Il 96° Giro d’Italia dei ciclisti parte da Napoli e arriva Brescia, dal 4 maggio al 26, per 3448 km. in 21 tappe e due giorni di riposo (il 13 e il 20). Il percorso è sulla carta - anche nel senso di altimetrie che già stampate fanno impressione - durissimo: il che vuol dire che probabilmente sarà affrontato con paure, tattiche, calcoli, risparmi, riguardi e senza ricerca dell’epopea a tutti i costi. Ci saranno cinque tappe con arrivo in salita, compresa una delle due a cronometro individuale. Attesa specialmente per l’ascesa il 18 allo Jafferau, sopra Bardonecchia, e il 19 al mitico Galibier, in Francia, dal versante più duro, nonché per le due giornate dolomitiche, il 24 e 25 (vigilia della conclusione) con tanto di Gavia, Stelvio, Giau, Lavaredo…
C’è un favoritone, è l’inglese Bradley Wiggins, 33 anni, vincitore lo scorso anno del Tour de France ma, parole sue, innamorato sin da bambino della corsa rosa: e forse in omaggio a lui, al suo sì pronto, l’anglofilia del nuovo ciclismo si è ancora più accentuata anche in casa nostra, così che adesso la più parte dei comunicati del Giro sono redatti nella lingua di Shakespeare. L’italiano più forte è Vincenzo Nibali, il siciliano che a 29 anni è ormai maturo per una vittoria grande in patria, lui che pure nel 2010 ha vinto la Vuelta (la prova a tappe spagnola è ormai prediletta per preparare la gara iridata, quest’anno sulle strade intorno a Firenze, mentre il Giro rischia di essere usato per preparare il Tour).
Nibali fra l’altro è abbastanza solo come nostro valore sicuro, da classifica. C’è al via un duetto di italiani reduci dal doping, che li ha appiedati, cioè De Luca e Scarponi, tutti e due ex vincitori del Giro, tutti e due capaci di pagare la colpa con dignità, ma il primo ha 37 anni ed ha patito un grave incidente, il secondo (34) ha vinto il Giro 2011 per la squalifica di Contador spagnolo, e amen. Il ventiduenne Moreno Moser, che con tanto cognome sembra obbligato a vincere, ha scelto il Tour de France, come il suo compagno di squadra Peter Sagan, grande clown slovacco che sa anche vincere e che parla un perfetto italiano. Quasi tutti gli spagnoli forti hanno scelto il Tour de France. Per fortuna è al via del Giro il vincitore dello scorso anno, il canadese Ryder Hesjedal, 33 annni, che fu premiato dagli abbuoni a scapito proprio di Wiggins.
Il tema generale del ciclismo 2013 è quello di assecondare la propria espansione in ormai tutto il mondo reagendo al caso Armstrong, addirittura usandolo come prova di una ricerca di quella pulizia chimica che non tutti gli sport perseguono, anzi. Il tema del ciclismo italiano spartisce il tema generale, ma di suo ha pure il problema di un calcio che da noi prende ormai tutta la scena, soffocando lo sport tutto ma specialmente quello del pedale, che pure sino a poco tempo fa lo concorrenziava, e sbattendo Bartali e Coppi nel “dominio” dell’archeologia. Sui nostri giornali il ciclismo è ormai autenticamente massacrato di indifferenza, così che quasi stridente appare la ancora buona attenzione che gli dà la televisione.
Snobbare il patrimonio diciamo pure poetico e culturale del ciclismo è errore grave, e nessuno lo commette così acremente bene come l’Italia. Dove la moda del modernismo, fiorente a spese della cultura generale scadente, tende a far passare per patetici sacerdoti di riti consunti i tifosi, sempre tantissimi, che vanno sulle strade di montagna a veder passare i corridori. Con il rischio che vedano vincere sulle grandi montagne i colombiani, arrampicatori per l’impresa di un giorno, su tutti Sergio Henao. Intanto che in pianura per le volatone (sette tappe da velocisti) si prenota, si straprenota l’inglese Mark Cavendish.
In parole poverissime, si deve dire che il nostro ciclismo ha bisogno di una vittoria, e che però a parte Nibali non si intuisce neppure chi dei nostri possa firmare la corsa. Fra l’altro abbiamo poche squadre italiane, con sponsor tutt’altro che ricchi, e infatti Nibali corre per l’Astana, fortissima squadra kazaka. I partenti saranno 207, per 3 squadre di corridori l’una. Wiggins corre per la Sky, cioè ha uno squadrone al suo servizio, e comunque teme più l’australiano Cadel Evans (35) e il canadese Hesjedal che i figli anzi i nipotini-ini di Bartali e Coppi, di Gimondi e di Pantani.
Gian Paolo Ormezzano
Un anno fa, il Tour de France. Adesso, un Giro d’Italia da vivere nei panni di favorito. Sir Bradley Wiggins e la Corsa Rosa, una storia lunga 10 anni, dalla prima volta a oggi. Una storia senza sussulti, peraltro. Ma che promette di vivere un capitolo importante, nell’edizione che parte sabato, da Napoli. Tanti successi, in pista e su strada, da dilettante e da professionista, per il 33enne campione britannico. E un altro trionfo da inseguire, pedalando lungo la Penisola. Magari provando poi a fare il bis al Tour, per centrare una doppietta da fuoriclasse. Un passo alla volta, comunque. E’ tempo di Giro, da provare a vincere.
- Wiggins e il Giro d’Italia, una lunga storia da coronare finalmente col successo?
"Sono qui per vincere, naturalmente. Quella del Giro è un’esperienza personale importante, che va coronata nel modo migliore".
- Una lunga esperienza cominciata male, peraltro...
"Se penso alla mia prima volta qui, direi proprio di sì. Dieci anni fa finii fuori tempo massimo in una dura tappa di montagna e fui costretto al ritiro. Ma è pur vero che erano altri tempi e proprio da quell’esperienza difficile riuscii a trarre insegnamenti decisivi".
- In che senso?
"Venivo dal ciclismo su pista, avevo bisogno di trovare il giusto approccio alla strada. Quella delusione mi fece capire che c’era bisogno di grossi sacrifici e mi spinse a cercare nuovi metodi d’allenamento, per inseguire un futuro importante nelle grandi corse a tappe".
- Al Giro, comunque, finora ha raccolto poche soddisfazioni.
"Giusto nel 2010 la vittoria nel prologo di Amsterdam con relativa maglia rosa. Ma conto di rifarmi presto".
- Di tutto il lavoro svolto, il Tour dello scorso anno ha rappresentato il degno coronamento?
"Un grande successo in una corsa di assoluto prestigio. Ma, si sa, le vittorie non bastano mai. E ora spero di vincere il Giro, cosa che 10 anni fa sembrava impensabile".
- Che Giro sarà?
"Il percorso è duro, con molta salita, dove dovrò difendermi dagli scalatori".
- Lei dove potrà fare il vuoto?
"Sono un cronoman, quindi è naturale che debba fare il massimo per guadagnare tempo sui rivali nella lunga cronometro di Saltara e magari anche nella cronoscalata che mi sembra si possa affrontare a buoni ritmi costanti. E in salita ci sarà da faticare duro per guadagnare tempo e difendersi dagli specialisti".
- Parliamo di rivali: quali i più temibili?
"Senza dubbio, Nibali: lo conosco molto bene, al Tour è stato avversario irriducibile, senza dimenticare il suo eccellente Giro del Trentino, il nostro ultimo confronto, quando ha vinto alla grande".
- Lui punta tutto sul Giro: può essere un vantaggio per il siciliano?
"E’ logico che sia questo il suo grande obiettivo, anche perché è la corsa a lui più adatta. E poi è italiano, normale che ci tenga al Giro come a nessuna altra corsa. E’ il miglior italiano, s’è allenato per il Giro e non andrà al Tour. Sarà il mio grande rivale, da rispettare ma non temere".
- E gli outsider?
"Soliti nomi, ottimi rivali: dopo Nibali, vedo bene Hesjedal e Scarponi".
- I suoi obiettivi stagionali?
"Vincere il mio primo Giro e puntare al bis al Tour, un’accoppiata riuscita a pochi autentici fuoriclasse".
- Sembra che il suo compagno di squadra Froome non sia d’accordo: è vero che vuol essere lui il capitano al Tour?
"Pensiamo al Giro, il resto si vedrà".
Ivo Romano