«Si passa qui come si passa accanto a una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino». Con queste parole Giovanni Paolo II salutò la comunità ecumenica di Taizé durante la sua visita nel 1986. A quella fonte, in 75 anni di vita, hanno bevuto migliaia di giovani. Tanti quanti mai avrebbe immaginato il giovane protestante svizzero Roger Schutz quando nell’agosto del 1940 decise di prendere dimora nel piccolo villaggio francese per fondarvi una comunità dedita alla riconciliazione tra le diverse confessioni cristiane.
Negli anni Sessanta iniziarono ad arrivare tra quelle colline della Borgogna i ragazzi di mezz’Europa, affascinati dalla singolare comunità di monaci vestiti di bianco dove vivevano e pregavano insieme protestanti, cattolici e ortodossi. Pochi anni dopo i pellegrini erano già migliaia, tanto che i prati attorno pullulavano di tende stipate di giovani e i giornali parlavano di “Woodstock cattolica”. Poi Taizé diventò globetrotter con gli incontri che ogni fine d’anno facevano (e fanno tutt’ora) tappa in una diversa capitale europea. Fino alla caduta del Muro di Berlino, quando una fiumana di ragazzi polacchi, ungheresi, cechi e slovacchi, assetati di spiritualità comunitaria, segnava record di presenza mai più battuti.
E oggi? Nel cuore dell’Europa secolarizzata e in crisi d’identità, l’essenzialità della proposta cristiana che qui si respira a pieni polmoni continua a richiamare migliaia di persone. Per toccarlo con mano basta trascorrere qualche giorno sulla collina di Taizé, dove in estate sono ospitate fino a 5.000 persone. Attorno alle abitazioni dei monaci si è sviluppata una cittadella dedicata ai pellegrini: casette in legno piene zeppe di letti a castello, porticati per il consumo dei pasti, tende per lo svolgimento degli incontri… E poi la grande chiesa della Riconciliazione, dove le panche sono abolite e tre volte al giorno ci si siede a terra per pregare con i celebri canoni dalle melodie facilmente memorizzabili.
Statunitense con origini italiane, Frère John è uno dei fratelli che quotidianamente guida gli incontri per i ragazzi. Spiega che dopo il boom degli anni Novanta gli arrivi dei visitatori si sono stabilizzati a partire dall’inizio del nuovo millennio. La priorità all’ospitalità è sempre per i giovani, ma sono aumentati gli adulti e arrivano anche famiglie.
«Rispetto al passato i giovani sono meno preparati nella fede, spesso hanno legami più fragili con le comunità cristiane, fanno più fatica a percepire la vita come un cammino organico», chiarisce il monaco, «vivono le esperienze come fossero le app di un telefonino: si passa da una all’altra senza un legame, con direzioni contraddittorie. Eppure qui fanno la stessa esperienza di sempre. Noi diciamo un’esperienza di Chiesa, di comunione: cos’è altrimenti stare insieme, pregare, leggere la Bibbia, commentarla?».
«Sono arrivata con una fede ridotta a un lumicino. Ma qui ho percepito che c’è Dio: in chiesa, ma anche nella distribuzione dei pasti, nelle persone, durante lo svago del tempo libero» dice Giulia Balconi, 19 anni, arrivata della provincia di Milano. «I fratelli ti insegnano a leggere il Vangelo secondo la tua vita: non dicendo “è così e basta!”». «Stare qui pone prospettive nuove alle proprie domande esistenziali» conferma Pietro Gallina, 23 anni, piemontese di Ivrea. «A Taizé tutti si salutano anche se non si conoscono. C’è disponibilità a un incontro profondo e spirito di fraternità» assicura Mei Mei Tse, 25 anni, cristiana anglicana di Hong Kong. Anche le vocazioni non conoscono crisi. Da tempo il numero dei fratelli è assestato poco sotto i cento professi, provenienti dalle principali confessioni cristiane, e l’età media è piuttosto bassa, con almeno una decina di frère sotto i 35 anni. E la comunità continua a internazionalizzarsi: sono rappresentati 30 Paesi di tutti i continenti.
“NUOVE GENERAZIONI” A CONFRONTO. Nei prossimi giorni sulla collina di Taizé ci sarà il pienone. Per ricordare frère Roger nel centenario della nascita e a dieci anni dalla morte per mano di una squilibrata che lo accoltellò durante la preghiera della sera, dal 9 al 16 agosto è stato convocato un raduno mondiale dal titolo Per una nuova solidarietà. I giovani del passato sognavano di cambiare il mondo, credevano in tante utopie. Le generazioni del terzo millennio sono più disincantate: «Vedono tante sofferenze e ingiustizie», spiega frère John, «ma hanno anche la chiara percezione di non poter fare nulla per cambiare le cose. Questo scoraggiamento rischia di diventare antropologico, uno stile di vita rassegnato. Per questo abbiamo deciso di riflettere insieme».
Perché insieme si può fare qualcosa: «I cristiani sono chiamati a essere “sale della terra”, basta poco per cambiare il sapore della vita».