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giovedì 03 ottobre 2024
 
 

Il Governo è più rosa ma il Paese molto meno

30/12/2014  Otto ministre nel Governo Renzi sono un primato di presenze femminili, ma la vita delle mamme non è diventata più semplice

Qualcuno lo scorso mese di febbraio quando si formò il Governo Renzi si spinse a presagire per il 2014 un anno “più rosa”. Per la prima volta il 50 per cento dei nuovi ministri, ben otto, erano donne. Per giunta giovani, aggiunse qualcuno, per giunta belle. Ma belle non stile velina come alcune nel passato erano state ritenute, ma belle e – pensa che strano! – pure intelligenti e capaci.
Dell’esecutivo più giovane e più rosa nella storia della Repubblica faceva parte Federica Mogherini, 40 anni, fino a ottobre responsabile degli Affari esteri (la terza donna a ricoprire questo ruolo dopo Susanna Agnelli ed Emma Bonino) che ora è arrivata addirittura a diventare alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza.
Marianna Madia, classe 1980, entrata in Parlamento appena 28enne, sta guidando il ministero della Semplificazione e della Pubblica amministrazione e nel frattempo, il 7 aprile, ha dato alla luce anche il suo secondo figlio.
Beatrice Lorenzin
, 43 anni, ha visto riconfermare il suo ruolo di ministro della Salute, che già aveva nel precedente Governo Letta, mentre Stefania Giannini, 53 anni, linguista e glottologa che vanta una carriera universitaria con incarichi internazionali, è la responsabile di Istruzione, università e ricerca. Sua coetanea è Roberta Pinotti, mamma di due figlie, che era già stata sottosegretario di Stato al ministero della Difesa nel Governo Letta e ora è il primo ministro della Difesa donna dell’Italia repubblicana.

La più “anziana” a soli 57 anni è la ministra per gli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, che è stata sindaco di Monasterace, in Calabria, dove aveva subito diverse intimidazioni da parte della ’ndrangheta. C’è poi Federica Guidi, 45 anni, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria dal 2008 al 2011, ministro per lo Sviluppo economico.
Ma la più fotografata in questi mesi, anche con un’insistenza e persino un voyeurismo deprecabile, è stata Maria Elena Boschi, ministra per le Riforme e per i rapporti col Parlamento, che Famiglia Cristiana ha intervistato e messo in copertina nel n. 38 del 21 settembre. «Vogliamo salvare il Paese partendo dalle famiglie numerose», ci ha detto tra l’altro, raccontando programmi e progetti che però tardano e comunque non hanno certo cambiato per ora la vita delle donne comuni, quelle che il ministro non lo faranno mai, ma forse nemmeno altro, come le impiegate, le insegnanti o le “semplici” mamme, in questo Paese che, avrà pur indossato un esteriore vestito più rosa, ma non ha certo cambiato l’anima.

Perché conciliare la famiglia e il lavoro in Italia è ancora molto difficile e sono sempre più numerose le donne che lo abbandonano dopo la nascita del figlio se, addirittura, non vengono spinte ad andarsene, come continua ad accadere, anche solamente quando ne aspettano uno.
Alcune – ahimè – si fermano ancora prima rinunciando al progetto di un figlio o anche a far famiglia, spaventate da quella che in Italia continua a rimanere un’impresa molto privata e di scarso interesse sociale, nonostante i fiumi di parole dette e scritte a favore della famiglia.
La verità è che il fisco continua a penalizzare le famiglie con carichi familiari e che nessun intervento o misura, anche i famosi “80 euro in busta paga” non fanno differenza per chi cresce dei figli.
Tutto continua a essere regolato secondo gli individui piuttosto che le caratteristiche delle famiglie, dal numero dei figli ai diversi problemi di cura, e la percentuale del Pil dedicata alle politiche familiari rimane al 1,4 per cento, quando la media europea è del 2,2 per cento e le nostre vicine Germania e Francia vantano un 3,4 e 3,8 per cento.

Si è tanto parlato del provvedimento che permette di dare il cognome della madre ai figli come di una conquista decisiva per le donne, mentre così come è stato pensato in Italia, a differenza che in altri Paesi, rischia di sgretolare il riferimento alla genealogia, visto che non garantisce la continuità del cognome paterno e a 18 anni il figlio può scegliere quello di uno o dell’altro genitore. Ben altri sarebbero gli interventi che potrebbero aiutare le donne e soprattutto le mamme a tenere insieme tutti i compiti quotidiani, dal lavoro alla cura dei figli e dei genitori anziani, che spesso si accavallano e si intrecciano. Ma le urgenze continuano a parere altre, più di nicchia, di élite, da salotti, che fanno più moda e più notizia.

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