«Non vi lasceremo soli». Poche,
semplicissime parole, sufficienti a raccontare una storia di impegno
e fratellanza. Monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino,
scrive una lettera alle famiglie e alle comunità della diocesi che
si sono rese disponibili ad accogliere i migranti fuggiti dalla
guerra o da condizioni di vita disumane. E' una lettera di
ringraziamento, commossa e carica di gratitudine. «Con la vostra
disponibilità voi state testimoniando a tutti che cosa significa
vivere l'Amore più grande, il dono di Dio che ci fa tutti fratelli».
Qualche settimana fa (era il 29 agosto) l'arcivescovo aveva lanciato
un appello chiedendo ai cristiani, ma anche al mondo laico, una
mobilitazione straordinaria per far fronte all'emergenza e integrare
i già numerosi servizi di accoglienza presenti in città.
Quell'appello ha innescato un'ondata di solidarietà che ha stupito
tutti e che è andata oltre ogni aspettativa.
In tantissimi si sono fatti avanti
(famiglie, parrocchie, enti e congregazioni religiose, associazioni,
gruppi di lavoratori): chi proponendo di aprire casa sua ai migranti,
chi mettendo a disposizione alloggi, competenze o contributi
economici. In diocesi si stanno tuttora raccogliendo le disponibilità
e i numeri si aggiornano di giorno in giorno: al momento hanno
aderito oltre 100 famiglie e una settantina di parrocchie (ma molte
di più sono quelle che si stanno organizzando, anche a livello di
unità pastorale, per dar seguito all'appello). Si stima che ci siano
risorse potenziali per un'accoglienza di oltre 400 profughi.
«Ho ricevuto tante lettere ed e-mail»
racconta l'arcivescovo «e sono rimasto commosso, perché ho pensato
subito a quanto è vero che “Dio ama chi dona con gioia”, come ci
ricorda San Paolo. Questo accogliere chi ha bisogno è una “proposta
educativa” molto concreta che va contro corrente rispetto a una
cultura che ”insegna” ai giovani solo a soddisfare i propri
desideri, e a credere che al mondo ci siamo solo noi e “i nostri”».
La lettera è molto concreta: quel «non
vi lasceremo soli», che le dà il titolo, non si riduce certo a una
vicinanza formale, ma presuppone un programma preciso. Attorno a chi
accoglie, assicura monsignor Nosiglia, sarà costruita una “rete di
prossimità”: «Vi saremo accanto, per affrontare insieme le
necessità o risolvere ogni eventuale difficoltà».
Nel corso degli
anni Torino ha già sperimentato numerosi percorsi di accoglienza dei
migranti (sia all'interno di realtà come il Sermig, il Cottolengo o
il Gruppo Abele, sia in famiglia, ad esempio attraverso il progetto
“Asilo diffuso” del Comune): ora queste esperienze diventano
centrali per aiutare famiglie e parrocchie coinvolte. «L'accoglienza
non si improvvisa – ha ricordato pochi giorni fa, durante una
conferenza stampa, Pierluigi Dovis, direttore della Caritas Diocesana
– E' necessario prendersi del tempo per riflettere e progettare.
Anche perché in questo caso i tempi saranno lunghi: non si tratta di
offrire ospitalità per qualche settimana, ma per sei mesi, forse un
anno. Chi accoglie deve poter contare su punti di riferimento certi:
ci stiamo attrezzando per raggiungere anche le realtà più lontane,
sparse per la Provincia». All'Ufficio per la Pastorale dei Migranti,
insieme con Caritas, Prefettura e altre realtà, spetta il compito di
affiancare le disponibilità alle esigenze: un lavoro delicato, che,
appunto, richiederà alcune settimane. I primi inserimenti nelle
famiglie potrebbero partire a fine ottobre.