Dei suoi giovani 38 anni, Clorinda ne ha passati 11 in quell'inferno che tutte le donne maltrattate conoscono, ma che per ciascuna di loro ha tormenti e tormentatori strettamente personali. Spesso le vittime nascondono dolori e carnefici agli occhi del mondo, per paura e per i sensi di colpa, per l'insicurezza che la violenza continuamente subìta genera in chi la porta addosso. Per 11 anni è stato così anche per Clorinda. Poi ha trovato la forza di parlarne, di allontanarsi di nascosto dal marito violento insieme alle figlie e di ricostruirsi una vita nuova. Ha raccontato la sua odissea alle ricercatrici dell'associazione Intervita in occasione del rapporto "Quanto costa la violenza?" e l'ha riassunta anche per noi.
"Nel gennaio 2002 sono arrivata in Italia dalla Romania, per raggiungere mio marito che lavorava qui da un anno", ricorda con il suo tono gentile e coraggioso. "Avevamo già una bambina, ma una volta trasferita in Italia mi sono ritrovata quasi subito incinta della seconda figlia. Così non potei cercare lavoro, mentre mio marito, occupato come operaio, veniva pagato sempre in ritardo. Ma non fu il problema economico a inquinare il nostro rapporto. Durante i primi due anni di matrimonio, mentre eravamo ancora in Romania, mio marito aveva sì scatti d'ira, ma si conteneva, non alzava le mani su di me nè mi gettava addosso oggetti. Fu in Italia che iniziò a maltrattarmi, e non smise più".
Anzi, fu un'escalation. All'inizio l'uomo chiedeva scusa a Clorinda il giorno dopo averla colpita, ma attribuiva sempre la colpa a qualcuno che l'aveva fatto arrabbiare. Poi iniziò a dare la colpa della sua ira solo a lei . Si ubriacava molto spesso e la sera, al ritorno a casa, era una gragnuola di pugni all'addome e ad altre parti del corpo della moglie coperte dai vestiti, perché non si vedessero i segni della violenza. "Non lo faceva davanti alle figlie, e io stavo ben attenta, la sera, a chiudere la porta della loro camera e a tenere alto il volume del televisore, perché non sentissero. Ma le bambine se ne accorgevano e avevano paura. Fu questo a farmi decidere di chiedere aiuto".
Questo, e un episodio più grave degli altri, con sigarette spente sul corpo di Clorinda, bersagliato poi di piatti, cibo, vino e urina. Le figlie sentirono e, una settimana più tardi, la madre riuscì a parlare del suo tormento con una loro maestra, che a sua volta avvisò una psicologa e un'assistente sociale. Fu così che un giorno l'assistente sociale prelevò Clorinda a casa, le bambine a scuola e le accompagnò in un centro anti-violenza dotato anche di una casa-rifugio segreta. Era l'autunno del 2011 "e cominciammo il percorso verso una vita decente", confessa con sollievo la donna. Ora lei lavora e può sostenere l'affitto di un appartamento, le ragazze, che hanno 11 e 14 anni, "sono rinate. Non si parla più dei brutti episodi di un tempo, che invece prima ricordavano. Il Tribunale ha tolto al mio ex marito la patria potestà e mi ha affidato le figlie. Lui non mi ha mai dato neppure un euro e, dopo i primi tempi nei quali cercava di chiamarmi per insultarmi, non si è più fatto vivo. Io gli farei anche incontrare le ragazze, per non troncare ogni loro rapporto col padre, ma gli assistenti sociali non riescono a rintracciarlo".