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giovedì 08 giugno 2023
 
 

Il distretto cinese di Prato

02/12/2013  Conta 3.500 aziende e ha un fatturato di 2 miliardi di euro annui. E cresce del 2% all'anno.

Tessile, tessile e ancora tessile. È questa la specializzazione del “distretto cinese di Prato”. Una filiera di 3500 imprese attiva nel settore delle confezioni, che Il Sole 24 Ore stima avere un giro d’affari di circa 2 miliardi di euro all’anno, per il 50% sommersi.
Si tratta del più grande distretto manifatturiero del nostro paese. Che in un'economia con Pil negativo continua a crescere a ritmi del 2% l’anno. Andando a sovrapporsi, quasi a sostituire un distretto industriale tipico e tutto italiano proprio di quell’aria, votato alla produzione di tessuti filati, e forte di 20.000 addetti e 3 miliardi di fatturato.

Nel tempo i cinesi hanno prima affiancato gli italaini configurandosi come terzisti ovvero fornitori delle imprese italiane. Successivamente hanno lentamente sostituito gli stessi proprietari rilevando pezzi minori della filiera.
Il gioco è stato produrre made in Italy uguale a quello originale e che costasse molto meno.

Per evitare controlli sulle disumane condizioni di lavoro, il segreto è stato il turn-over: aziende che aprono e chiudono a velocità stratosferica. Il tasso di turn over delle imprese cinesi è infatti del 45,3%, contro il 13,2% delle imprese italiane.

Poco da dire sulle condizioni di lavor , che ricordano la New York degli italaini di inizio Novecento. I loculi di cartongesso crollati nell’incendio  costato la vita a sette persone servivano probabilmente come alloggio per i lavoratori della ditta che produceva abiti. Stanze di misure minime, sufficienti per un pagliericcio e poco più.

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