«Sono credente. Ho voluto utilizzare un punto di vista cristiano. In fondo, alla fine siamo tutti come i ladroni, in pochi sono santi. Stefano Cucchi era un ragazzo normale, non un eroe. Era un uomo che sbagliava, che sperava. Il suo è stato un calvario, è come se fosse una sindone del nostro tempo». Il regista Alessio Cremonini racconta Sulla mia pelle, ricostruzione del caso prima di cronaca e poi giudiziario relativo al ragazzo morto il 22 ottobre del 2009, mentre era in custodia cautelare: «La sua è una storia di sofferenza, di disperazione. È morto mentre era in mano alle istituzioni, mentre era in seno allo Stato, come anche le vittime del ponte di Genova. Bisogna accertare le responsabilità, per evitare che capiti ancora».
Lo abbiamo incontrato al Lido di Venezia, in compagnia di Alessandro Borghi, che presta il suo volto a Stefano Cucchi. Anzi non solo il volto, ma il corpo e l’anima. «È una storia che mi ha fatto male», dice, «e me ne fa ancora. Sono tanti i temi che si incrociano. Si va dall’abuso di potere ai sentimenti comuni, come l’abbandono e la paura. La famiglia non riusciva a incontrarlo ed era distrutta, lui forse credeva di essere stato lasciato solo. Non si può fare finta di niente, bisogna riflettere e non arrendersi quando si cerca la verità».
Come si è preparato a interpretare Stefano Cucchi?
«È stato un fiume, è avvenuto tutto in maniera abbastanza inconscia. Mi è sembrato di conoscere Stefano, di fondermi con lui. La storia è rigorosa, mai retorica. Ho dovuto perdere peso, poi i gesti sono venuti da soli. Era come se li avessi già dentro. Mi sono ispirato ad alcuni documentari che avevo visto, a pagine che avevo letto. Ho anche studiato alcuni video, come quello del suo compleanno. Poi tra ragazzi di borgata come noi ci si capisce, abbiamo gestualità simili. Ma non volevo imitarlo, volevo restituire un’emozione».
All’inizio non voleva prendere parte al progetto.
«Ero molto spaventato. Avevo paura che il film venisse strumentalizzato. Sono completamente apolitico, non voto da anni e non prendo parte a manifestazioni. A convincermi è stata la sceneggiatura. Poi, io e Stefano in comune abbiamo alcune conoscenze, l’approccio alla strada… Sentivo una grande responsabilità. Poteva essere mio fratello, il mio migliore amico».
A un certo punto Cucchi nel film dice: «Non sono credente, ma sperante».
«Forse è uno dei momenti più belli del film. Noi cercavamo la verità, per non essere fraintesi. Stefano sperava di poter cambiare, di poter migliorare la sua vita. Lui di sicuro ha pensato di venir fuori dal “ghetto”, a un certo punto. Ma la morte ha sorpreso lui, come tutti noi. Era profondamente solo. Abbiamo cercato di far entrare lo spettatore nella mente di Stefano».
Si può parlare di “delitto di Stato”?
«In questo momento no. C’è ancora un processo in corso, in qualche modo c’è la volontà di capire che cosa sia successo. Ma se tutti gli imputati saranno assolti e la giustizia si sarà fermata, l’esito sarà ancora più grave».
Ha conosciuto la sua famiglia?
«Sì, al “memorial” di Stefano, qualche mese prima di iniziare le riprese. Ero talmente emozionato che non sono riuscito ad avvicinarmi ai genitori, alla loro pena infinita. Ho avuto un confronto con Ilaria Cucchi, la sorella. Ci siamo subito scambiati tanta energia, tanta forza. A sconvolgermi sono state le coincidenze: se quella notte Stefano fosse rimasto a dormire a casa dei suoi, non sarebbe successo nulla. Una decisione che ha cambiato le sorti di una famiglia. La sofferenza è stato l’elemento più difficile da restituire».
Che cosa è cambiato in lei dopo questo film?
«Mentre giravamo, abbiamo cercato di prendere le distanze da quello che stavamo raccontando. Già mi ero accostato a storie di questo tipo. A cambiarmi sono stati i contatti umani, l’abbraccio con Ilaria Cucchi».
Sente che Cucchi è stato il personaggio più difficile a cui dar vita nella sua carriera?
«È stata la più grande responsabilità da quando recito. Ogni parte è complessa a modo suo. Nel mio mestiere devi lasciare che il tuo personaggio ti entri dentro, ti scorra nelle vene. Quando ti propongono una vicenda di questo tipo è professionalmente una fortuna, il “difficile” nel mio mestiere è da inseguire ogni giorno. Il cinema è la mia passione. Nasco prima come spettatore, poi come attore. Non posso fare a meno dei film, e ora ho un grande bisogno di raccontare in prima persona, di trasmettere prima di ricevere».