La sentenza emessa oggi dalla Corte di Cassazione postula e abbraccia tre valori alla base del nostro vivere civile. In primo luogo, la laicità e l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Quindi, la consapevolezza che il crocifisso esprime e riassume l’anima più autenticamente popolare della cultura del nostro Paese. Infine, tale pronunciamento incrocia il nostro desiderio che l’educazione delle nuove generazioni tenda a far comprendere la valenza universale di quell’Uomo in croce, specchio di chiunque soffra ingiustamente, a prescindere dalla sua istruzione, dal suo censo, dalla religione professata.
Con la sentenza numero 24414, pubblicata il 9 settembre 2021, la Corte di Cassazione, a sezioni civili unite, si è occupata dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche salvaguardando, per quanto ci è dato fin qui sapere (si attende ancora il deposito delle motivazioni) , i tre principi richiamati all’inizio. La sentenza, per ciò che si apprende leggendo il comunicato stampa della Corte, si ispira da un lato alla laicità delle istituzioni pubbliche e dall’altro alla tradizione culturale e religiosa dell’Italia, mentre si pone a baluardo dell’autonomia della comunità scolastica. Una posizione che potrebbe sembrare irenica, ma che si rivela interessante e stimolante, in quanto viene a dirci che l’esposizione del crocifisso non è proibita in nome di una presunta neutralità delle istituzioni civili nei confronti delle appartenenze religiose.
La possibile convivenza di simboli anche appartenenti ad altre culture e religioni, infatti, dipende dalla composizione della comunità scolastica e comunque ciò che preme è evitare occasioni di conflitto, ma piuttosto favorire l’integrazione e l’inclusione, nella reciprocità e nel rispetto delle diverse sensibilità. In tal senso si auspica un atteggiamento dialogante anche da parte dell’autorità di chi è chiamato a governare la scuola.
In ogni caso l’affissione del crocifisso non sarà da interpretare come elemento discriminatorio, né nei confronti del docente che intende rimuoverlo, né nei confronti di altre presenze nel gruppo di classe, in quanto ad esso, secondo il comunicato della Corte, si legano, in un Paese come il nostro, l’esperienza vissuta di una comunità̀ e la tradizione culturale di un popolo. Questo riconoscimento è interessante e a mio avviso fecondo.
Tuttavia, mi sembra che il compito educativo possa e debba consistere nel mostrare la valenza non identitaria o, peggio, integralista e talebana del simbolo, ma la sua universalità. In tal senso chiunque non dovrà farne un simbolo divisivo, né, come cristiani, lo brandiremo per negare con violenza i diritti di altre appartenenze religiose e culturali e, nel rispetto della sana laicità, che le istituzioni civili richiedono, siamo chiamati a mostrare la valenza universale di quel “venerdì santo storico”, che diviene “venerdì santo speculativo” (G. F. G. Hegel) in quanto sta a rappresentare il dolore infinito (innocente) e l’ingiustizia che attraversano i secoli e le regioni di questo mondo, stimolando il pensiero nella ricerca di senso e di redenzione. Prima che fede e religione, questa è cultura.