
e dei furti degli antibalaka. E anche
a loro assicuriamo la sicurezza, portiamo
ogni giorno l’acqua potabile, e compriamo
del riso per assicurare la sopravvivenza,
fino al 4 febbraio, quando riescono
a tornare alle loro case.
La partenza degli ultimi musulmani
è un momento di grande tristezza:
un uomo di 60 anni viene a salutarmi.
Mi abbraccia e si mette a piangere.
Ci vorrà molto tempo per ricostruire
una convivenza pacifica. Ma ci stiamo
già lavorando.
* Padre Aurelio Gazzera è missionario carmelitano a Bozoum, 400 km a nordovest della capitale Bangui