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sabato 02 novembre 2024
 
 

Il discorso di Letta alla Camera

29/04/2013  Letta si presenta oggi davanti al Parlamento per pronunciare il discorso che precede il voto di fiducia. I primi obiettivi: rilancio dell’economia e riforme istituzionali.

Il governo di Enrico Letta nascerà in tempi rapidissimi, come richiede il contesto in cui nasce.
Ecco il timing sul dibattito: ore 15 intervento di Letta alla camera, ore 16 consegna del testo al Senato, ore 18 discussione generale, ore 20 appello dei parlamentari, ore 21 risultato del voto.
Finora il presidente incaricato un risultato lo ha già portato a casa: la fiducia dei mercati. Le borse segnano un più 1,7 per cento, le aste dei buoni del Tesoro hanno portato nelle casse dello Stato sei miliardi di euro. Una telefonata di Angela Merkel fa ben sperare anche per la sponda internazionale.

Rimangono numerosi gli interrogativi che ruotano intorno a questo governo, a parte l’esordio surreale e inquietante della tragedia di Montecitorio, ancora avvolta dal giallo (davvero si tratta del gesto di un disperato? O c’è un burattinaio dietro quell’attentato, così lucido nella sua follia?).
Sulla carta l’agenda di Enrico Letta è di altissimo livello: si va dal rilancio dell’economia alle riforme istituzionali. Ma da dove si comincia nel programma? Dalla restituzione dell’IMU, che gli italiani si erano affrettai a pagare senza protestare più di tanto? E’ davvero questa la priorità?
Sulla rimozione di questa tassa insiste molto uno degi alleati, Silvio Berlusconi. Per il Cavaliere, che tra l’altro potrebbe presiedere una nuova commissione bicamerale sulle riforme, è un punto irrinunciabile.
Il leader del Pdl continua ad assumere un tono molto dialogante e conciliante. Un atteggiamento politico che ha premiato, profittando del travaglio interno alla sinistra, che grazie a Letta spera di aver tempo sufficiente per leccarsi le ferite. Anche per Berlusconi, che sa di disporre di un’ottima “golden share”, il ricorso alle urne è prematuro.
A staccare la spina c’è sempre tempo.

Francesco Anfossi

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Lavoro e welfare. Riforma dello Stato e  tagli alla politica. Ed ancora: infrastrutture, Terzo settore, aiuti alla cooperazione, politiche per la famiglia, abbassamento della pressione fiscale. Nel chiedere la fiducia in Parlamento, Enrico Letta ha toccato l’intero arco (costituzionale) della politica. Il suo è stato un discorso all’antica, alto profilo e massimi sistemi, contesto internazionale e questioni nazionali (tra tutte la questione meridionale). Lo diciamo sottovoce: è stato perfino troppo bello per essere vero. Come se per un momento, “le spalle forse non abbastanza robuste” di cui il giovane neo-premier ha parlato spesso si fossero trasformate in quelle di un lottatore greco-romano. E  il malfermo tavolino a tre gambe  che è il Governo uscito da 60 giorni di stallo fosse in realtà politico nel senso pieno e non per generosa concessione del Presidente della Repubblica. Ovvero un Esecutivo a voce unica sulle cose da farsi. Con un programma liscio come un pianoro, senza dossi o cunette, luoghi atti a trappole o agguati.

Ci piacerebbe, ma dubitiamo sarà così. Un premier incaricato che in tema di lavoro parla di (ennesime) riforme sull’apprendistato, rivendica la necessità di una “ferrea lotta all’evasione fiscale”, rimette in agenda la questione del “reddito minimo di cittadinanza” (per le famiglie numerose), allarga il confine degli ammortizzatori sociali (ai precari), allontana il rischio di elevare la tassazione (l’Iva) e inquadra tutto questo in una cornice europeista di cui non si può fare a meno, sembra parlare col tono di chi ha davanti a sé cinque anni di legislatura piena. Di chi conta di reggere e durare, altro che i 18 mesi della prima verifica in tema di riforma istituzionale. Di chi non pensa affatto di compiere un ‘operazione chirurgica e veloce, ma punta ad attuare un “vaste programme”.  Cosa è accaduto nelle alchimie di Montecitorio per dare uno sfondo così grandangolare alla vista che si gode oggi dal balcone di Palazzo Chigi? Com'è stato possibile che le fragili spalle si trasformassero in quelle di un Atlante in grado di reggere le sorti del Paese?

Rileggendo punto per punto il discorso di insediamento, non c’è un solo passaggio che non meriti approvazione. Non una virgola fuori posto, tra il doveroso tributo alle forze dell’ordine e quello alla lealtà di Bersani, tra il richiamo al Paese che ignorando i suoi giovani uccide il proprio futuro e l’omaggio a quel mondo di cooperanti che costruisce coesione laddove la politica sembra spargere divisione. Tutto giusto, vero, appropriato. Sobrio, per usare una parola cara all’eloquio a alla storia stessa di Enrico Letta. La domanda però resta: non è fin troppo? O per dirla meglio: durerà quanto basta il governo Letta per fare come San Giorgio col drago (quello delle trappole e degli agguati) o il drago, al primo vero scambio di ostilità, sbalzerà san Giorgio da cavallo?


Francesco Gaeta
francesco.gaeta@stpauls.it

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La prima cosa che salta all’occhio, nel programma di governo di Enrico Letta, è l’impronta fortemente europea della sua politica economica e istituzionale. Fin dal riconoscimento degli sforzi del suo predecessore Monti e dall’annuncio della prossima missione a Bruxelles, Berlino e Parigi, ovvero il cuore dell’Unione, il presidente incaricato ha voluto premettere le radici da cui proviene questo nuovo governo delle larghe intese fortemente voluto dal capo dello Stato Napolitano.

E’ la premessa macroeconomica subito sbandierata nell’aula della Camera, ma non scontata, visti gli ultimi rigurgiti del Movimento di Grillo, i recenti dubbi di parecchi economisti di area “liberal”, ma soprattutto di certe affermazioni dell’alleato Silvio Berlusconi a proposito dell’utilità della moneta unica e dei suoi ostacoli frapposti nei confronti dell’export.

Nell’affermare con risolutezza che “le politiche di ripresa non possono più attendere” Letta le inserisce nel solco dei patti di stabilità dei bilanci europei. Nonostante la messa in sicurezza dei conti pubblici da parte di Monti, nonostante l’euforia dei mercati e del successo dell’asta pubblica che ha visti collocati in un battibaleno sei miliardi di titoli di Stato, il capo del governo sa bene il debito pubblico è ancora “una macina” che pesa sul Paese, pronta a frantumare tutto come poteva accadere nell’autunno del 2011.

Il tema del lavoro “per uscire dall’incubo dell’impoverimento” è certamente la priorità del suo Governo, anche se il nuovo presidente non si è diffuso pià di tanto su come tornare a produrre posti di lavoro, invertendo il corso che vede una drammatica emorragia di lavoro e un’altrettanto drammatica palude di disoccupazione giovanile. Certamente importante è stato l’annuncio del rifinanziamento della cassa d’integrazione in deroga (per la quale, sostengono i sindacati, serve subito un miliardo di euro). Ma Letta è stato più esplicito quando ha parlato di politica fiscale. Qui ha messo al centro delle vere e proprie sfide, a cominciare dalla riduzione delle tasse sul lavoro, del blocco del pagamento della prima rata Imu, del riordino complessivo dell’imposta sugli immobili e soprattutto della sterilizzazione dell’aumento dell’Iva. Sarà interessante vedere dove verranno reperite le risorse necessarie a questo corposo piano di politica fiscale, che dovrebbe mettere nelle tasche dei cittadini qualche euro in più e far ripartire i consumi e le imprese, come finora non è avvenuto. Non dobbiamo dimenticare che la domanda interna è alla base del 70 per cento della produzione industriale italiana. Degno di nota anche la proposta di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli, ma si tratta finora di un annuncio troppo generico. Si dovrà ancora vedere chi e quando ne potrà usufruire.

Francesco Anfossi

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Poi uno dice che la politica non è capace di stupire! Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, non ha fatto in tempo a presentare la lista dei ministri che è partita la prima raffica di piagnistei, praticamente gli stessi che da decenni ci ammorbano senza fantasia. Così, stando ai “signori signornò”, saremmo tutti destinati a morire democristiani, Letta è uno d’accostare all’Italia dei carini, tanto dura minga, non può durare, è lo zio che comanda e in ogni caso non è lui che regge i fili, eccetera. Due giorni di tempo e la parabola lettiana era già discendente, tra mille banalità. Né è mancato chi ha soffiato sul fuoco in maniera perfida, mostrando i ministri e il loro mentore durante la foto di rito col presidente della Repubblica “mentre fuori si sparava ai servitori dello Stato”. Classe, stile ed eleganza, come sempre…

Così, l’ipercritica intellighenzia lo aspettava al discorso alla Camera con quell’aria d’attesa scettica mista a noia e sicumera: vieni, vieni pure. Parla, parla, tanto, per quel che vale… E lui, invece, Letta il Giovane, che ti combina? Quel discorso che doveva somigliare più a una mano implorante solo qualche giorno di gloria effimera, è un vero discorso programmatico, per di più a lunga gittata e anche un po’ sfrontato sin da subito, quando rammenta ai colleghi parlamentari “il linguaggio sovversivo della verità”. Bum, direbbero lorsignori. Il fatto è che Letta il Giovane appare in forma smagliante, quanto a propositi.
E se non bastasse l’entusiasmo del neofita, ci mette anche un pizzico d’astuzia politicante, chiamando alla correità il Parlamento su temi come la legge elettorale, il pensiero negativo dei connazionali sui politici, la forza del confronto tra Governo e Parlamento, persino l’Europa e – siore e siori, mi vollio rovinare – “i miei ministri non lo sanno, ma chiederò il taglio dello stipendio dei ministri”. Da non crederci, per uno che dovrebbe scarrozzare un governicchio verso lidi meno nefasti degli attuali, per poi magari sentirsi dire: “Scansati ragassino, lasiazi lavorare”, detto da qualche mammasantissima di lungo corso pronto a rientrare dalla finestra, dopo aver finto di essere uscito dalla porta. Macché, questo qui ha capito male, evidentemente. Ci ha preso proprio gusto a stare lì, a parlare a tutti. E, forte dell’ispirazione del momento solenne, si lascia andare fra toni vagamente veltroniani sulle potenzialità del Paese reale, se solo il Palazzo sapesse dare il buon esempio, e richiami modello“arrivano i nostri” pronti a salvare la povera giovane Italia dalle grinfie dei rapitori, se il Parlamento tutto saprà seguire il suo Settimo cavalleria lanciato verso il riscatto della Patria.

Europa, lavoro, scuola, welfare, famiglie, rilancio dell’economia, tasse: nel discorso di Enrico Letta c’è tutto. O di tutto un po’, per chi ci crede meno, pronto a dire: se son rose… pungeranno. Però i toni sono fermi senza false solennità, le frasi disegnano il famosissimo “fare” come qualcosa che è lì, a portata di mano, e senza slanci retorici.
Tanto sicuro del lavoro che porterà avanti da “minacciare” verifiche entro 18 mesi, convinto di non essere lì per caso e nemmeno per disperazione, ma di aver meritato il ruolo e di poterlo dimostrare fin dal primo giorno, quello in cui, appunto, ai suoi ministri chiederà il taglio dello stipendio.
Ora, se immaginare i pensieri dei quei 21 seduti con lui è talmente facile da rasentare il banale, immaginiamoci, invece, per un solo attimo, il brivido che devono aver provato i deputati plaudenti: “Ma se questo qui, al primo giorno, si taglia lo stipendio, non è poi che a noi…? No, dai, non è possibile!” Brrr, che paura fa venire questo Letta mentre passano i minuti, e lui snocciola le intenzioni e le aspettative, le proposte e gli impegni.

Ci riuscirà? Qui gli scettici hanno ancora buon gioco, perché in effetti se Letta riuscisse a portare a termine solo un terzo di ciò che ha proposto ci sarebbe da essere ampiamente soddisfatti, almeno come inizio di un cambiamento che in questo Paese sembra non iniziare mai, condannato com’è a credersi una Fortezza Bastiani in perenne attesa.
E mentre anche a noi comincerebbe a sorgere qualche dubbietto in proposito, Letta il Giovane cala con semplicità l’asso nella manica, l’ultimo a disposizione, quello che dovrebbe garantirgli un po’ più di quel dovuto rispetto per chi, non va dimenticato, in ogni caso ha deciso di accettare la guida dell’Italia. E allora ecco che parte lo scenario nuovo, quello che vorrebbe essere destinato al cambio di panorama, e che va a tutti, anche a quei milioni fuori dal Palazzo, cioè a tutti gli italiani. Letta Cita Davide e Golia, ricorda i cinque sassi presi nel fiume da Davide, e invita a sentirsi come lui, pronto a gettare il sasso contro Golia. Da Letta il Giovane a Davide Letta, in meno di un’ora.

Manuel Gandin

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L’onorevole Francesco Boccia, Pd, 45 anni, ha due buoni ragioni per scommettere sulla lunga durata del Governo di Enrico Letta. Boccia infatti è amico personale del premier (da tempo ha l’etichetta di “lettiano doc”) e, dal 2011, marito di Nunzia De Girolamo, ministro delle Politiche agricole. “Le basi per un Governo di lunga durata”, spiega Boccia, “devono esserci. Quanto sta accadendo oggi  è la conseguenza del’auspicio del presidente Napolitano  nel suo discorso davanti alle Camere riunite”.


- Le è piaciuto il discorso di Letta?

“Sì, il discorso di Letta è stato ampio e ambizioso, non si sentivano discorsi così in aula da tanto tempo”.


- Il Governo potrebbe durare tutta la legislatura?

“Questo Governo non nasce per durare qualche settimana, nasce per cambiare il Paese o per sancire il fallimento della politica. Vanno cambiate le fondamenta delle Repubblica e la vita del Governo è legata anche ai lavori della Convenzione per le riforme. Auspichiamo che dentro che ci siano tutti, anche quelli che non voteranno la fiducia a questo Governo”


- Vede il clima giusto per la collaborazione fra Pd e Pdl?

“Penso di si. Ovviamente è sotto gli occhi di tutti che avremo dei passaggi difficili. Quando ci sono le elezioni amministrative i nostri candidati e dirigenti sono sempre alternativi al Pdl e sul territorio si confrontano aspramente  anche con chi oggi è nel  Governo  con noi”.


- Questo non vi farà litigare?

“Dovremo fare lo sforzo che Letta richiamava,nel suo discorso cioè distinguere la politica dalle politiche. Questo Governo nasce sulle politiche, su alcune  risposte da dare alle famiglie italiane, alle imprese, ai lavoratori . Qui si vedrà la maturità della classe politica. Se tutti raccogliamo l’ invito di Napolitano  avremo una  verifica fra 18 mesi, quindi ci sarebbe  un orizzonte lungo, uguale a quello della costituente che ci ha dato la nostra Costituzione. Non so se questa classe dirigente è all’altezza dei  costituenti, ma me lo auguro per dare all’Italia entro due anni fondamenta nuove”.


- Lei conosce bene Letta, ce lo descriva

“Enrico è un europeista convinto, molto paziente, con una grande capacità  di ascolto, molto rara nella politica di oggi. Enrico ascolta sempre anche le opinioni che non condivide, è la persona adatta  per gestire questo momento straordinario. Enrico viene  dalla cultura del solidarismo cattolico, la sua è una storia che può tenere insieme centrosinistra e centrodestra”

 

- Che cosa augura a suo moglie ministro?

“Le auguro di fare bene quello che sa fare. Nunzia i problemi dell’agricoltura li conosce, vedrete che farà bene”

 

Roberto Zichittella

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Laura Ravetto, 42 anni, cuneese, parlamentare del Pdl (per il quale è responsabile nazionale della propaganda) è ottimista sulle sorti del Governo presieduto da Enrico Letta.


- Onorevole Ravetto, il Governo avrà vita lunga?

“Si, secondo  me si. Letta  è stato molto chiaro, soprattutto quando ha chiesto 18 mesi di tempo per fare le riforme chiedendo di non porre veti e paletti, altrimenti se ne andrà via, Parlando di 18 mesi, Letta ha dato una prospettiva minima, ma secondo me durerà molto di più”.


- La grande intesa fra voi e il Pd reggerà?

“Me lo auguro. Da parte nostra viviamo questa presenza nel Governo con naturalezza, perché fin dalla prima ora dopo le elezioni di febbraio abbiamo chiesto che ci fosse un governo di grande intesa”


- Che cosa ha apprezzato del discorso di Letta?

“La concretezza. D’altra parte Enrico  lo conosco da anni, lui si è sempre espresso nei palazzi della politica e nei suoi think tank su questi temi. Di fatto molti dei temi che ha sviluppato in questi anni oggi li ha portati qui in parlamento. Naturalmente ho apprezzato molto alcuni aspetti che erano nel nostri programma, ad esempio la volontà di affrontare la disoccupazione con la detassazione,  inoltre Letta  ha preso un impegno importante sull’Imu e sull’aumento dell’Iva a giugno”.


- Addio all’Imu e niente aumento dell’Iva, questa è musica per le orecchie del Pdl?

“Direi che è musica per tutta l’Italia. Ridurre le tasse è l’unico modo per fare circolare liquidità in questo Paese”.

 

Roberto Zichittella

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“Enrico Letta ama sognare, il suo è un programma ampio che richiede almeno cinque anni di tempo”, esclama Mario Marazziti, 60 anni, tra i dirigenti della Comunità di Sant’Egidio, neoparlamentare di Scelta Civica”.


- Onorevole Marazziti, un Governo di legislatura è un sogno?

Spero di no. Questo Governo nasce  anche in maniera ambiziosa, non per durare sei mesi o avere il fiato corto. Il programma di riforme istituzionali  è fondamentale e il presidente Letta si è dato 18 mesi di tempo per arrivare a una verifica.  Se alcune cose saranno fatte, il Governo  sarà di lunga durata”


- La maggioranza di larghe intese è solida?

“Ora sembra di sì. Il momento sembra favorevole e la maggioranza politica appare larga e solida, tuttavia restiamo un Paese fragile sottoposto a spinte impreviste che potrebbero diventare incontrollabili”


- Che cosa ha apprezzato del discorso di Letta a Montecitorio?

“Mi è piaciuta la citazione di Beniamino Andreatta, con il richiamo alla consapevolezza che la politica è convergere per un bene comune. Direi che oggi nasce un Governo di grande ragionevolezza, per il quale noi di Scelta Civica abbiamo lavorato da sempre. Credo che il nostro sforzo sia riuscito a  far emergere il senso di responsabilità dentro ai partiti maggiori”.

 

Roberto Zichittella

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Signora Presidente

Onorevoli Deputati,

appena una settimana fa il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere nuovamente un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.

Voglio inoltre ringraziare i Presidente del Senato, Pietro Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase di consultazione in questo primissimo avvio dell'esperienza di governo.

Quella del presidente Napolitano è stata  -  lo sappiamo  -  una "scelta eccezionale". Eccezionale perché tale è il momento che l'Italia e l'Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all'emergenza il presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese e al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un'ultima opportunità. L'opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione. Degni di servire il Paese  -  attraverso l'esempio, il rigore, le competenze  -  in una delle stagioni più complesse e dolorose della storia unitaria.

Accogliendo il suo appello intendo rivolgermi a voi proprio con il linguaggio "sovversivo" della verità. Confessandovi che avverto, fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti e il peso della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere, nelle vesti di presidente del Consiglio di un Governo che richiede, qui e oggi, la fiducia del Parlamento.

Infine, non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio cosi impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi con generosità e senso antico della parola "lealtà" mi sostiene anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani.

La prima verità è che la situazione economica dell'Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future, e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari. Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di Economia e Finanza è necessario ad uscire, quanto prima, dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all'interno dei vincoli europei. Nelle sedi europee e internazionali l'Italia si impegnerà poi per individuare strategie per ravvivare la crescita senza compromettere il processo di risanamento della finanza pubblica.

L'Europa è in crisi di legittimità ed efficacia proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L'Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile  -  e quindi di speranza e di costruzione di futuro  -  solo se finalmente si apre. Il destino di tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere vincitori e vinti se l'Europa fallisce questa prova. Saremmo tutti perdenti: sia nel Sud che nel Nord del continente.

E' per questo che se otterrò la vostra fiducia, immediatamente visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un governo europeo ed europeista.

La risposta, dunque, è una maggiore integrazione verso un'Europa Federale. Altrimenti il costo della non-Europa, il peso della mancata integrazione, il rischio di un'unione monetaria senza unione politica e unione bancaria diventeranno insostenibili: come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato. Questo Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all'Europa un contributo italiano innovativo. Questo è avvenuto nel sostegno all'azione europea del governo Monti e nell'elaborazione di posizioni comuni come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio Europeo del Giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo.

Le premesse macroeconomiche sono quelle dell'Euro e della Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi.

Di solo risanamento l'Italia muore. Dopo più di un decennio senza crescita le politiche per la ripresa non possono più attendere. Semplicemente: non c'è più tempo. Tanti cittadini e troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio e nel vuoto di speranze rischia, di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come ci ricorda lo sconcertante fatto avvenuto ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri andando a visitare in ospedale il Brgadiere Giangrande ferito gravemente insieme al Carabiniere Scelto Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina. Il Parlamento deve stringersi a lei in questo momento. E il Parlamento deve stringersi anche all'Arma dei Carabinieri e a tutte le forze dell'ordine per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell'interesse della nazione in Italia e all'este3ro.

Senza crescita e coesione l'Italia è perduta. Il Paese, invece, può farcela. Ma per farcela deve ripartire. E per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L'architrave dell'esecutivo sarà l'impegno a essere seri e credibili sul risanamento e la tenuta dei conti pubblici. Basta coi debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.

Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neo assunti. Poi una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell'edilizia, con includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche e affitti e mutui agevolati per giovani coppie. E poi bisogna superare l'attuale sistema di tassazione della prima casa: intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo a Governo e Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti.

Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle Amministrazioni pubbliche; l'allentamento del Patto di stabilità interno; la rinuncia all'inasprimento dell'IVA; l'aumento delle dotazioni del Fondo Centrale di Garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di Solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti - sebbene necessari nel breve termine - non sono sufficienti.

La crescita economica di un paese richiede una strategia complessa, che eviti dispersione a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi. Per questo è necessario una sintonia tra le azioni del Governo e quelle delle banche e delle imprese, che debbono essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici per superare gli annosi ritardi dell'Italia in termini di crescita della produttività e della competitività. Il Governo deve accompagnare questa crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando queste si impegnano all'estero nell'arena globale.

Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo riguarda la moralizzazione della vita pubblica e la lotta alla corruzione, che distorce regole e incentivi. Questo riguarda anche la giustizia nel suo complesso. La giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana. E tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell'uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il paese di Cesare Beccaria!

Dobbiamo liberare le energie migliori del Paese. Non partiamo da zero, ma da due grandi risorse. Prima di tutto, i giovani. "Scommettete su cose grandi" ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro. E noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente, come troppo spesso emerge nel dibattito pubblico. È una questione drammatica che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto, e anche la rabbia, di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non nascono ogni anno, in Italia, per la precarietà che limita le scelte delle famiglie giovani. Non è solo demografia, è una ferita morale. Perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani possono ricostruire questo Paese: le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico. Ed è la certezza di decrescita, la più infelice.

Semplificheremo e rafforzeremo l'apprendistato, che ha dato buoni risultati in paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla legge 92/2012, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine, finché dura l'emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegni ai lavoratori con bassi salari, condizionati all'occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale. Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all'imprenditorialità. E occorre percorrere la strada europea tracciata dal programma Youth guarantee, per garantire effettivi sbocchi occupazionali.

Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all'estero. La nomina di Cecile Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse.

La società della conoscenza e dell'integrazione si costruisce sui banchi di scuola e nelle università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori che in tante classi volgono il disagio in speranza e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica. In Italia c'è una nuova questione sociale, segnata dall'aumento delle disuguaglianze. Solo il 10% dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40% in Gran Bretagna, il 35% in Francia, il 33% in Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all'art. 34 della Costituzione, per il quale "i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". L'uguaglianza più piena e destinata a durare nelle generazioni è oggi più che mai l'uguaglianza delle opportunità.

Per rilanciare il futuro industriale del Paese, bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l'innovazione e la ricerca, finanziato tramite project bonds. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo, come ad esempio l'agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l'aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano. Oltre all'alta tecnologia bisogna investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie - fonti rinnovabili ed efficienza energetica - vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un'ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l'energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro Paese in un hub. E' chiaro che episodi come quello dell'ILVA di Taranto non sono più tollerabili.

Tutta l'impresa italiana, per crescere, ha bisogno di più semplicità, di un'alleanza tra la pubblica amministrazione e la società, senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l'intero sistema delle autorizzazioni. Bisogna snellire le procedure e avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare, offrire posti di lavoro.

Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai "soliti noti". I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all'evasione con un fisco amico dei cittadini, senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata.

L'altra grande risorsa è l'Italia stessa. Bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all'autocommiserazione è pari solo all'ammirazione che l'Italia suscita all'estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L'Italia e il made in Italy sono le nostre migliori ricchezze. E' per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il Commissario unico per l'Expo, una grande occasione che non dobbiamo mancare. A questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto per partire per l'ultimo miglio di questo evento strategico.

Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l'Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo, o sulle straordinarie realtà dell'agro-alimentare. Questo significa valorizzare e custodire l'ambiente, il paesaggio, l'arte, l'architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.

Questo vuol dire anche valorizzare il nostro grande patrimonio sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione dalle malattie, lotta contro l'obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale.

L'intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d'altra parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità. Dobbiamo mettere in condizione il Sud di crescere da solo, annullando i divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l'hanno frenato, puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e creative, e sulla buona gestione dei fondi europei, come quella che ha caratterizzato l'operato del governo Monti.

Dobbiamo, soprattutto, evitare di continuare a mettere la testa sotto la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra Nord e Sud del Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti, a livello nazionale come a livello locale. E' il risultato dell'azione della criminalità organizzata che, certo presente anche nel resto del Paese  -  in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante e quasi militare del territorio. E questo nonostante lo spirito di servizio e il sacrificio di tanti servitori dello Stato  -  magistrati ed esponenti delle forze dell'ordine anzitutto  -  che troppo spesso abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze Armate e della Polizia.

Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande tragedia di questi tempi che d'altronde al Sud tocca punte di desolazione e allarme sociale: la questione del lavoro. È e sarà la prima priorità del mio governo. Solo col lavoro si può uscire da quest'incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Senza crescita, anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui ribadisco  -  rifinanziamento delle casse integrazioni in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione - sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto, e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo.

Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Sono sicuro che come in tanti momenti critici della vita della Repubblica i sindacati saranno protagonisti. Il governo vuole aprire la strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l'aggregazione e internazionalizzazione delle PMI, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito d'impresa.

Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni, che in una società postindustriale rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Le misure di liberalizzazione orami sono state adottate. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.

Anche sull'occupazione femminile occorre fare molto di più. La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei. Non siamo ancora un paese delle pari opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, aggravati in alcuni casi da una crescita insopportabile delle violenze contro le donne.

La riforma del nostro welfare richiede azioni di ampio respiro per rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non funziona più. Non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi. Occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo, che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile, andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari; e si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto per famiglie bisognose con figli.

Hanno trovato largo consenso parlamentare nei mesi passati le proposte su incentivi al pensionamento graduale con part time misto a pensione, con una "staffetta generazionale" per la parallela assunzione di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l'accesso con 3-4 anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.

Dobbiamo poi ricordarci che l'Italia migliore è un'Italia solidale. E' per questo che il governo non può che valorizzare la rete di protezione dei cittadini e dei loro diritti, con misure tese al miglioramento dei servizi, da quelli sanitari a quelli del trasporto pubblico, locale e pendolare, con una particolare attenzione per i disabili e i non autosufficienti. Vorrei a questo proposito rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro paese di godere di questa solidarietà e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato - quelli che rischiano la vita per proteggere le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere - ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore e della galassia del 5 per 1000. E' l'esempio che giornalmente viene dato da queste persone che ci fa riscoprire il valore del servizio pubblico.

Una speciale menzione merita la protezione civile, che ha dato una straordinaria prova nei terremoti in Abbruzzo e in Emilia e che ci ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione, con un piano di manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all'abusivismo.Vorrei che questo governo inaugurasse una fase nuova nella vita della Repubblica. Non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della politica e del nostro modo di percepirci come comunità.

La ricostruzione però può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso troppi errori. Si è erosa, giorno dopo giorno, la credibilità della politica e delle istituzioni, vittime di un presentismo - vale a dire dell'ossessione del consenso immediato - che bloccato il Paese.

Ancora: non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione del web, potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa anziché sfociare nel mito o nell'illusione della democrazia diretta. Oggi abbiamo dinanzi un'altra sfida, ancora più complessa: quella dell'autorevolezza. L'autorevolezza del potere che non ha più, come in passato, il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di informazioni presenti nella Rete. L'autorevolezza di chi non si accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e solo la verità e ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale.

Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell'onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione di un buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine, per dare l'esempio, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare con una norma d'urgenza lo stipendio dei ministri parlamentari che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità.

Nessuno, ripeto nessuno, può sentirsi esentato dal dovere dell'autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall'accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere o omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare, alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell'astensione è risultato essere il primo partito. Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, quattro rispetto al 2006. Su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità. Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari. Non rimborsi ma finanziamento mascherato. Per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei Conti ha recentemente confermato: 2 miliardi e mezzo di euro dal 1994 al 2012, a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo. E', questa , solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo dunque dal finanziamento pubblico ai partiti, abolendo la legge troppo timida approvata l'anno scorso e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali. Occorre poi avviare percorsi che finalmente consegnino alla libera scelta dei cittadini, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all'attività politica dei partiti.

E' però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti, attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell'art. 49 della Costituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure. Rivendico con forza l'importanza di un temporaneo "governo di servizio al paese" tra forze sicuramente lontane e diverse tra loro. Credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide perché non è motivata dall'interesse particolare ma da principi più alti di coesione nazionale. Questo è il senso del messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere. Non dobbiamo avere paura di fare il nostro dovere per l'Italia. Noi dobbiamo dare il nostro contributo a ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione comune. Come italiani, si vince o si perde tutti insieme.

Sicuramente è e deve essere un'eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni. Ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l'emergenza economica che il governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo quindi che le forze politiche che sostengono il governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent'anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra i partiti e l'opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta, delle risse inconcludenti. Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni. Se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno. Se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremo svolgere un servizio al paese migliorando la vita dei cittadini.

E' per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il governo e le forze politiche che lo sostengono.

L'appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il governo in modo organico, che devono partecipare pienamente al processo costituente. Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma anche radicale del sistema istituzionale e del sistema politico. Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all'avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni anche sincere di chi li proponeva, promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci, chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.

Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta fondamentale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente, sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione, aperta alla partecipazione anche di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati della attività parlamentare della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato di saggi istituito dal Presidente della Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per un provvedimento Costituzionale possano compiersi.

Dal momento che questa volta l'unico sbocco possibile per questo tema è il successo nell'approvazione delle riforme che il paese aspetta da troppo tempo, fra 18 mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazioni a trarne immediatamente le conseguenze. La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono, e di rispettare gli impegni presi di fronte al paese e alle istituzioni. L'obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni, rafforzando l'investitura popolare dell'esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che devono guidarci sono quelli di una democrazia governante: la capacità degli elettori di scegliersi i propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui governi e le maggioranze che li sostengono.

Dobbiamo superare il bicameralismo paritario, per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale è infatti in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento. Dobbiamo quindi istituire una seconda Camera - il Senato delle Regioni e delle Autonomie - con competenze differenziate e con l'obiettivo di realizzare compiutamente l'integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una più chiara ripartizione delle competenze tra i livelli di governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V. Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire le provincie. Semplificazione e sussidiarietà devono guidarci al fine di promuovere l'efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma al contrario valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un'ottica di alleanza tra il governo e i territori e le autonomie, ordinarie e speciali. Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del Federalismo fiscale, rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia salvaguardando la centralità dei territori e delle Regioni. Si può anche esplorare il suggerimento del Comitato di Saggi istituito dal Presidente della Repubblica per la eventuale riorganizzazione delle Regioni e dei rapporti tra loro.

Occorre poi riformare la forma di governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.

La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali. Innanzitutto, dobbiamo qui solennemente assumere l'impegno che quella dello scorso febbraio sia l'ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente. Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire governi stabili; ma prima ancora per restituire legittimità al Parlamento ed ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l'idea di parlamentari di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole. Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere a livello personale che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente.

Rappresentare l'intera nazione oggi significa prima di tutto sapere e ribadire che le sorti dell'Italia sono intimamente correlate a quelle dell'Unione europea. Due destini che si uniscono.

Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti. L'Unione Europea è stata premiata per un'alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme. Dopo insieme abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro. Insieme abbiamo dato vita al mercato unico. Insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo. Insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus, abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie. E insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché della verità non bisogna mai avere paura.

Primo: il Nobel non è alla memoria. L'Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro. L'Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra. È lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un'intera generazione in trincea. L'Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.

Secondo: l'Europa è il nostro viaggio. La sua storia non è scritta malgrado noi. È scritta da noi. L'orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa, e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale se non globale. Pensare l'Italia senza l'Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee, nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti. E soprattutto, l'abbattimento dei muri tra il Nord e il Sud del continente, così come tra il Nord e il Sud dell'Italia. Terzo: il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d'Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con ammirazione lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia e in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a sogno che si chiama Unione Politica e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro. Possiamo avere "più Europa" soltanto con "più democrazia": con partiti europei, con l'elezione diretta del Presidente della Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.

L'Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall'arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali.

Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l'impegno per il consolidamento dell'ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze Armate in prima linea, con una professionalità e un'abnegazione seconda a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile.

L'Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo e la sua economia vocata all'esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l'Occidente e le nuove potenze emergenti.

Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.

In questi giorni ho pensato al personaggio biblico di Davide. Come lui, con lui, siamo nella valle di Elah, in attesa di affrontare Golia. Nella valle delle nostre paure di fronte a sfide che appaiono gigantesche. Anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell'armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero. Davide "prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia". Noi, dal "torrente" delle idee sulle quali ci siamo confrontati abbiamo scelto i nostri "ciottoli", le nostre proposte di programma. La "fionda" l'abbiamo in mano insieme, governo e Parlamento. Ma di Davide ci servono il coraggio e la fiducia. Il coraggio di mettere da parte quella "prudenza politica" che spinge a evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l'armatura. Il coraggio di affrontare la sfida liberandoci dell'armatura, forse lo abbiamo trovato. La fiducia è quella che chiediamo al Parlamento e agli italiani.

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