Una riflessione a partire da una lettera uscita su Repubblica. Va superato l’analfabetismo religioso, riconoscendo che in realtà la fede cristiana nasce inglobando e valorizzando le donne
Fa riflettere, se non indignare, la lettera uscita il 29 settembre su Repubblica, nel blog di Concita De Gregorio, in cui un lettore ascrive alla religione la causa dei femminicidi. La responsabilità di una cultura misogina e violenta verso le donne, nel contesto occidentale-cristiano, sarebbe di Paolo di Tarso, colui che avrebbe “posto le basi” del cristianesimo. Va preso atto, prima di tutto, dell’analfabetismo religioso dilagante, la cui responsabilità non è tanto di chi lo vive ma di quanti avrebbero dovuto informare ed educare, perché, piuttosto che pregiudizi gratuiti, vengano formulati giudizi consapevoli e documentati.
Al corrispondente della De Gregorio sottopongo tre considerazioni. La prima di metodo: l’interpretazione delle Scritture, come delle vicende storiche della Chiesa e delle dottrine che le hanno accompagnate, tende sempre più a distinguere il messaggio dalle incrostazioni culturali, sociali e politiche del tempo in cui i testi sono stati redatti e le dottrine formulate. Altrimenti cadremmo in letture letteralistiche dei testi sacri che rischiano di veicolare posizioni fondamentaliste, sia nell’ambito credente che in quello laicista. Certo, tutto ciò costa fatica e richiede studio e informazione corretta.
La seconda considerazione sta nel fatto, ormai acquisito, che non è Paolo il fondatore del cristianesimo. Il riferimento è Gesù di Nazaret, le sue parole e i suoi gesti, ai quali sempre e comunque dobbiamo riferirci se vogliamo continuare a dirci cristiani e che non possiamo rifiutare senza comprendere ed essere certi di aver ben capito il messaggio che dalla vicenda del Nazareno giunge fino a noi grazie, e a volte nonostante, la Chiesa.
Infine, proprio in riferimento alle parole e ai gesti di Gesù, mi sembra ormai acquisito il carattere rivoluzionario del suo rapportarsi al femminile anche in contrapposizione con la sfera religiosa propria del suo tempo e luogo, riconosciuto con estrema onestà intellettuale da un poeta-cantautore diversamente credente come Fabrizio De André, che così si esprimeva guardando alle donne che seguivano Gesù verso il Calvario: «Fedeli umiliate da un credo inumano che le volle schiave già prima di Abramo, con riconoscenza ora soffron la pena di chi perdonò a Maddalena, di chi con un gesto soltanto fraterno una nuova indulgenza insegnò al Padreterno» (Via della Croce).
Quanto alla Vergine Madre, cui la lettera fa riferimento, pur riconoscendo che certe espressioni e rappresentazioni edulcorate non le rendono un buon servizio, mi limito a rimandare al bel testo del filosofo Massimo Cacciari Generare Dio (il Mulino), dove si mostra in maniera laica e disincantata il carattere rivoluzionario del dogma di Efeso (“Maria madre di Dio”), nel quale esplode con tutta la sua forza innovatrice il paradosso cristiano, che supera ogni logica umana, troppo umana.