Storie di solidarietà,
di accoglienza, di coraggio. In una parola, di amore. Sono quelle di
Piera Tortore, suor Paola Battagliola, padre Giorgio Nonni (insieme a Brescia, nella foto), i tre
missionari salesiani che, questa mattina a Brescia, hanno ricevuto il
premio Cuore Amico (una targa e 50 mila euro ciascuno).
Il riconoscimento,
giunto quest’anno alla 23ª
edizione e definito il «Nobel dei missionari», viene assegnato a
religiosi e laici che si sono distinti per l’opera compiuta nei
Paesi poveri. A introdurre la cerimonia di premiazione, don Armando
Nolli, presidente di Cuore Amico Fraternità onlus, l’associazione
fondata nel 1980 da don Mario Pasini per sostenere le necessità dei
missionari, che «sono nel contempo discepoli, ovvero persone che non
si stancano di imparare; apostoli, cioè “coloro che sono mandati
per” e maestri di vita». Presenti varie autorità cittadine, tra
cui il sindaco Emilio Del Bono, il pro vicario della diocesi,
monsignor Cesare Polvara, il vice questore Emanuele Recifari.
La prima storia è
quella di Piera, classe 1942, originaria di Cuneo, medico con tre
specializzazioni che, un giorno di circa trent’anni fa, rinuncia a
diventare primario, prepara la valigia e parte per la Repubblica
Democratica del Congo. Oggi lavora come ecografista al Policlinico
Don Bosco di Lumumbashi, dove è anche direttrice sanitaria. Fa molto
per i malati, ma ancora di più fa per i bambini. Ne “adotta”
venti, ospitandoli nella piccola casa in cui vive, un ex deposito di
carbone.
Si dedica alla cura dei
più piccoli anche suor Paola, religiosa delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, che, nel 1988, lascia Manerbio, un paese in provincia
di Brescia, per approdare a Timor Est, una piccola isola del
Pacifico. Qui si occupa in particolare dell’orfanotrofio e in
seguito di costruire le scuole materna, elementare, professionale,
sempre con un occhio di riguardo per le ragazze, di norma relegate
alle attività domestiche. «Il valore educativo va in parallelo con
la promozione umana», sostiene la suora, «investire nell’educazione
significa guardare al futuro».
Quando è la volta di
padre Giorgio, è lui stesso a definirsi «un prete contadino». Uno
che ha in testa una sola parola: carità. Classe 1953, originario di
Faenza, inizia la sua opera in gioventù tra le file dell’Operazione
Mato Grosso per ritrovarsi oggi in Perù, a Lamellin, una sierra
vasta e poverissima. Il progetto a cui tiene di più è l’“oratorio
delle Ande”, un lavoro paziente e quotidiano di catechesi rivolto a
bambini e ragazzi. «Più cerchi di dare e più ti accorgi che hai
dato poco, ma ricevuto molto», racconta.
Storie di gratuità,
queste, che anche grazie al premio potranno continuare. E diventare
altre storie. Altre scuole, altri ambulatori, altre mani tese verso
chi ha bisogno.
In chiusura, il ricordo
di Afra Martinelli, la missionaria bresciana uccisa in Nigeria dieci
giorni fa. Purtroppo si sa che le storie, anche quelle più
straordinarie, non sempre hanno un lieto fine.