Quando si parla di libertà in riferimento alla fede
biblica la reazione istintiva è quella di pensare subito a una serie di
divieti in campo morale: «Non fare questo, non fare quell’altro». Ma
la sfida lanciata dalla Bibbia va oltre questa visione precettistica e
capovolge la prospettiva. Per l’uomo, unica creatura chiamata da Dio a
contribuire alla creazione, infatti, il problema non è «Che cosa devo
fare? Che cosa mi è proibito fare?», ma esattamente l’opposto: «Cosa
posso fare per offrire il mio contributo alla creazione?». È su questo
capovolgimento che si è concentrata la riflessione del filosofo Silvano Petrosino nella sua lectio al teatro comunale di Vicenza per l’anteprima del Festival Biblico di quest’anno.
– Professore, qual è l’idea di libertà umana proposta dall’Antico e dal Nuovo Testamento?
«A differenza di ciò che si pensa di solito, nella Bibbia il
concetto di libertà non è riferito subito alla morale, alla scelta cioè
tra il bene e il male, ma a un valore che fa riferimento all’atto stesso
della creazione. La parola “creatura” nella Bibbia è sinonimo di
libertà. Creato vuol dire liberato. Questo concetto si rivela in modo
sorprendente in relazione all’uomo perché vuol dire che esso non è un
burattino nelle mani di un despota o della natura ma è libero nel senso
che è capace, con le sue forze e la sua intelligenza, di contribuire
alla creazione. Questo è il punto essenziale. Il discorso biblico sulla
libertà si caratterizza nel dire all’uomo: "Coraggio, tu sei un
co-creatore". Da qui il duplice invito che Dio rivolge alla creatura
umana affinché coltivi e custodisca il giardino».
– Nell’Eden c’è spazio per tutti o solo per chi crea grandi cose come i pittori o i musicisti?
«Il giardino biblico coincide con una vocazione spirituale: l’uomo, ogni
uomo, è posto al suo interno affinché possa dimostrare ciò di cui è
capace. Ognuno di noi tutte le volte che fa del bene partecipa alla
creazione, anche se si trattasse di preparare un buon piatto di
pastasciutta. Il bene è collaborare alla creazione, la quale è perfetta ma
non è compiuta».
– Cosa significa?
«Non è compiuta perché attende la risposta di ogni singolo uomo. Dal
punto di vista filosofico, infatti, l’uomo non è creatore in sé stesso
ma, in quanto creato, è reso libero e chiamato a creare cose nuove. Un
esempio? Dio non è “capace” di dipingere la Gioconda perché non lo vuole
fare e perché la Gioconda appartiene solo a Leonardo. Ma affinché
Leonardo dipinga quel capolavoro deve essere creato capace di
realizzarlo. Un papà che vede il figlio che sta tirando il rigore in
campo non dice: “Lo tiro io, così faccio gol”, perché il rigore è del
figlio. Così agisce Dio nei confronti dell’uomo. Questo è un punto
fondamentale perché affranca il tema della libertà dalla dimensione
morale, dalla cappa ossessiva del divieto, e fa emergere l’aspetto
positivo».
– Nel capitolo 2 della Genesi dopo un esordio positivo, con
l’invito a «coltivare e custodire», si precipita nel clima cupo del
peccato originale. Questo che conseguenze ha sulla libertà?
«Il disegno originario non ha funzionato perché c’è stato il peccato da
parte dell’uomo. E la conseguenza del peccato è la paura. L’uomo, reso
libero, diventa schiavo della paura che è l’effetto del peccato
originale. Quindi,l’uomo diventa schiavo del peccato. Attenzione:l’uomo
non è schiavo rispetto a Dio ma è schiavo della sua stessa paura. Questo
è il grande insegnamento di Gesù (Gv 8,31-36)che ai Giudei che gli
dicono di essere liberi risponde invece che non lo sono perché schiavi
del peccato. Gesù parla di una schiavitù ontologica, rispetto a sé
stessi, non in riferimento a un despota esterno:è il tuo peccato,
afferma, che ti rende schiavo».
– Da liberi, dunque, a prigionieri della paura. Come se ne esce, professore?
«Noi abbiamo continuamente bisogno di essere liberati dalla paura. E
questa è un’esperienza quotidiana. Ogni volta,ad esempio, che
incontriamo una persona che ci vuole bene e ci ama facciamo esperienza
di qualcuno che ci libera dalla paura. Si dice, ed è vero, che chi trova
un amico trova un tesoro perché si incontra una persona che ti aiuta a
superare la paura. In senso assoluto, questo essere liberati dalla paura
è esattamente ciò che è e ciò che fa Cristo, colui che chiama Dio
padre. La buona notizia del cristianesimo è che il giudice coincide con
il salvatore,il giudice è padre, colui che ti salva.Da qui l’invito a
non avere paura».
– La libertà così delineata nel testo biblico sembra strizzare
l’occhio all’ideologia liberale che esalta l’autonomia soggettiva. È
così o c’è differenza tra le due concezioni?
«L’ideologia liberale è astratta, pone la libertà come un dato ovvio e
scontato. Essa censura l’idea che l’uomo è invece sempre una libertà da
liberare. Ha una concezione del soggetto poco realistica: un individuo
che non ha limiti, peccati, paure, senza inconscio insomma. Se l’uomo è
un tutto pieno, perfetto, gli ostacoli, secondo quest’ideologia, possono
solo provenire dall’esterno: lo Stato, gli altri. Il liberalismo dice:
“Lasciateci fare, non dateci vincoli e vedrete che andrà tutto bene”. Il
concetto biblico di libertà è diverso perché molto più realistico ma
anche complicato, afferma che l’uomo è sì creato libero, ma attende
sempre di essere liberato dalla paura».
– Come mai parte del mondo cattolico declina il tema della libertà in
termini moralistici come se fosse solo una questione di divieti?
«È una scappatoia rispetto alla
responsabilità, quasi un’ammissione che non siamo mai all’altezza della
vocazione a cui siamo chiamati: essere uomini. C’era un comico, qualche
anno fa, che ripeteva questo tormentone: “Dimmi quello che devo fare e
io lo faccio”. Dio non ti può dire come devi dipingere la Gioconda. A
volte l’uomo di fronte all’abisso del positivo – l’invito di Dio a
contribuire alla creazione – si ritrae. Questa è la vera nozione di
peccato. Il peccato, più che il male compiuto, è il bene non fatto.
Se
Leonardo non avesse dipinto la Gioconda non avremmo detto: “Che
peccato!”, nel senso di occasione mancata. È come se una parte del mondo
cattolico scegliesse la via breve: “Dimmi quello che devo fare e lo
faccio”. Ma questo è venir meno alla vocazione a cui Dio ci chiama, è un
tradimento dell’ordine della creazione. È come se l’uomo al “coltiva e
custodisci il giardino e sii libero” di Dio rispondesse “non ce la
faccio”, riducendo questo invito grandioso all’obbedienza di una legge
esterna. La libertà diviene così negativa e assume la forma del no».