Sta facendo discutere il caso di una violenza patita a Bari da una dottoressa durante il servizio di guardia medica. Il Tribunale del riesame ha scarcerato la persona accusata e dichiarato l’impossibilità a iniziare un processo, perché la denuncia è arrivata tre mesi dopo il termine previsto. Il caso sta facendo sì che da più parti si chieda di “allungare” da sei mesi a un anno questo termine. Abbiamo chiesto lumi per capire meglio a Fabio Roia, giudice, presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano, che da molti anni si occupa tra le altre cose di stalking e di violenza sessuale e ha appena scritto per Franco Angeli Crimini contro le donne, politiche, leggi e buone pratiche.
Dottor Roia condivide l’idea di allungare il termine per la querela per violenza sessuale da 6 mesi a un anno, come molti chiedono?
«No, la legge sulla violenza sessuale fatta nel 1996 dopo un lungo dibattito è un’ottima legge. Già in quella il termine per la querela era stato spostato da tre a sei mesi proprio per dare tempo alla donna di metabolizzare e valutare se querelare o meno. Mi sembra che vada bene così. Del resto spostando il termine la questione si riproporrebbe per chi dovesse querelare dopo un anno e un giorno, ma non possiamo spostare all’infinito. Il problema semmai è dare supporto alla donna nel momento in cui deve valutare se ritenga adatto al suo caso lo strumento penale: una decisione sempre molto personale. Nel caso di Bari cui accennava, la Procura ha fatto ricorso in Cassazione contro l’improcedibilità e potrebbe ottenere ragione, perché in quel caso si sta procedendo anche per stalking. Siccome quando ci sono reati connessi, quello procedibile d’ufficio, come lo stalking, “attrae” l’altro procedibile a querela, il problema della tempestività della querela viene meno. Ed è sufficiente che lo stalking contenga una minaccia grave per procedere d’ufficio».
Spesso le persone che subiscono violenza sono incerte sul da farsi, non sanno come fare. C’è una possibilità di consultarsi riservatamente prima di decide se querelare?
«Consiglierei sempre di rivolgersi alle operatrici dei centri antiviolenza (numero d’emergenza 1522 ndr.) per una consulenza, cosa che fa solo il 5% delle vittime: le operatrici sanno dare consulenza dal punto di vista legale e sono preparate a sostenere anche dal punto di vista psicologico donne che spesso hanno sensi immotivati di colpa e di vergogna. È importante ricordare che chi lavora nei centri antiviolenza è vincolato al segreto e non ha obbligo di denuncia, una garanzia in più per le donne»
Molte donne rinunciano a querelare o a denunciare lo stalking, pensando che tanto non succede nulla…
«Se non succede nulla, noi operatori del diritto dobbiamo fare autocritica: deve succedere qualcosa».
Nel libro lei pone il problema della valutazione del rischio: facile col senno di poi dire che un gip o il tribunale del riesame hanno sottovalutato, ma la boccia di cristallo non c’è. La prevenzione è difficile per un problema di cultura o di strumenti?
«Tutte e due le cose. Il giudice specializzato, possibile solo nei grandi tribunali metropolitani, ha forse qualche strumento più affinato per valutare il rischio, che poi in concreto significa scegliere la misura cautelare da applicare al caso. Ma in genere il giudice che deve valutare la pericolosità di un imputato applica i criteri che valgono per i reati comuni: lo stato di tossicodipendenza, l’assenza di una fonte di reddito lecita, la recidiva dicono che è possibile che questa persona ricaschi nel furto, nella rapina, nello scippo. Nell’ambito dei reati di violenza di genere (stalking, maltrattamenti, violenza sessuale), però, i soggetti che li commettono, hanno caratteristiche e comportamenti un po’ diversi: non hanno la consapevolezza del disvalore di quello che hanno fatto, raramente hanno precedenti penali, sovente appartengono a ceti sociali medio-alti. Il rischio è che si applichino misure inadeguate perché per i normali parametri non risultano pericolosi».
Che cosa chiederebbe se potesse al legislatore per ovviare a questo problema?
«Io penso che sarebbe necessario modificare una norma del Codice di procedura penale per consentire solo in questi casi al giudice di avvalersi di saperi complementari di tipo criminologico».
In parole povere una “valutazione della personalità” che oggi il Codice vieta. Per problemi di garanzie non sarà facile farlo accettare…
«Vero, ma così come siamo dobbiamo sapere che rischiamo per questi reati di fare valutazioni di pericolosità approssimative: ci sono casi di donne che sono state aggredite con lesioni permanenti o uccise in seguito a misure cautelari che si sono rivelate insufficienti a posteriori».
La riforma del 2015 che ha ristretto il campo della custodia cautelare ha complicato il lavoro in questo senso?
«Non nel caso dei reati di cui parliamo, per cui si possono sempre applicare misure anche molto restrittive. Il problema come dicevo può essere di valutazione del rischio: dobbiamo fare diventare il senno di poi senno di prima».
Che cosa può fare una vittima di stalking se si accorge che una misura intermedia come il divieto di avvicinamento non è rispettata?
«Avvertire subito il Pubblico ministero tramite l’avvocato, perché il Pm possa chiedere l’aggravamento della misura. Meglio sarebbe, anche se mi rendo conto che non è semplice, se riuscisse anche a provare la violazione: indicando un testimone che possa confermarlo o avendo la prontezza di scattare una foto con il cellulare. Ma in ogni caso deve chiamare subito le forse di Polizia».
Come vede la scelta del Parlamento di impedire che si possa “riparare” lo stalking con un risarcimento in denaro: era una correzione necessaria?
«Sì, lo era. Credo che si sia trattato di una svista del legislatore l’avere inserito inizialmente lo stalking tra i reati, procedibili a querela, che si possono riparare con un risarcimento in denaro: una atto di giustizia riparativa che invece normalmente si applica ad altri tipi di reato, dove è preminente un interesse economico. Mentre nello stalking l’interesse è quello dell’integrità psico-fisica della vittima che non può essere quantificato e svilito».