L’aborto non riguarda solo la donna. In ballo c’è di più. C’è una relazione affettiva,tra un uomo e una donna e, soprattutto, c’è il “frutto” del loro stare insieme. Il concepimento di un figlio, quindi, non si riduce al solo meccanismo biologico. Ha alle spalle un legame. E questo legame chiama in causa anche il maschile e il diventare padre. Un aspetto quasi completamente ignorato nella legge 194.
Perché, nel decidere l’interruzione di una gravidanza, il futuro padre non ha alcuna voce in capitolo? È questo il tema cheattraversa l’indagine di Antonello Vanni,confluita nel suo ultimo volume Lui el’aborto. Viaggio nel cuore maschile (SanPaolo): «Dove sono i padri degli oltre 5 milioni di bambini abortiti in Italia dal1978?», si chiede l’autore, esperto di bioetica e del ruolo educativo paterno. «È vero», prosegue, «molti di questi uomini hanno voltato le spalle alla loro donna. Altrettanti però hanno sofferto in silenzio, messi a tacere dalla Legge 194, e nessuno, neppure il Papa o il Presidente della Repubblica, ha potuto aiutarli nel disperato tentativo di salvare il bambino».
Parole sacrosante quelle di Vanni, soprattutto oggi, in un periodo in cui le scienze umane ci invitano a «rivedere i pregiudizi sull’atteggiamento maschile nei confronti della vita su cui tanto ha influito l’effetto diseducativo della stessa 194, a discutere i motivi culturali che allontananol’uomo dalla vita di cui sono coautori con la madre e a riconoscere la dolente realtà del trauma post-abortivo maschile». Solo stabilendo «una nuova e fiduciosa alleanza con la figura paterna, educandola all’amore e alla responsabilità, sarà possibile combattere con più forza per salvare la vita innocente di tanti bambini». Gli unici a essere privati della gioia di vivere, senza essere interpellati.