Sono trascorsi vent’anni da quando, nel 1992, si tenne la prima Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile a Rio de Janeiro. Tra pochi giorni, dal 20 al 22 giugno, avrà luogo la seconda edizione. La location del meeting è rimasta la medesima, ma a essere cambiato drasticamente è il nostro Pianeta, e non in meglio purtoppo.
Vent'anni sono un arco di tempo sufficientemente ampio per poter affermare con certezza che un cambiamento globale non solo non è più procastinabile, ma deve comprendere anche la trasformazione degli stili di vita, individuali e collettivi, investire le politiche economiche, sociali e culturali, informare tanto il senso civico dei cittadini quanto gli orientamenti politici dei governi.
Fare della Terra un luogo più equo e sostenibile per tutti: questa è la sfida più urgente che attende tutti noi.
A questo proposito, non è passato inosservato l’appello rivolto all’Italia da Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, Federazione di organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana. Alla vigilia della seconda Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, Cattai ha rinnovato l’appello della Federazione ad «affrontare le cause strutturali dei modelli di sviluppo diseguali e insostenibili ponendo le basi di un’azione internazionale, in particolare per la convergenza delle crisi climatiche, dell’insicurezza alimentare, della crescente diseguaglianza economica e di genere».
L’auspicio espresso da Cattai è che l’Italia possa recitare un ruolo di primo piano sulla scena internazionale e, quindi, anche a Rio de Janeiro, ma non solo: a conferenza conclusa, il Paese e il Governo dovranno dimostrarsi coerenti nell’assumersi gli impegni presi, volti alla radicale trasformazione dell’intero sistema-Paese. Per questa ragione, Focsiv ha pubblicato un lungo e approfondito documento, all’interno del quale vi sono una serie di raccomandazioni sottoscritte anche dalle principali sigle dell’associazionismo cattolico come Azione Cattolica, Cisl, Coldiretti (per maggiori informazioni consultare questo link).
D’altra parte, i numeri parlano chiaro nella loro disarmante freddezza: oggi 828 milioni di persone vivono nelle baraccopoli, 800 milioni di automobili sono responsabili di oltre la metà del consumo globale di combustibili fossili liquidi e di un quarto delle emissioni di anidride carbonica (80 per cento di inquinanti nocivi nei Paesi in via di sviluppo), l’edilizia impiega tra il 25 e il 40 per cento di tutta l’energia prodotta su scala globale e rappresenta una percentuale analoga nelle emissioni globali di anidride carbonica.
Quasi 2 miliardi di persone sono sfamate dai prodotti di 500 milioni di piccole fattorie nei Paesi in via di sviluppo – Paesi nei quali l’80 per cento di chi patisce la fame vive in quelle stesse zone rurali dove le specie animali e vegetali si estinguono a un tasso 1000 volte superiore rispetto all’era pre-industriale.
È quanto emerso per esempio in State of the World 2012: “Verso una prosperità sostenibile” guardando a Rio+20, l’edizione italiana del rapporto del Worldwatch Institute presentata di recente a Milano, presso il Museo della Scienza e della Tecnica.
Presenti al convegno tra gli altri, oltre a Gianfranco Bologna, direttore scientifico di WWF Italia e curatore dell’edizione italiana del Rapporto, Michael Renner, Senior Researcher Worldwatch e codirettore di State of the World 2012, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, Andrea Segrè, preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, Valeria Cometti, responsabile educazione di Slow Food. Un’occasione per riflettere insieme e maturare proposte positive nell’imminenza della prossima Conferenza delle Nazioni Unite.
“La rivoluzione industriale ha dato vita a un modello di crescita economica palesemente insostenibile”, ha affermato Michael Renner. “Il crescente stress imposto agli ecosistemi e una pressione insostenibile sulle risorse sono accompagnati da una maggiore incertezza economica, crescenti disuguaglianze e vulnerabilità sociale. È difficile evitare la conclusione che così come è impostata l’economia non funziona più: né per noi né per il pianeta”.
Prosperità sostenibile: questa è la parola chiave attorno cui si è sviluppata la ricerca del Worldwatch Institute nel 2012, a sgombrare il campo dall’equivoco secondo il quale modificare lo stile di vita e il modello dei consumi significherebbe imporre un neopauperismo su scala globale. Al contrario: negli ultimi 50 anni, le classi medio-alte del mondo hanno raddoppiato i propri livelli di consumo, mentre quasi 2 miliardi di persone aspirano a far parte delle classi consumatrici.
Senza un radicale mutamento di rotta, nel 2050 l’intera popolazione mondiale utilizzerà ogni anno 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse, a fronte dei 60 miliardi di tonnellate attuali. Si evince facilmente, quindi, che sviluppare un modello razionale di governance globale significherebbe prevenire l’ulteriore allargamento dell’area delle diseguaglianze, degli squilibri e delle sperequazioni, in favore di un’ottica decisamente più lungimirante.
In questo senso, la chiave di lettura “green” è fondamentale: prevenire un ulteriore degrado degli ecosistemi planetari e ripristinarne la piena salute, garantirebbe lo stesso benessere dell’umanità intera.
«Per raggiungere questo obiettivo», ha sintetizzato Adriano Paolella, direttore generale del WWF Italia, «servono una nuova economia verde che punti all’eliminazione della povertà, un quadro istituzionale internazionale autorevole, ma anche un’attivazione concreta da parte di cittadini e comunità, a tutti i livelli della società.
Piccoli passi avanti sul fronte politico o tecnologico non saranno sufficienti a salvare l’umanità. Dobbiamo cambiare radicalmente la nostra cultura dei consumi e rimettere come priorità assoluta il benessere del pianeta e dell’uomo, per essere protagonisti di un futuro più equo per tutti».
Una conferenza governativa come il “Rio+20” – alla luce anche dei risultati non certo brillanti ottenuti negli ultimi vent’anni, come testimoniano i recenti, deludenti negoziati di Bonn – non potrà essere da sola la cura di tutti i mali del Pianeta; potrà prendere atto dello status quo e, nella migliore delle ipotesi, indicare possibili obiettivi a medio e breve termine suggerendo possibili percorsi virtuosi. Ragion per cui, operare dal punto di vista informativo sulla coscienza di massa è un imperativo imprescindibile che è stato raccolto appieno da State of the World 2012: “Verso una prosperità sostenibile” guardando a Rio+20.
«Anche se una conferenza di governi senz’altro può aiutare, per definire nuove strade verso la vera sostenibilità serve di più», ha chiosato Gianfranco Bologna. «La sfida inizia riconoscendo che una crescita economica e demografica infinita non è possibile su un pianeta finito. Possiamo lavorare con la speranza che la stabilità economica è possibile, così come una vita giusta, basata sulla salute, su comunità forti e sulla possibilità che tutti accedano al necessario piuttosto che a un superfluo sempre crescente».
A ogni modo, alcuni “semi di sostenibilità” piantati nel recente passato hanno già cominciato a dare buoni frutti. L’attività di monitoraggio, svolta dal Worldwatch Insitute e pubblicata nel Rapporto 2012, ha messo in luce alcune alternative sostenibili già messe in atto, non solo da parte dei Governi ma anche dalla società civile e dalle comunità locali di diverse parti del mondo, Paesi in via di sviluppo compresi: agricoltura, tecnologie della comunicazione, tutela delle biodiversità, edilizia “green”, politiche locali e governance globale sono solo alcuni degli ambiti in cui i nuovi semi di sostenibilità hanno attecchito.
Alcuni esempi possono risultare assai utili a comprendere che un’alternativa praticabile esiste già. In Inghilterra nel 2005 è nato il movimento delle Transitions Town e da allora ha coinvolto 400 comunità in 34 Paesi diversi, per ridurre i propri consumi energetici e rilocalizzare le economie e i sistemi produttivi del settore alimentare. In Francia sono nate 1200 “fattorie sociali”, più di 700 nei Paesi Bassi.
In Colombia, sull’arida savana dove trent’anni fa sorgeva il villaggio di Gaviotas, oggi, grazie all’opera dei suoi 200 abitanti, si erge una foresta di oltre 8 mila ettari (foto) che offre al villaggio cibo e prodotti commerciabili e che, oltretutto, assorbe 144 mila tonnellate di anidride carbonica all’anno. E si potrebbe andare avanti (per maggiori informazioni: State of the World 2012: “Verso una prosperità sostenibile” guardando a Rio+20, a cura di Gianfranco Bologna, Edizioni Ambiente, pp. 400 € 24).
La presentazione del Rapporto 2012 del Worldwatch Institute è avvenuta nell’ambito del terzo convegno “Semi di sostenibilità”, un’iniziativa ideata in partnership tra WWF Italia ed Electrolux – azienda svedese che da sempre ha un occhio di riguardo per la green economy – con il patrocinio del Comune di Milano, della Provincia e della Regione Lombardia, proprio per sensibilizzare al tema della sostenibilità globale il grande pubblico e in particolar modo le nuove generazioni (per maggiori informazioni consultare il sito www.semidisostenibilita.it).
Il progetto Panda Club, in particolare, è il programma di educazione ambientale e alimentare rivolto alle scuole dell’obbligo promosso da WWF Italia ed Electrolux. Lo scorso anno aveva preso il via il percorso “Nei limiti di un solo pianeta”; per l’anno scolastico 2012-2013 sono stati introdotti tre nuovi temi che lo completano e arricchiscono ulteriormente: la relazione tra alimentazione e consumi di energia, gli sprechi nella filiera produttiva legata al cibo, le azioni sostenibili per un’alimentazione amica dell’ambiente.
Al termine del convegno, si è svolta anche la premiazione dei vincitori del concorso per le scuole “Semi di Sostenibilità in cucina 2011-2012”: stagionalità degli ingredienti, semplici e legati al territorio, limitato consumo di acqua e energia, pochi rifiuti prodotti erano solo alcune delle linee guida per le classi partecipanti. La risposta dei giovani studenti è stata a dir poco entusiasmante.
Un segnale incoraggiante in vista di “Rio+20”, perché le conferenze governative da sole non riusciranno a invertire la rotta, e le risoluzioni dei Governi diverranno lettera morta, se non si diffonderà quanto prima, in ogni strato delle società civili di tutto il mondo, la coscienza di dover intraprendere una nuova strada, lasciandosi alle spalle non solo un modello di sviluppo dissennato, ma anche e soprattutto le chiacchiere vuote e i proclami altisonanti: è arrivato il momento di agire in prima persona, concretamente, partendo dalla propria sfera privata per arrivare a quella pubblica. Il tempo dell’immobilismo appartiene al passato. Il futuro della Terra è già iniziato.