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venerdì 21 marzo 2025
 
 

"Il futuro sarà migliore con l'integrazione e la condivisione". Parola di Beppe Grillo

23/01/2019  Ecco il testo integrale della prefazione al libro di padre Alex Zanotelli "I poveri non ci lasceranno dormire", edizione Monti, del 2004. Il futuro fondatore del Movimento cinque stelle parla di accoglienza e ricorda che i Paesi di provenienza sono stati sfruttati dal colonialismo. "Dobbiamo ringraziare il cielo se invece di venire a regolare i conti vengono a pagarci le pensioni"

Riproponiano la prefazione di Beppe Grillo al libro di padre Alex Zanotelli dal titolo "I poveri non ci lasceranno dormire", Monti edizioni, pubblicato nel 2004. Alex Zanotelli, il missionario, il povero, il coraggioso; la prima volta che l'ho incontrato ero - lo confesso - in soggezione. Ci eravamo dati appuntamento a casa mia, a Genova. "Beppe - mi chiede, alludendo all'urgenza di non tacere davanti agli sconquassi della globalizzazione che sta traumatizzando il pianeta- cosa facciamo?". Lo guardo: magro, nella sua camicia africana, i sandali ai piedi. .. ecco il comboniano che viene da Korogocho. Io sono nella mia villa, sul bordo della piscina, i miei figli stanno giocando in giardino: avverto tutta la distanza tra la mia condizione e la sua. Cosa gli dico? Guardo ancora lui, guardo la piscina.

È una giornata caldissima: "Facciamoci un bagno, tanto per cominciare!". Mi risponde, percependo il mio imbarazzo: "Io non mi aspetto da te che tu faccia il monaco, ma penso che sia importante in questo momento che facciamo girare determinati messaggi. Tu hai la possibilità di farlo, sei ascoltato e ho visto che c'è gente che ha voglia di una cultura alternativa: per favore, datti da fare. Poi, sul tuo stile di vita ci ritorneremo sopra in seguito". È iniziato così il mio rapporto di amicizia e di stima con Alex. Prendendo oggi in mano I poveri non ci lasceranno dormire, ritrovo l'Alex che ho conosciuto quel giorno a casa mia: lucido, combattivo, appassionato. E ritrovo i temi che ci accomunano; primo tra tutti, la necessità di aprire gli occhi e di risvegliarci clal torpore in cui la 'cultura' dominante ci costringe, per riscoprire una nuova qualità di vita, salutare per noi e per il resto del pianeta.   Tutti impegnati a prodùue e consumare, noi europei sembriamo dimenticare due cose. Primo: occorre un certo equilibrio tra produzione e riproduzione. Mentre ci ingozziamo sempre più di pubblicità per riuscire a vendere tutto quello che produciamo, i demografi ci dicono che l'Europa avrebbe bisogno di più di mezzo milione di immigrati ogni anno se volesse continuare a produrre e consumare tutte queste mercanzie. E se allora lavorassimo un po' di meno- per esempio 20-30 ore alla settimana - e ci dedicassimo di più ..a lla riproduzione, alla famiglia, all'educazione, agli amici?

Secondo: noi europei abbiamo invaso gli altri continenti per più di cinquecento anni e fino a ieri non siamo andati per il sottile: massacri, stupri, schiavismo, sterminii di interi popoli, annientamenti di culture millenarie, depredamento di risorse naturali. I crimini d~gli attuali trafficanti di clandestini o della piccola delinquenza importata impallidiscono di fronte a quelli che i nostri eserciti e molti dei nostri mercanti hanno commesso fino a ieri in(.. giro per il mondo. Dopo cinquecento anni, il pendolo delle migrazioni inverte il suo corso e l'Europa diventa stazione di arrivo invece che stazione di partenza. Dobbiamo solo ringraziare il cielo che anche i migranti sembrano aver perso, come noi, la memoria della storia: invece di venire a regolare i conti di secoli di crimini e rapine, vengono in Europa per cercare lavoro e pagano le nostre pensioni al posto dei figli che non facciamo. Eppure c'è chi riesce lo stesso ad odiarli. Dopo decenni di crescita senza sviluppo e di consumismo senza cultura, il numero esorbitante di telefonini, automobili e metri cubi di cemento pro capite ci ha fatto dimenti   care di quanto straccioni eravamo, di quanto ignoranti ancora siamo e di quante decine di milioni di italiani sono emigrati all'estero. In Europa siamo il paese che consuma di più e si riproduce di meno, tra pochi anni avremo discariche strapiene e asili semivuoti. Eppure, con una percentuale di stranieri molto più bassa di quella svizzera (due su dieci) o tedesca (uno su dieci), in Italia (uno str~niero ogni trenta italiani) c'è ancora chi fomenta una psicosi da paese invaso. E chi, come padre Alex, ha condiviso davvero la vita dei poveri, anche quelli così poveri da non riuscire nemmeno a pensare di emigrare in Europa, grida quasi nel deserto che su questa strada non c'è futuro. Il futuro non sarà migliore se ci difenderemo alzando steccati o prendendo impronte, ma se saremo capaci di integrazione e di condivisione. È questo il vero progresso, non quello che ci fa diventare sempre più meschini, chiusi e impauriti.

L'Italia vuole entrare nell'era digitale. Ma qualcuno deve pur dirlo a Bossi e al suo governo che non è quella delle impronte! L'era digitale è quella in cui in ogni cabina telefonica c'è una tastiera, uno schermo e un collegamento e-mail; come avviene a Bellinzona o a Zurigo. Non è quella dove a ogni lavoratore marocchino o canadese vengono prese le impronte digitali come a un delinquente, come si vuole fare in Italia. Certo, se a Zurigo dovessero prendere le impronte ai non elvetici, dovrebbero schedare un cittadino su tre, un'impresa impossibile perfino per gli svizzeri! E così, l'unica impronta delle decine di migliaia di africani, arabi, turchi, balcanici, asiatici, sud e nordamericani che vivono a Zurigo è quella che essi lasciano sulla città: un luogo cosmopolita e tollerante, dove gli opuscoli del comune sono scritti in sette lingue, dove si vedono facce, cibi e vestiti di tutti i colori e di tutti i continenti, dove lo straniero licenziato viene aiutato a trovare un nuovo lavoro e riceve per un certo tempo un sussidio di disoccupazione, invece di essere messo sul primo aereo per il suo paese, confiscandogli i contributi già pagati, come si vuoi fare in Italia. Nella stazione di Zurigo c'è una piccola, modernissima chiesa per i viaggiatori; è gestita da protestanti e cattolici, ma dentro ci sono anche i tappetini per i musulmar'li e una freccia che indica- con precisione svizzera- la direzione della Mecca. Sembra di stare ad anni luce dall'Italia, il cui governo si regge su politici che vanno in piazza al grido di "polenta sì, cous-cous no" e che sono andati a versare urina di porco per sconsacrare un terreno comprato dalla comunità musulmana per costruire una moschea.

Mi piacerebbe vedere la faccia non solo del manovale albanese o peruviano, ma anche del direttore d'orchestra israeliano- per esempio Zubin Metha - ,dello scrittore statunitense- per esempio Gore Vidal- o dell'ingegnere canadese che, venendo a lavorare in Italia per qualche mese o qualche anno, troveranno alla frontiera un poliziotto, magari con appena la terza media, a prendergli le impronte digitali, c me si fa con i galeotti. Mi sarebbe piaciuto vedere la fa ia d ll decin di mi, lioni di emigrati italiani di questo secolo se, appena arrivati all'estero, fossero stati accolti con la schedatura delle impronte digitali. La maggior parte di loro era laboriosa e onesta, ma ci siamo dimenticati che l'Italia è stata per decnni anche un pae se leader nell'esportazione deIla delinqucnza, arrivando perfino a dominare con le famiglie siciliane di Cosa Nostra uno dei mercati criminali mercati criminali più competitivi, quello degli Stati Uniti.  

Ma chi sono davvero gli invasori? Perché il governo italiano parla solo delle impronte digitali degli extracomunitari e non parla mai delle impronte ecologiche degli italiani? Cioè delle impronte che noi lasciamo in tutto il mondo per vivere come viviamo, ben al di sopra dei nostri mezzi ecologici? L'impronta ecologica è un indicatore molto utile, l'ha inventata Mathis Wackernagel, uno scienziato svizzero che lavora a San Francisco presso l'istituto di ricerca "Redifining Progress". L'impronta ecologica è la quantità di territorio fertile necessaria per produrre le risorse e per assorbire i rifiuti e le emissioni collegati allivello di consumi materiali di un popolo o di una persona. Comparando tra loro le diverse impronte ecologiche si può vedere quali nazioni consumano più natura globale di quella che hanno e quali ne consumano meno. Ment; e negli Usa un cittadino dispone in media di sei ettari bioproduttivi, in realtà ne adopera dieci. Un italiano ne ha uno e ne adopera quattro, un brasiliano ne ha quattro e ne adopera uno. Una parte degli ettari fertili brasiliani, per esempio, servono a produrre legnami, arance e caffè consumati dagli europei, oppure ad assorbire nelle foreste una parte dell'anidride carbonica prodotta dagli europei bruciando petrolio, gas e carbone. Quindi, per sostenere il nostro livello di consumi materiali, noi utilizziamo molto più territorio di quello equivalente alla superficie fertile della nostra nazione, mentre gli abitanti di molti paesi più poveri ne utilizzano meno di quanto ne hanno nei loro confini.

Chi sono allora gli 'invasori'? Quegli abitanti dei paesi poveri che per via della loro miseria invadono le nostre terre con le loro braccia, venendo da noi a produrre? Oppure gli abitanti dei paesi ricchi che, per via della loro opulenza, profittano di una parte delle terre altrui per poter continuare a consumare al di sopra dei loro mezzi? Questi, è vero, sono temi scomodi. Come lo sono quelli del dominio della finanza speculativa sull'economia, dello strapotere della lobby militare-industriale, dell'asservimento della politica al volere di pochi gruppi di potere, di quell'Impero, cioè, di cui parla con coraggio padre Alex in questo libro. Oggi, in Italia, dove abbiamo una televisione a cui è rimasto il solo compito di farci diventare sempre più obbedienti ~Ile leggi del consumo ('tubi digerenti' dice Zanotelli), dove i politici parlano solo dopo aver valutato i risultati dei sondaggi, dove sta diventando reato esprimere opinioni in disaccordo con quelle della maggioranza, restano poche voci capaci di cantare fuori dal coro: quelle dei comici e quelle dei missionari. Alex è uno di questi. Con la sua vita, prima ancora che con le parole -che comunque non risparmia- è un invito vivente alla resistenza, alla ribellione contro il qualunquismo, al diritto di riappropriarsi della capacità di pensare.

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