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lunedì 07 ottobre 2024
 
 

Il cuore di Brescia in Burundi

15/11/2012  La provenienza dalla stessa provincia della Diocesi con volontari e sacerdoti Fidei Donum e di diverse Ong ha facilitato un progetto di cooperazione nel segno delle donne

È il 26 ottobre del 2012: sul sito ViaggiareSicuri, gestito nei contenuti dal Ministero degli Affari Esteri, si legge: «Si sconsigliano viaggi a qualsiasi titolo in Burundi. Resta alto il livello di guardia dovuto al persistere, non confermato, di bande ribelli. Si rammenta l'attacco armato (novembre 2011) ove furono uccisi una suora croata e un cooperante italiano, mentre una religiosa italiana risultò gravemente ferita. Non è tuttora remoto il rischio di sequestri a danno degli occidentali. Si continuano a registrare episodi, anche gravi, di attacchi ad opera di ignoti ai danni della popolazione locale nelle regioni rurali, in particolare nelle aree a Nord Ovest della Capitale al confine con Repubblica Democratica del Congo (Rukoko), tra voci non sempre confermate sulla formazione di bande ribelli». Come a dire, del Burundi si sa poco o nulla, dunque, meglio non rischiare.

E invece qualcosa del Paese africano si sa eccome, e non può far altro che aumentare la preoccupazione, seppure su un piano differente: stando alle stime diffuse dalla Cia sul "The world factbook", un bambino su due non frequenta la scuola, un adulto su 15 ha contratto il virus dell'Hiv, cibo, medicinali ed elettricità coprono una porzione modesta rispetto alle esigenze reali del Paese; e ancora, è la quinta economia più povera al mondocon un reddito annuo medio pro capite di 600 dollari (poco più di un dollaro e mezzo al giorno), il 68% della popolazione (dato risalente al 2002) vive sotto la soglia di povertà, l'età media è di 17 anni, il tasso di mortalità infantile con 60,32 bambini (ogni mille) deceduti entro il primo anno di vita. Insomma, la lista delle cose che non funzionano in Burundi è così lunga che, inevitabilmente, viene da domandarsi: ma noi, per uno Stato così, cosa possiamo fare?


L'esempio a cui ispirarsi lo fornisce il programma "Brescia per il Burundi", un insieme di interventi di rete di cooperazione decentrata in ambito di sviluppo sanitario, agricolo ed educativo a favore delle province di Ngozi, Muyinga e Kirundo. È qui, in queste terre dimenticate, che si sono riunite le energie, le speranze e l'impegno dei volontari e dei sacerdoti Fidei Donum della Diocesi Brescia e quelle di un manipolo di Ong bresciane capitanate da Svi (Servizio volontario internazionale). Beneficiarie prime del progetto, le donne e le famiglie contadine che vivono nelle comunità rurali: alfabetizzazione, tutela dei diritti, educazione socio-sanitaria, miglioramento delle condizioni abitative e ambientali, trasferimento di competenze agro-zootecniche, produzione e trasformazione di prodotti agricoli, lavoro in forma cooperativa.

Quando si parla di approccio integrato si fa esattamente riferimento a questa modalità di intervento: emblematico la situazione che ha visto protagonista la "Casa della donna". Alla ristrutturazione e all'adeguamento dei locali della struttura così da poter svolgere attività di formazione ed educazione socio-sanitaria, è seguito l'avviamento di un progetto di monitoraggio delle violazioni dei diritti delle donne, completato da accompagnamento giuridico, psicologico e medico per tutte le vittime di violenza sessuale e violazione dei diritti fondamentali. Ma non solo, all'interno della "Casa della donna" si svolgono attività di educazione alla pace e ai diritti umani attraverso la formazione di animatrici chiamate a loro volta a tenere i corsi e diffondere tale cultura sul territorio: non va dimenticato che il Burundi, raggiungendo il culmine negli anni Novanta, è stato teatro insieme con il Ruanda di un genocidio che ha contato almeno 800mila morti. Oltre ai già citati corsi di alfabetizzazione e prevenzione, sono state anche erogate indennità di studio per 500 bambine indigenti del ciclo inferiore e 40 del ciclo superiore. D'altronde, fare rete significa anche e soprattutto questo: fondere le competenze per offrire una panorama di servizi più ampio e articolato così come successo anche negli altri ambiti di intervento come l'area housing sociale e conservazione ambientale e quella di sicurezza alimentare ed empowerment economico.

A. è una volontaria che ha toccato con mano i progressi e superato le difficoltà  all'interno del progetto "Promozione donna" presso la Diocesi di Muyinga, nel nord est del Paese. Quando descrive la sua esperienza sembra avere timore di volersi prendere meriti che è convinta non le debbano essere in alcun modo attribuiti. La sua unica e incrollabile aspirazione è l'interesse delle donne con cui ha collaborato gomito a gomito, il suo racconto è una sorta di ringraziamento a partire dal vescovo monsignor Joachim Ntahodereye con il quale «nel 2009 abbiamo iniziato 5 classi di alfabetizzazione per le donne in diverse parti delle province di Muyinga, Kirundo e in piccola parte anche di Karusi». A distanza di tre anni ne parla con un entusiasmo che lei stessa è la prima a riconoscere pari a quello del primo giorno: e poco importa se il finanziamento prevedeva il sostegno a 210 donne e oggi ce ne sono 504. «Nessuno di noi ha il fegato si chiudere la porta in faccia alle donne "in eccedenza": e poi sappiamo per esperienza pregressa che qualcuna la perderemo per strada, pressata dalle necessità economiche o da altre difficoltà familiari».

Di sé, praticamente, non parla mai: «Georgette Manishatse è un'insegnante specializzata in classi di recupero per studenti che hanno superato l'età scolare ma desiderano recuperare il tempo perduto e progredire negli studi per guadagnare qualche anno scolastico». In questi anni Georgette si è occupata prevalentemente della formazione delle donne che hanno chiesto di poter imparare a leggere e scrivere: in questi casi, la tipologia di intervento prevede dialogo e confronto "circolari" e non "frontali". «La sfida più grande è pensare che l'obiettivo didattico, la presa di coscienza e l'empowerment feminile non siano un qualcosa che va insegnato o "imposto", ma sono il frutto di un processo di educazione partecipata, di un lavoro comune che passa anche attraverso l'adattamento di regole che siano condivise e condivisibili dall'intero gruppo. I contenuti stessi dei corsinon possono essere una realtà statica ma un incessante processo in divenire: sono, contemporanemente, strumento e obiettivo». In altre parole, quello che A. vuol far capire è che mettere una barriera tra insegnante e studente non porta risultati.

«Macumi Leonard è un catechista della vecchia scuola burundo-ruandese, ha trascorso gli “anni del silenzio” a Butare, in Ruanda, ed è cresciuto professionalmente nel periodo difficile del Burundi insanguinato dalla guerra civile. Il suo compito è accompagnare le 4 classi della Parrocchia di Mukenke, dove opera da sempre, e seguire i lavori di costruzione delle case per quelle famiglie che ancora sono obbligate ad una vita in capanne di paglia». Nella sola Parrocchia di Mukenke sono state finora sostenute 60 famiglie nella costruzione e/o nel miglioramento di case in muratura: la stabilità che una casa in mattoni garantisce incide sul tasso di mortalità infantile e delle puerpere, sull’educazione scolastica dei figli, sul sistema economico della comunità, sull’integrazione di un gruppo etnico, sul tessuto sociale circostante… come in un circolo vizioso una casa dignitosa favorisce lo sviluppo umano integrale, la mancanza della stessa lo mina irrimediabilmente.

Anche la storia di Ahishakiye Reverien prende forma, ancora una volta, attraverso le parole di A.: «Si tratta di un seminarista della Diocesi di Muyinga… un uomo di maturità e sensibilità fuori dall’ordinario. Pur provato da una grave forma di rotazione della spina dorsale, in seguito ad una tubercolosi ossea (Morbo di Pot) è una figura ricca di spirito e di un’intelligenza brillante ed eclettica. Reverien ci ha aiutato nella delicata e determinante fase iniziale di ideazione del progetto, di organizzazione delle classi e di strutturazione delle cooperative. Il suo impegno attuale verte soprattutto nell’accompagnamento degli/delle studenti/esse batwa (190 alle secondarie e 4 all’Università, 1000 alle primarie) e degli/delle studenti/esse orfani/e (100 tra primarie e secondarie). Durante le vacanze, grazie al permesso che mons. Ntahondereye gli accorda, collabora con l’equipe per le periodiche analisi che organizziamo rispetto ai risultati, alle difficoltà e alla realizzazione delle attività. Questo accompagnamento costante, che va al di là della mera giustificazione di attività e spese, ci permette di re-orientare le attività programmate e definire piani d’azione affinché le beneficiare ne traggano i benefici maggiori e si contribuisca a un obiettivo di interesse più ampio». 

Già, ma A.? Lei si occupa del coordinamento e della gestione economica dell'intero pacchetto: un momento determinante per il funzionamento del progetto che la volontaria si affretta invece a catalogare come poco influente. In allegato, la sua versione dei fatti attraverso le risposte scritte di suo pugno alle dieci domande che le abbiamo inviato tramite mail.

 
 
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