Brasiliani con le mascherine radunati in una manifestazione pro-Bolsonaro il 15 marzo (foto Reuters).
(Foto Reuters sopra: il presidente brasiliano Jair Bolsonaro mentre stringe la mano ai suoi sostenitori nella manifestazione a Brasilia domenica 15 marzo)
Il Brasile registra la sua prima vittima del coronavirus: un uomo di 62 anni di San Paolo. Nel gigante sudamericano al momento ci contano al momento 234 casi confermati (la grande maggioranza a San Paolo) e più di duemila sospetti. Il 16 marzo il presidente Jair Bolsonaro ha deciso di creare un comitato di crisi, formato da vari ministeri, con il compito monitorare e gestire la diffusione del virus. Ma nel frattempo ha continuato a minimizzare il problema dell’epidemia. Da campione delle dichiarazione sconcertanti, prima ha bollato la preoccupazione della gente come «isteria». Poi, ha parlato del problema del coronavirus come di una «sopravvalutazione», affermando che «non è tutto quello che dicono» e aggiungendo che la malattia «in Cina sta praticamente finendo».
Non solo. Come se la pandemia non toccasse il Brasile, domenica scorsa in varie città del Paese, da San Paolo a Rio, si sono svolte manifestazioni di piazza a sostegno del Governo, ignorando apertamente le raccomandazioni del ministero della Sanità di evitare in ogni modo gli assembramenti di persone e i luoghi affollati. Moltissimi manifestanti sono comparsi in strada con le mascherine di protezione ma tutti stretti fra di loro senza alcuna attenzione per la distanza di sicurezza. Bolsonaro stesso, dopo aver ufficialmente chiesto l’annullamento delle proteste, ha dato un pessimo esempio prendendo parte alla manifestazione a Brasilia, facendosi fotografare mentre passava in mezzo ai suoi sostenitori e stringeva loro la mano, di fronte al Palácio do Planalto, la sede presidenziale. Così facendo, il capo di Stato ha violato non solo le raccomandazioni, ma anche l’isolamento nel quale sarebbe dovuto restare dopo essere entrato in contatto con varie persone che sono risultate contagiate.
Il coronavirus gli è arrivato vicinissimo: di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, in Florida, per un incontro con Donald Trump, il suo portavoce è risultato positivo al tampone del virus. Bolsonaro e tutto il suo entourage sono stati sottoposti al test: lui è risultato negativo. Il calcio si è fermato. Domenica la Federazione calcistica brasiliana ha annunciato lo stop a tutte le competizioni fino a data da destinarsi. Sulle misure da adottare i singoli Stati federati decidono autonomamente: alcuni hanno chiuso le scuole e annullato tutti i grandi eventi pubblici. Il governatore di Rio de Janeiro ha decretato lo stato di emergenza.
Misure molto più drastiche sono state adottate da tutti gli altri Paesi latinoamericani - dove non si registrano ancora numeri allarmanti di contagio - anche in vista dell'arrivo della stagione invernale. Il pensi Il Perù, dove sono stati confermati circa 70 casi, ha chiuso le frontiere e sta valutando una quarantena per tutto il Paese. Anche la Bolivia - dove i contagi accertati sono al momento solo tre - ha decretato lo stop a tutti i voli da e per l’Europa e ha adottato una serie di misure, come il divieto di eventi pubblici di massa con la partecipazione di più di mille persone, come i concerti. In Venezuela, Paese dilanciato da una grave emergenza umanitaria, Nicolás Maduro ha messo in quarantena la capitale Caracas e sei Stati. In Colombia, dove i casi accertati sono una sessantina, il presidente Iván Duque ha deciso di chiudere le frontiere terrestri, marittime e fluviali per più di due mesi, fino al 30 maggio. Colombiani e residenti - solo loro - possono entrare nel Paese per via aerea.
In Argentina Il presidente Alberto Fernández ha deciso di chiudere le frontiere in ingresso - anche dai vicini Paesi latinoamericani - e tutte le scuole fino al 31 marzo. Il calcio è sospeso. Tutti i parchi nazionali sono stati chiusi, come i cinema e i teatri. Vietati e annullati manifestazioni sportive, eventi pubblici e spettacoli. Per limitare la circolazione di persone, si raccomanda a tutte le imprese di sollecitare e sviluppare lo smart working, limitando al massimo la presenza di dipendenti nel luogo di lavoro. Nel Paese si registrano al momento circa 68 casi, di cui il 70% a Buenos Aires. Il Governo sta valutando un lockdown (blocco) completo. Ma in una situazione di emergenza alimentare, con più del 40% della popolazione in stato di povertà, le conseguenze sociali ed economiche per il Paese potrebbero essere devastanti.