Padri avvisati mezzi salvati, minimizzare i comportamenti scorretti di un figlio adolescente non è sempre una buona idea. Al netto delle possibili conseguenze negative sull'educazione del figlio, giustificarlo sempre e comunque può pure spianare la strada a una condanna al risarcimento in Tribunale. Almeno a giudicare da questo caso.

La sentenza numero 4152/2019 della III sezione della Cassazione civile ha respinto il ricorso di un papà contro una richiesta di risarcimento danni, per le scritte ingiuriose che il figlio, minorenne all’epoca dei fatti, aveva vergato sulla scrivania della bidella di un liceo durante un’illegittima incursione nella scuola.

Il ragazzo era uscito con sentenza di non luogo a procedere dal giudizio penale perché giudicato non imputabile a causa dell’incapacità di intendere e di volere, benché maggiore di 14 anni, va ricordato infatti che tra i 14 e i 18 anni il grado di capacità viene valutato caso per caso, laddove invece l'incapacità si dà per scontata sempre per legge dai 14 anni in giù. La Cassazione ha però ribadito la correttezza della sentenza di condanna al risarcimento in Appello a carico del padre, in base alla responsabilità dei genitori regolata dall’articolo 2048 del Codice civile che dice che «Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del anno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi».

Non solo, la Cassazione ha ricordato il potere del giudice civile di merito di rivalutare ai fini del risarcimento in piena autonomia il fatto già vagliato dal giudizio penale minorile, nel quale non è ammessa come con gli adulti la costituzione di parte civile e ha ribadito che in base alle carte non c’erano dubbi su chi avesse lasciato la scritta offensiva. Da una parte infatti -spiega la Cassazione - il giudice di Appello fa notare che «a fronte di precisi riferimenti contenuti nella sentenza (di primo grado ndr.) e negli altri altri atti, le parti si sono limitate a contestazioni generiche in ordine alla sussistenza del fatto»; dall'altra aggiunge che «la stessa circostanza che (anche nel processo di Appello ndr.) si continui a sminuire l’operato del ragazzo definendolo una ‘goliardata’ testimonia che, rispetto alla specifica condotta contestata non vi è stata sufficiente educazione del figlio a concetti elementari quali quelli del rispetto del prossimo e dell’intima connessione fra i concetti di libertà e responsabilità». Da questo insieme di fattori il giudice d’Appello ha desunto che il genitore, sminuendo ripetutamente il disvalore del gesto del figlio, non aveva però mai messo in discussione in corso il fatto che il figlio fosse l’autore del danno da risarcire.

Non v’è dubbio, dice in sostanza la Cassazione, alla luce di quanto provato nei processi, che il ragazzo, pur non imputabile, sia l’autore della scritta ingiuriosa, che le prove fossero già state correttamente valutate in primo grado e in Appello e che le argomentazioni che motivano le sentenze siano logiche e congrue sia riguardo all’imputabilità sia riguardo all’offensività del comportamento. Per queste ragioni ha rigettato il ricorso del padre confermando la condanna a risarcire 1.500 euro più 200 di spese.

Riguardo al passaggio in tema di educazione del giudice di Appello, citato dalla Cassazione, vale la pena di osservare che non è stato il gesto del ragazzo a far ritenere (e scrivere) al giudice che vi fosse stata un’insufficienza educativa, ma l’insistenza con cui il padre minimizzava il disvalore del comportamento tenuto dal figlio.