È ancora ben vivo in me il ricordo di quando, nella scorsa primavera, ho fatto il volontario, per un giorno, nel reparto dei malati con disabilità in un ospedale di Milano.
Arrivato in questo ospedale, sono stato ricevuto da un medico preposto a queste iniziative. Mi ha spiegato, in breve, come comportarmi con i malati e poi mi ha accompagnato verso la grande e spaziosa sala giochi/multiuso posta al 2° piano dell’edificio. Nella sala c’erano circa 20 bambini tra maschi e femmine, disposti in piccoli gruppi. Alcuni con i propri genitori, altri con educatori e operatori socio-sanitari, altri lasciati da soli e la maggior parte di loro seduti sulle sedie a rotelle. L’impatto, a dir poco, è stato scioccante, tremendo, non mi aspettavo di trovare dei bambini piccoli e innocenti affetti da varie malattie, una diversa dall’altra, una più cruda dell’altra. Alcuni senza la possibilità di comunicare, di camminare, altri in attesa di trapianto, altri con malattie tumorali e altri con malattie difficili persino da spiegare. Mi sono fatto coraggio, ho preso una sedia e mi sono seduto accanto a loro.
Ho iniziato a parlare, dapprima rispondendo a tutte le loro curiosità, poi ho proseguito parlando e raccontando episodi della mia infanzia. Mentre raccontavo, un bambino mi chiese perché avevo una cicatrice sul collo. Come si sa ai bambini non sfugge nulla! Risposi che all’età di 6 anni una mattina mi sono svegliato con una ghiandola sul collo grossa come una noce. Anch’io, come voi, sono stato colpito da una grave malattia e sono stato lontano dai baci e dalle carezze della mia mamma per 2 lunghissimi anni, ricoverato in un istituto. Insieme abbiamo parlato tanto quel giorno e da quei bambini nessun cenno o lamento sulla propria malattia. Loro amano ascoltare, familiarizzare con persone esterne, nuove, diverse e capire se le persone, senza disabilità, sono felici o infelici. Da noi non vogliono pietà, ma vogliono con orgoglio, in silenzio, mostrarci tutto il loro coraggio nel sopportare e nel combattere, ogni giorno, le crudeli malattie. Ho visto mamme piangere, pregare, dire il rosario e vagare con lo sguardo assente nei lunghi corridoi.
Quel pomeriggio, improvvisamente, si alzò un forte vento, alcuni bambini si avvicinarono alle grandi pareti di vetro. Con i visi appiccicati ai vetri e con gli occhi seguivano le folate del vento. Sotto la furia del vento gli alberi del giardino si piegavano, le foglie ingiallite (malate) dopo una breve e debole resistenza si staccavano dai rami e cadevano a terra. Osservando quei bambini coraggiosi ho fatto questa riflessione: anche loro sono come le foglie ingiallite. Sotto la furia della malattia, si oppongono, fanno resistenza, si aggrappano con tutta la loro forza alle mani e all’amore delle loro mamme, fino all’ultimo respiro, con la sola differenza che loro non cadono a terra, ma salgono in cielo, a continuare i loro giochi in paradiso. Verso sera li ho salutati affettuosamente, sarà per l’età che ho, sarà che per i bambini ho una sensibilità particolare, li ho lasciati con alcune lacrime miste di amarezza e di rabbia. Madre natura, con loro, è stata matrigna, cattiva. Vivere queste emozioni ti provoca delle ferite interne, ti cambia dentro, non sei più quello di prima.
Quella sera prima di coricarmi ho fatto una cosa inconsueta, ho preso le foto dei miei figli da bambini e delle mie nipotine, le ho guardate a lungo, le ho strette al petto e senza accorgermi, stanco, mi sono addormentato con loro.
FIORENZO
Caro Fiorenzo, non ci sarebbe niente da aggiungere a questo racconto di vita. Parla da solo e sollecita tutti noi almeno in due modi. Parto dalla tua ultima frase, dove racconti del gesto per te inconsueto di stringere al petto le foto dei tuoi figli da piccoli e delle tue nipotine. Lo trovo un modo affettuoso e commovente per esprimere la riconoscenza per il dono ricevuto. Non è un merito avere dei bambini sani, ma qualcosa di cui rendere grazie. La prima sollecitazione è dunque questa: essere riconoscenti e tenere vivi i legami di affetto, di amore, di aiuto nei confronti dei propri cari. Abbiamo tutti bisogno di coltivare sempre di più e sempre meglio le relazioni familiari, i rapporti tra di noi, partendo proprio dai legami con chi ci è più vicino.
La seconda sollecitazione che deduco dalla tua lettera riguarda l’apertura verso chi nella vita è stato meno fortunato. Basta anche solo qualche ora di volontariato, dedicando del tempo a chi è malato e solo. Si tratta soprattutto di mettersi accanto a chi soffre, a chi ha bisogno, dialogando con loro. Questo vale a maggior ragione per i bambini, che mostrano un coraggio straordinario e nello stesso tempo sono curiosi, desiderosi di familiarizzare con persone nuove, ascoltando le loro storie. Alla fine, questi incontri fanno bene anche ai visitatori, che si sentono scuotere dentro e comprendono meglio ciò che conta davvero nella vita.
Chiunque, di fronte alla sofferenza dei bambini, sente sgorgare le tue stesse lacrime di amarezza e di rabbia, caro Fiorenzo. Quello del dolore innocente è davvero un mistero insondabile. Lo ha ricordato anche papa Francesco incontrando a Santa Marta un gruppo di bambini malati accompagnato dai familiari. «C’è anche una domanda», ha detto ai presenti, «la cui spiegazione non si impara nelle catechesi. È la domanda che tante volte io mi faccio, e tanti di voi, tanta gente si fa: “Perché soffrono i bambini?”. E non ci sono spiegazioni. Anche questo è un mistero. Soltanto guardo Dio e domando: “Ma perché?”. E guardando la Croce: “Perché Tuo figlio è lì? Perché?”. È il mistero della Croce».
Eppure sentiamo che in questo mistero insondabile c’è qualcosa di più del dolore e della sofferenza. Il nostro stesso cuore freme di commozione e si scioglie dalla sua durezza per aprirsi all’amore. Quanto bisogno abbiamo oggi di essere meno cinici e chiusi e più disponibili verso chi ha bisogno! Riprendo ancora le parole di papa Francesco rivolte ai bambini malati e ai loro genitori: «Io vi accompagno così come sono, come sento. E davvero io non sento una compassione momentanea, no. Io vi accompagno con il cuore in questa strada, che è una strada di coraggio, che è una strada di croce, e anche una strada che a me fa bene, mi fa bene il vostro esempio. E vi ringrazio di essere così coraggiosi. Tante volte, nella mia vita, sono stato codardo, e il vostro esempio mi ha fatto bene, mi fa bene»
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