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Il coraggio della Chiesa che ferma i massacri

18/04/2014  Il conflitto politico poteva diventare anche religioso. Un missionario “in prima linea” racconta perché non è accaduto.

Da Bozoum*.  Repubblica Centrafricana. Un Paese grande due volte l’Italia, con 4 milioni di abitanti. E molti problemi. A marzo 2013 alcuni gruppi di ribelli (chiamati Seleka) prendono il potere. In gran parte gente del Ciad e del Sudan, musulmani, parlano quasi solo arabo. E iniziano a rubare, saccheggiare, torturare, uccidere e distruggere il poco che c’è. Sembrano inarrestabili, e parte della comunità musulmana (il 10 per cento della popolazione) si appoggia a loro. La Chiesa cattolica, i protestanti e alcuni imam musulmani, si rendono conto molto presto (nel dicembre 2012) che la situazione può degenerare. Insieme creano una sorta di forum dei leader religiosi, che si riunisce e si sposta nelle città del Paese per scongiurare il pericolo della guerra.

Dopo quasi un anno di dominio della Seleka, però, nasce un movimento di reazione contro i soprusi e le violenze: gli antibalaka. Questo movimento si diffonde rapidamente in tutto il Paese, e anche se armato di fucili di costruzione artigianale e poco coordinato, il nuovo gruppo ribelle si rivela molto attivo. Inizia ad attaccare le città, costringendo i ribelli della Seleka a ritirarsi lentamente da gran parte del Centrafrica. La maggioranza della popolazione fugge, abbandonando case e quartieri per vivere come rifugiati là dove c’è un po’ più di sicurezza. Le parrocchie cattoliche, a partire da dicembre scorso, si riempiono di migliaia di sfollati. Ed è la situazione che perdura ancora oggi.

Una volta partiti i ribelli della Seleka, gli antibalaka attaccano anche gli islamici, colpevoli, in parte, di connivenza col vecchio regime. In pochi mesi i musulmani, da membri di spicco della comunità (l’80 per cento dei commerci e dei trasporti erano in mano loro) diventano un bersaglio. Anche loro sono costretti a scappare. Si rifugiano a migliaia nelle missioni cattoliche.
Avviene un esodo. Quasi tutti devono partire e andarsene in Camerun o in Ciad, perdendo quasi tutto quello che avevano. Questa guerra, classificata come “guerra di religione” da gran parte dei media, è tutto meno che un conflitto fra cristiani e islamici.
Il fatto stesso che i musulmani vadano a rifugiarsi nelle missioni cattoliche, è un segno chiaro che la tensione non è religiosa, ma etnica, culturale ed economica. E la Chiesa, in questo periodo, ha mostrato uno dei suoi volti più belli e materni: aule, saloni, chiese aperte ad accogliere ogni uomo, donna e bambino che sia nel bisogno, senza nessun pregiudizio né distinzione. A Bozoum, in un primo tempo abbiamo accolto i cristiani, circa 5 mila persone, tra il 6 dicembre e il 18 gennaio. Tutte le aule scolastiche e i saloni erano pieni di gente, e c’era tutto da fare: distribuzione del cibo, le pulizie, vigilanza e sicurezza...

Appena partiti loro, è stata la volta dei musulmani. Tremila e 500 sono partiti il 13 gennaio con i ribelli della Seleka, e 2.500 sono rimasti in città, confinati in un quartiere, a causa degli attacchi e dei furti degli antibalaka. E anche a loro assicuriamo la sicurezza, portiamo ogni giorno l’acqua potabile, e compriamo del riso per assicurare la sopravvivenza, fino al 4 febbraio, quando riescono a tornare alle loro case. La partenza degli ultimi musulmani è un momento di grande tristezza: un uomo di 60 anni viene a salutarmi. Mi abbraccia e si mette a piangere. Ci vorrà molto tempo per ricostruire una convivenza pacifica. Ma ci stiamo già lavorando.

* Padre Aurelio Gazzera è missionario carmelitano a Bozoum, 400 km a nordovest della capitale Bangui

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