Amir arriva all’Ospedale Vakhidov di Tashkent, Uzbekistan, con la febbre molto alta. Con la sua famiglia ha dovuto viaggiare ore e ore prima di raggiungere la capitale uzbeka dal piccolo paese di campagna dove vive con i suoi genitori. Lì gli era stata diagnosticata da un medico di base una leggera infezione alle vie respiratorie, ma la realtà è tragicamente diversa: il bambino soffre di una grave malformazione cardiaca che necessita di ulteriori esami e cure antibiotiche senza la quali il suo destino è segnato. La sorte di Amir è dolorosamente simile a quella di tantissimi altri bambini.
Un milione, per l’esattezza: tanti sono i bambini nel mondo che ogni anno nascono con gravi malformazioni e patologie cardiache. Di questi, almeno l’80 per cento non ha la possibilità di accedere a cure, diagnosi e operazioni chirurgiche perché nel proprio Paese sono assenti strutture ospedaliere attrezzate per la cardiochirurgia pediatrica, perché scarseggia il personale medico adeguatamente formato oppure, laddove esistano queste condizioni, il costo delle operazioni è troppo elevato per le famiglie dei piccoli ammalati. In particolar modo, nel caso di malformazioni cardiache congenite, è essenziale una diagnosi precoce, perché se non viene trattato correttamente e tempestivamente, 1 bambino su 3 muore nel primo mese di vita; in Paesi come l’Uzbekistan, per esempio, il tasso di mortalità dei bambini cardiopatici nel primo anno di vita è di dodici volte superiore alla media italiana.
La Fondazione “aiutare i bambini” Onlus nasce nel 2000 con l’intento di soccorrere bambini poveri, ammalati, privi di istruzione o vittime di violenza fisica e morale. In dodici anni di attività la Fondazione ha dato vita a progetti educativi, di accoglienza, di assistenza sanitaria e anche di adozione a distanza. Quasi 900mila bambini sostenuti e più di 900 progetti di aiuto finanziati in 71 diversi Paesi del mondo. Dal 2005 “aiutare i bambini” ha iniziato a occuparsi del problema delle cardiopatie infantili. È nato così il progetto “Cuore dei bimbi”, per salvare i bambini affetti da gravi cardiopatie nei Paesi più poveri, dove strutture e formazione chirurgica specializzate sono carenti.
In collaborazione con alcuni ospedali italiani, quindi, il programma ha organizzato periodicamente delle missioni, inviando equipe italiane altamente specializzate di chirurghi, tecnici e infermieri principalmente in Africa, Asia ed Esteuropa. I medici partecipano a titolo gratuito, come volontari; per anni le giornate di missione sono state loro conteggiate come giorni di ferie personali. Scopo prioritario delle missioni, oltre a operare i bambini, è quello di fare formazione ai cardiochirurghi degli ospedali esteri visitati. «Quando i medici italiani avevano concluso la missione in loco», ha ricordato Goffredo Modena, presidente della Fondazione “aiutare i bambini”, «tutto si fermava e le sale operatorie si svuotavano. Perciò abbiamo compreso l’importanza di questa “traslazione di conoscenze”, dedicandovi progressivamente sempre più risorse e tornando più volte in uno stesso ospedale onde verificare di persona lo stato dei piccoli pazienti e i progressi del personale locale».
L'importanza della formazione
Ulteriore obiettivo del progetto è, laddove non sia possibile operare in loco, favorire interventi di cardiochirurgia pediatrica in Italia su bambini provenienti da Paesi esteri, coprendo le spese di viaggio, oppure co-finanziare le operazioni realizzabili sul posto per abbassarne i costi, altrimenti proibitivi per la stragrande maggioranza delle famiglie. Dal 2005 a oggi sono stati salvati 620 bambini grazie al programma “Cuore di bimbi”, con un impegno economico profuso dalla Fondazione di quasi 900mila euro. «Se si affronta il problema dal mero punto di vista dei numeri», prosegue il presidente Modena, «è difficile non essere scoraggiati: 620 bambini salvati in cinque anni su 1 milione di bambini malati che nascono ogni anno, sembra una goccia nel mare. Ma stiamo parlando di vite umane salvate, non di numeri. I bambini non sono mai un numero. Piuttosto, l’unico rimpianto è non essere riusciti a fare un’operazione in più, anche una sola». «Ma il numero di interventi riusciti si moltiplica esponenzialmente», aggiunge il dottor Paolo Ferrazzi, direttore del Dipartimento cardiovascolare degli Ospedali Riuniti di Bergamo, «se si riesce a esportare una “tecnica di solidarietà”», sottolineando ancora una volta l’importanza del momento formativo per il personale medico locale all’interno di ogni missione.
I frutti buoni di "Cuore di bimbi"
La madre di Amir accarezza il capo del suo bambino, steso su un lettino dell’Ospedale Vakhidov di Tashkent. Per Amir la diagnosi non lascia spazio a speranze. La madre piange in silenzio, con pudore. I suoi occhi trasmettono una dignità nel dolore più nero che non è possibile esprimere a parole. I medici italiani che hanno partecipato alla più recente missione in ordine di tempo, lo scorso luglio in Uzbekistan, spesso hanno incrociato il proprio sguardo con occhi simili. Per fortuna loro e per fortuna soprattutto dei bambini e delle loro famiglie, nelle ultime tre missioni in Uzbekistan sono stati visitati 117 bambini, 35 dei quali sono stati operati con successo. Il dottor Stefano Marianeschi, responsabile di Cardiochirurgia pediatrica dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano e coordinatore della missione del luglio 2012, ricorda quei giorni con la voce spesso rotta dalla commozione. La sua speranza è quella di vedere nascere tanti centri cardiochirurgici nel mondo, come se fossero frutti buoni del progetto “Cuore di bimbi”.
I bambini dell'Ospedale Vakhidov
È facile comprendere l’emozione del dottor Marianeschi mentre sullo schermo scorrono le immagini de “In Asia batte un cuore italiano”, il bellissimo documentario realizzato dal giornalista di “Avvenire” Vito Salinaro nel luglio 2012. È impossibile non avvertire una stretta al nostro, di cuore, quando si vede la piccola Shoksanam, ricoverata all’Ospedale Vakhidov di Tashkent in attesa di un’operazione, mentre spinge con le sue stesse braccine un amichetto di reparto, accompagnando la sua barella verso la sala operatoria. O quando la voce narrante fuori campo di Vito Salinaro racconta che il piccolo Marcel, labbra e unghie viola, pallore cianotico, non vuole ridere e non vuole giocare, perché quando ha provato a giocare il suo cuore l’ha abbandonato.
Purtroppo a volte gli interventi cardiochirurgici effettuati dai medici di “Cuore di bimbi” possono avere solo un effetto palliativo e non risolutivo, a causa del ritardo con cui è stata fatta una diagnosi e si è successivamente proceduto. Ma un significativo miglioramento della qualità di vita di un bambino è già un risultato straordinario.
Solidarietà come arricchimento personale
Resta il fatto che ci si trova di fronte a persone che dimostrano un senso alto della professione medica, svolta con uno spirito nobile. Sono stati gli stessi medici a raccogliere inizialmente l’invito della Fondazione “aiutare i bambini”, rinunciando a giorni di ferie personali. «Perché quando torniamo dalle missioni siamo più belli», afferma orgogliosamente il dottor Ferrazzi. «La solidarietà internazionale la viviamo anche come un momento di arricchimento personale». Lo spirito dei medici coinvolti nel progetto è stato infatti raccolto dall’Ospedale Niguarda di Milano, che ha recentemente siglato un accordo con la Fondazione affinché essa si faccia carico dei costi e del supporto logistico delle missioni, mentre l’ospedale fornirà personale altamente specializzato; l’accordo prevede inoltre che d’ora in poi le giornate di missione verranno conteggiate come giornate di aspettativa retribuita e non più come giorni di ferie.
«È molto raro che il Bene sia una notizia», dice Vito Salinaro. «Con questo reportage ho voluto rimarcare che il Bene ha la stessa dignità cronachistica delle altre notizie, a dispetto della tendenza attuale dei mass media». Inoltre “In Asia batte un cuore italiano” non è solo una straordinaria testimonianza del progetto “Cuore di bimbi” e della meritoria attività di tanti medici, ma offre anche uno spaccato puntuale e preciso della realtà politica, sociale ed economica di un Paese poco conosciuto. L’emittente TV2000, in occasione della Giornata internazionale del volontariato il 5 dicembre, trasmetterà alle ore 23.30 il documentario di Vito Salinaro. Un’occasione davvero da non lasciarsi sfuggire. Perché, come ha detto il dottor Matteo Giuffrida: «Molte cose non sono fatte da noi, ma attraverso di noi. Noi siamo solo un tramite».
Per maggiori informazioni consultare il sito: www.aiutareibambini.it