Per la prima volta Nanni Moretti porta un libro sul grande schermo: si tratta di Tre Piani di Eshkol Nevo. Ma perché il grande autore al suo tredicesimo film decide di ispirarsi a un testo non originale? Difficile rispondere. Forse perché il suo cinema è in continua evoluzione, sospeso tra elementi personali, politica e Storia. O forse perché non vuole più essere lui al centro della scena, lasciando spazio alla narrazione. In qualche modo è come se sentisse il bisogno di essere un osservatore attento, senza cucirsi il ruolo del protagonista sulla pelle. Potrebbe essere l’opposto del bellissimo Santiago, Italia, quando davanti alle barbarie Moretti diceva: “Io non sono imparziale”. Bisogna schierarsi. Anche in Tre piani Moretti rivendica la necessità di perseguire la verità, non a caso presta il volto a un giudice. Ma resta sullo schermo meno degli altri attori, guardando da lontano e offrendo un’interpretazione a tratti testamentaria.
Il suo modo di raccontare si è fatto più malinconico, come ci aveva mostrato nel profetico Habemus Papam quando, due anni prima che Ratzinger si ritirasse, aveva messo in scena il Grande Rifiuto di un pontefice tormentato, estremamente umano. Pensiamo all’immagine del Papa che non vuole affacciarsi per salutare i fedeli. Le paure, le rinunce, le tende che si aprono e si chiudono senza fornire certezze. Forse la lezione che Moretti ci vuole dare è di “non essere imparziali”, e di capire anche quando è il momento di ascoltare, di guardare, senza per forza alzare la voce e attirare la luce dei riflettori. Non dimentichiamoci dell’impotenza di don Giulio in La messa è finita. Tornando a Roma dopo una lunga assenza, il prete scopriva di non poter far nulla davanti al continuo modificarsi delle cose. Quell’agitarsi oggi è diventato quiete, consapevolezza, confessione, come in Mia madre.
In Tre piani Moretti parte da Eshkol Nevo, cantore di un Israele diviso, per soffermarsi sulla vita della borghesia romana. E si interroga sull’andare del tempo, sulla disperazione, sulla colpa. C’è chi perde il senno davanti all’essere genitore, chi ha il terrore che la luce dei suoi occhi sia vittima di abusi, chi deve confrontarsi con un figlio che ha investito e ucciso una donna mentre era al volante. Tre storie che si intrecciano, e che mostrano come l’animo umano sia sempre in crisi. Nevo scriveva: “I tre piani dell'anima non esistono dentro di noi. Niente affatto! Esistono nello spazio tra noi e l'altro, nella distanza tra la nostra bocca e l'orecchio di chi ascolta la nostra storia. E se non c'è nessuno ad ascoltare, allora non c'è nemmeno la storia”. Moretti porta avanti la riflessione sul perdono, sulla necessità di comunicare, restando fedele anche a quello che spiegava in Bianca: “Ogni scarpa una camminata. Ogni camminata, una visione del mondo”. Tre piani si apre all’altro, e nella sua imperfezione trova la sua sincerità.
Moretti è l’interprete e il testimone più spietato di un’intera generazione, che non ha mai concesso un’attenuante a nessuno, con un rigore che sembra non aver trovato eredi. Eppure è un autore fondamentale, che sprona e tormenta coloro che fanno il cinema, non solo in Italia. In Moretti non esistono film minori o sbagliati, semmai pause per riflettere, capire le cose e prendere fiato, per riscoprire il modo giusto di raccontare e raccontarsi. Anche il suo alter ego femminile (Margherita Buy) sembra essere costruito per svelare un lato inedito e insospettabile di un’intera epoca. Tre piani è l’unico film italiano in concorso al Festival di Cannes, uscirà nelle sale cinematografiche il 23 settembre.