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mercoledì 26 marzo 2025
 
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Il Giappone degli ultimi cristiani nascosti

01/12/2016  Li chiamano kakure kirishitan: dal 1600 fino alla metà del 1800, per sfuggire alle persecuzioni hanno vissuto la fede in clandestinità. Dando vita, di fatto, a una comunità rimasta isolata, ancora oggi, dal resto della Chiesa cattolica

«Mi dice cosa c’è scritto su questa pergamena? Sono anni che vorrei saperlo, ma non ho nessuno a cui chiederlo». Il signor Kinjiro Matsukawa mi mostra una stampa antica. In realtà non c’è scritto nient’altro che «La natività di nostro Signore Gesù Cristo» in francese, inglese e spagnolo. La stampa è antica, probabilmente del diciannovesimo secolo. «Apparteneva ai miei genitori, che a loro volta l’avevano ricevuta dai loro genitori», spiega.

La storia di Matsukawa, un anziano pensionato di Sotomè, paesino a venti minuti da Nagasaki, arriva da molto lontano. Una storia che parla di persecuzioni e di una fede praticata in silenzio, lontano dagli occhi di tutti, per oltre due secoli. I suoi genitori erano cristiani nascosti, dei kakure kirishitan, come li chiamano in Giappone. Sono quei cattolici che per oltre due secoli, dall’inizio del 1600 alla metà del 1800, hanno vissuto la loro fede in incognito, tramandandola di padre in figlio, rischiando la morte giorno dopo giorno.

Il Giappone dello Shogunato: dalle missioni di Francesco Saverio alle persecuzioni dei cristiani

Per capire la storia dei cristiani nascosti bisogna tornare al 1549, quando san Francesco Saverio arrivò come missionario nel Sol Levante e iniziò a fare i primi proseliti. Poco dopo i Gesuiti, arrivarono in Giappone anche alcuni francescani e domenicani, in particolare spagnoli e portoghesi, e a convertirsi maggiormente fu tutta la regione intorno a Nagasaki, che ancora oggi registra il maggior numero di cattolici nel Paese (circa 70 mila fedeli). In breve tempo, oltre ai poveri, iniziarono a chiedere il battesimo anche persone delle classi più agiate, come Sumitada Omura, che fu il primo daimyo (l’equivalente cioè di un nostro feudatario) a diventare cristiano. Ma a partire dal 1614, con l’avvento dello shogun (dittatore militare) Toyotomi Hideyoshi, il cristianesimo fu bandito dal Paese. Ebbero allora inizio le prime persecuzioni, che divennero man mano più violente e crudeli. Non furono risparmiate donne, bambini e sacerdoti, e le modalità di tortura non ebbero nulla da invidiare a quelle utilizzate dagli antichi Romani.

Nel 1637 ci fu una grande rivolta nella città di Shimabara, a sud di Nagasaki; i motivi che scatenarono la ribellione dei cittadini contro il daimyo locale furono prettamente economici e sociali, ma l’autorità ne approfittò per accusare i cristiani (che erano la maggioranza dei rivoltosi semplicemente perché il cristianesimo in quella zona era arrivato a toccare il 70 per cento della popolazione) e perseguitarli ulteriormente. Dopo il martirio dell’ultimo prete presente nel Paese, nel 1644, i kakure kirishitan vissero così la loro fede nel più assoluto riserbo fingendo, a seconda dell’occasione, di essere buddhisti o scintoisti. Con la riapertura delle frontiere agli stranieri, a partire dal 1859, poterono però rientrare anche i sacerdoti e fu così che, nel 1865, padre Bernard Petitjean, un missionario francese, venne a conoscenza di un sopravvissuto focolare cristiano.

Kakure kirishitan, la storia invisibile dei cristiani nascosti

  

Non tutti i fedeli però, una volta finito il proibizionismo, decisero di rientrare nella Chiesa cattolica ufficiale: molti hanno continuato a vivere come se fossero ancora in incognito, con riti a metà tra buddhismo e cattolicesimo.

La particolarità dei kakure kirishitan è, infatti, proprio questa: durante gli oltre due secoli di proibizionismo, le loro pratiche si sono modificate, assorbendone alcune dalle altre religioni. Certi aspetti sono rimasti immutati, come il culto alla Vergine Maria, venerata attraverso la statua della divinità femminile buddhista Kannon, e le preghiere, che seppur simili nel ritmo e nella cadenza a quelle buddhiste, nel contenuto sono rimaste cristiane, in un latino storpiato dalla fonetica giapponese. Molte cose, invece, sono andate perdute, tra cui l’Eucaristia, mai praticata per via dell’assenza di sacerdoti.
I cattolici ufficiali e i kakure kirishitan hanno quindi continuato a vivere in due dimensioni parallele per 150 anni: «Nel 2010 alcuni cattolici e criptocristiani (un altro dei nomi con cui sono indicati i kakure kirishitan) si sono riuniti nel bosco di Sotomè per pregare insieme per la pace, ognuno a modo suo. È stato un primo passo per riavvicinarci», spiega suor Rumiko Kataoka, rettore della Junshin Catholic University di Nagasaki, studiosa del cristianesimo in Giappone e del fenomeno dei kakure kirishitan.

Proprio a Sotomè per oltre due secoli ha vissuto una delle più grandi comunità di cristiani nascosti, di cui Matsukawa è uno degli ultimi superstiti. Oggi questo anziano signore dedica il suo tempo libero a raccontare le storie dei suoi avi a chiunque abbia voglia di ascoltarlo. Lui stesso da bambino è stato battezzato con il nome di Domegos (una storpiatura del nome Domenico derivante dallo spagnolo o dal portoghese) e ha imparato le preghiere cristiane. «Sono andato via da qui dopo la scuola media e sono stato lontano tanti anni per lavoro, senza pensare alle mie radici. Poi, dieci anni fa, quando sono andato in pensione e ho deciso di ristrutturare la casa dei miei genitori, ho trovato dei documenti e degli oggetti nascosti nello stipite di una porta. Da allora, ho dedicato la mia vita alla diffusione della storia dei cristiani nascosti».

L’incontro con suor Rumiko e con altri cattolici interessati al dialogo con i kakure kirishitan (tra cui anche l’arcivescovo Joseph Takami, a sua volta figlio di cristiani nascosti) ha fatto sì che si potesse fare una vera e propria ricerca storica sull’esistenza di questa comunità nei dintorni di Nagasaki.
Nonostante la loro costante e massiccia presenza nella zona, i cristiani nascosti hanno lasciato poche tracce, perché durante il periodo della persecuzione il potere locale distruggeva tutto ciò che trovava, comprese le tombe. Per nasconderle alla vista delle spie, i criptocristiani hanno iniziato a non scrivere più nulla sui sepolcri, e a seppellire i loro cari sotto una semplice pietra orizzontale.

Camminando nel bosco intorno Sotomè, Matsukawa mostra una serie di pietruzze sparpagliate su una tomba: «Con pietre come queste si poteva comporre una croce per pregare, e subito dopo la si disfaceva per non essere scoperti».
I riti celebrati dalla comunità dei kakure kirishitan all’interno del bosco si ridussero con il tempo alla sola Quaresima, festeggiata sotto una spoglia lastra di pietra, senza nessun simbolo che potesse tradire la loro presenza alle spie del Governo. Solo nel diciannovesimo secolo fu costruito un piccolo tempio scintoista, il Karematsu Shrine, in cui i criptocristiani, fingendo di essere scintoisti, andavano a pregare l’anima di san John (non l’evangelista, ma un missionario straniero venerato come santo), e del suo discepolo martire, il catechista giapponese Bastian, il quale nello stesso luogo, nel diciottesimo secolo, celebrava la Messa nascondendo gli oggetti sacri sotto una pietra.

Le pratiche dei cristiani nascosti a Sotomè sono continuate con regolarità fino al 1935 circa, poi sono andate scemando perché i giovani hanno iniziato a seguire sempre di meno la religione. Lo stesso Matsukawa ammette di essere ritornato alla fede cristiana più per rispetto alla memoria dei genitori, in particolare per il padre morto durante la Seconda guerra mondiale, che per un moto spontaneo del cuore, secondo il forte sentimento, tutto giapponese, della conservazione della memoria degli avi: «Molti figli di cristiani nascosti si sono convertiti al buddhismo, più vicino alle pratiche dei kakure kirishitan di quanto invece non lo siano ormai quelle della Chiesa cattolica», spiega suor Rumiko.

Una volta arrivati a casa sua, Matsukawa ci mostra gli oggetti appartenuti ai genitori: diverse medaglie con immagini sacre, dei rosari e una statuetta femminile venerata come la Vergine. Tutto risale all’epoca in cui i primi missionari fecero ritorno nel Paese, appunto 150 anni fa. Oltre agli oggetti ci sono alcuni quaderni di preghiere risalenti allo stesso periodo: «A partire dall’era Meiji i cristiani iniziarono a scrivere le preghiere per paura di dimenticarle. Ci sono l’Ave Maria, il Salve Regina, l’Angelus, le preghiere del mattino e della sera», spiega ancora l’anziano. Una delle cose più interessanti è, però, uno schema per la sepoltura dei cadaveri: «Non potendo fare un funerale cristiano alla luce del sole, di solito veniva chiamato il bonzo per celebrare il funerale buddhista; poi, di notte, il morto veniva dissotterrato e risepolto nuovamente dopo il funerale cristiano». Una pratica, quella dei funerali misti, durata fino a pochi anni fa: nel piccolo cimitero vicino al Karematsu Shrine, ci sono tombe buddhiste con delle croci cristiane, segno che i defunti erano dei kakure kirishitan.

Oltre ai cimeli di famiglia, Matsukawa conserva anche dei quaderni che gli sono stati affidati da altre persone della zona. Negli ultimi anni, il numero delle famiglie che discende dai kakure kirishitan è molto diminuito in tutto il Giappone: «Qui a Sotomè sono rimaste 34-35 famiglie», spiega, «e quasi tutte si sono convertite al buddhismo». Quando gli viene posta la domanda di cosa ne sarà un giorno di questi oggetti, lui sorride: «C’è un antiquario di Kyoto che mi ha offerto una bella cifra per tutte queste cose», dice. «Ma non credo proprio che le venderò. Piuttosto, mi piacerebbe poterle donare a un museo, affinché anche le giovani generazioni possano conoscere la storia dei kakure kirishitan».

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