«Mi dice cosa c’è scritto su questa pergamena?
Sono anni che vorrei saperlo, ma non
ho nessuno a cui chiederlo». Il signor Kinjiro
Matsukawa mi mostra una stampa
antica. In realtà non c’è scritto nient’altro
che «La natività di nostro Signore Gesù Cristo» in francese,
inglese e spagnolo. La stampa è antica, probabilmente
del diciannovesimo secolo. «Apparteneva ai miei
genitori, che a loro volta l’avevano ricevuta dai loro genitori», spiega.
La storia di Matsukawa, un anziano pensionato di
Sotomè, paesino a venti minuti da Nagasaki, arriva da
molto lontano. Una storia che parla di persecuzioni e
di una fede praticata in silenzio, lontano dagli occhi di
tutti, per oltre due secoli. I suoi genitori erano cristiani
nascosti, dei kakure kirishitan, come li chiamano in
Giappone. Sono quei cattolici che per oltre due secoli,
dall’inizio del 1600 alla metà del 1800, hanno vissuto la loro fede in incognito, tramandandola
di padre in figlio, rischiando
la morte giorno dopo giorno.
Il Giappone dello Shogunato: dalle missioni di Francesco Saverio alle persecuzioni dei cristiani
Per capire la storia dei cristiani nascosti
bisogna tornare al 1549, quando
san Francesco Saverio arrivò come
missionario nel Sol Levante e iniziò a
fare i primi proseliti. Poco dopo i Gesuiti,
arrivarono in Giappone anche
alcuni francescani e domenicani, in
particolare spagnoli e portoghesi, e a
convertirsi maggiormente fu tutta la
regione intorno a Nagasaki, che ancora
oggi registra il maggior numero di
cattolici nel Paese (circa 70 mila fedeli).
In breve tempo, oltre ai poveri, iniziarono
a chiedere il battesimo anche
persone delle classi più agiate, come
Sumitada Omura, che fu il primo daimyo
(l’equivalente cioè di un nostro
feudatario) a diventare cristiano. Ma
a partire dal 1614, con l’avvento dello
shogun (dittatore militare) Toyotomi
Hideyoshi, il cristianesimo fu bandito
dal Paese. Ebbero allora inizio le
prime persecuzioni, che divennero
man mano più violente e crudeli. Non
furono risparmiate donne, bambini e
sacerdoti, e le modalità di tortura non
ebbero nulla da invidiare a quelle utilizzate
dagli antichi Romani.
Nel 1637 ci fu una grande rivolta
nella città di Shimabara, a sud di Nagasaki;
i motivi che scatenarono la ribellione
dei cittadini contro il daimyo
locale furono prettamente economici
e sociali, ma l’autorità ne approfittò
per accusare i cristiani (che erano la
maggioranza dei rivoltosi semplicemente
perché il cristianesimo in quella
zona era arrivato a toccare il 70 per
cento della popolazione) e perseguitarli
ulteriormente. Dopo il martirio dell’ultimo prete presente nel Paese,
nel 1644, i kakure kirishitan vissero
così la loro fede nel più assoluto riserbo fingendo, a seconda dell’occasione,
di essere buddhisti o scintoisti.
Con la riapertura delle frontiere agli
stranieri, a partire dal 1859, poterono
però rientrare anche i sacerdoti e fu
così che, nel 1865, padre Bernard Petitjean,
un missionario francese, venne
a conoscenza di un sopravvissuto
focolare cristiano.
Kakure kirishitan, la storia invisibile dei cristiani nascosti
Non tutti i fedeli però, una volta finito il proibizionismo, decisero di
rientrare nella Chiesa cattolica ufficiale: molti hanno continuato a vivere
come se fossero ancora in incognito,
con riti a metà tra buddhismo e cattolicesimo.
La particolarità dei kakure kirishitan
è, infatti, proprio questa: durante
gli oltre due secoli di proibizionismo,
le loro pratiche si sono modificate, assorbendone
alcune dalle altre religioni.
Certi aspetti sono rimasti immutati,
come il culto alla Vergine Maria,
venerata attraverso la statua della divinità
femminile buddhista Kannon, e
le preghiere, che seppur simili nel ritmo
e nella cadenza a quelle buddhiste,
nel contenuto sono rimaste cristiane,
in un latino storpiato dalla fonetica
giapponese. Molte cose, invece, sono
andate perdute, tra cui l’Eucaristia,
mai praticata per via dell’assenza di
sacerdoti.
I cattolici ufficiali e i kakure kirishitan
hanno quindi continuato a vivere
in due dimensioni parallele per
150 anni: «Nel 2010 alcuni cattolici e
criptocristiani (un altro dei nomi con
cui sono indicati i kakure kirishitan) si
sono riuniti nel bosco di Sotomè per
pregare insieme per la pace, ognuno a
modo suo. È stato un primo passo per
riavvicinarci», spiega suor Rumiko
Kataoka, rettore della Junshin Catholic
University di Nagasaki, studiosa del
cristianesimo in Giappone e del fenomeno
dei kakure kirishitan.
Proprio a Sotomè per oltre due
secoli ha vissuto una delle più grandi
comunità di cristiani nascosti, di cui
Matsukawa è uno degli ultimi superstiti.
Oggi questo anziano signore dedica
il suo tempo libero a raccontare le
storie dei suoi avi a chiunque abbia voglia
di ascoltarlo. Lui stesso da bambino
è stato battezzato con il nome di
Domegos (una storpiatura del nome
Domenico derivante dallo spagnolo
o dal portoghese) e ha imparato le
preghiere cristiane. «Sono andato via
da qui dopo la scuola media e
sono stato lontano tanti anni per lavoro,
senza pensare alle mie radici. Poi,
dieci anni fa, quando sono andato in
pensione e ho deciso di ristrutturare
la casa dei miei genitori, ho trovato
dei documenti e degli oggetti nascosti
nello stipite di una porta. Da allora, ho
dedicato la mia vita alla diffusione della
storia dei cristiani nascosti».
L’incontro con suor Rumiko e con
altri cattolici interessati al dialogo con
i kakure kirishitan (tra cui anche l’arcivescovo
Joseph Takami, a sua volta figlio di cristiani nascosti) ha fatto sì
che si potesse fare una vera e propria
ricerca storica sull’esistenza di questa
comunità nei dintorni di Nagasaki.
Nonostante la loro costante e massiccia
presenza nella zona, i cristiani
nascosti hanno lasciato poche tracce,
perché durante il periodo della persecuzione
il potere locale distruggeva
tutto ciò che trovava, comprese le
tombe. Per nasconderle alla vista delle
spie, i criptocristiani hanno iniziato
a non scrivere più nulla sui sepolcri, e
a seppellire i loro cari sotto una semplice
pietra orizzontale.
Camminando nel bosco intorno
Sotomè, Matsukawa mostra una serie
di pietruzze sparpagliate su una tomba: «Con pietre come queste si poteva
comporre una croce per pregare, e subito
dopo la si disfaceva per non essere
scoperti».
I riti celebrati dalla comunità dei
kakure kirishitan all’interno del bosco
si ridussero con il tempo alla sola
Quaresima, festeggiata sotto una
spoglia lastra di pietra, senza nessun
simbolo che potesse tradire la loro
presenza alle spie del Governo. Solo
nel diciannovesimo secolo fu costruito
un piccolo tempio scintoista, il
Karematsu Shrine, in cui i criptocristiani, fingendo di essere scintoisti,
andavano a pregare l’anima di san
John (non l’evangelista, ma un missionario
straniero venerato come santo),
e del suo discepolo martire, il catechista
giapponese Bastian, il quale nello
stesso luogo, nel diciottesimo secolo,
celebrava la Messa nascondendo gli
oggetti sacri sotto una pietra.
Le pratiche dei cristiani nascosti a
Sotomè sono continuate con regolarità fino al 1935 circa, poi sono andate
scemando perché i giovani hanno iniziato
a seguire sempre di meno la religione.
Lo stesso Matsukawa ammette
di essere ritornato alla fede cristiana
più per rispetto alla memoria dei genitori,
in particolare per il padre morto
durante la Seconda guerra mondiale,
che per un moto spontaneo del cuore,
secondo il forte sentimento, tutto
giapponese, della conservazione della
memoria degli avi: «Molti figli di
cristiani nascosti si sono convertiti al
buddhismo, più vicino alle pratiche
dei kakure kirishitan di quanto invece
non lo siano ormai quelle della Chiesa
cattolica», spiega suor Rumiko.
Una volta arrivati a casa sua, Matsukawa
ci mostra gli oggetti appartenuti
ai genitori: diverse medaglie
con immagini sacre, dei rosari e una
statuetta femminile venerata come la
Vergine. Tutto risale all’epoca in cui
i primi missionari fecero ritorno nel
Paese, appunto 150 anni fa. Oltre agli
oggetti ci sono alcuni quaderni di preghiere
risalenti allo stesso periodo: «A
partire dall’era Meiji i cristiani iniziarono
a scrivere le preghiere per paura
di dimenticarle. Ci sono l’Ave Maria,
il Salve Regina, l’Angelus, le preghiere
del mattino e della sera», spiega ancora
l’anziano. Una delle cose più interessanti
è, però, uno schema per la
sepoltura dei cadaveri: «Non potendo
fare un funerale cristiano alla luce del
sole, di solito veniva chiamato il bonzo
per celebrare il funerale buddhista;
poi, di notte, il morto veniva dissotterrato
e risepolto nuovamente dopo
il funerale cristiano». Una pratica,
quella dei funerali misti, durata fino a
pochi anni fa: nel piccolo cimitero vicino
al Karematsu Shrine, ci sono tombe
buddhiste con delle croci cristiane,
segno che i defunti erano dei kakure
kirishitan.
Oltre ai cimeli di famiglia, Matsukawa
conserva anche dei quaderni che
gli sono stati affidati da altre persone
della zona. Negli ultimi anni, il numero delle famiglie che discende dai
kakure kirishitan è molto diminuito
in tutto il Giappone: «Qui a Sotomè
sono rimaste 34-35 famiglie», spiega,
«e quasi tutte si sono convertite al
buddhismo». Quando gli viene posta
la domanda di cosa ne sarà un giorno
di questi oggetti, lui sorride: «C’è un
antiquario di Kyoto che mi ha offerto
una bella cifra per tutte queste cose»,
dice. «Ma non credo proprio che le
venderò. Piuttosto, mi piacerebbe
poterle donare a un museo, affinché
anche le giovani generazioni possano
conoscere la storia dei kakure kirishitan».