Si sente spesso affermare, nei media di massa, che il green pass è un “oggetto vivo” e che lo smartphone è il suo tramite privilegiato, ovvero il suo profeta. Al contrario il cartaceo, in quanto statico non lo rappresenterebbe. Ecco in poche righe la rivoluzione culturale che stiamo vivendo! È come quando, arrivando alla carta stampata, avevamo varcato un limite: quello degli amanuensi. Ora ne varchiamo un altro, e non solo per via del Covid, ma perché abbiamo bisogno di strumenti dinamici che siano in grado di veicolare un plesso culturale complesso e non statico e fisso.
Impariamo ogni giorno, e ne siamo consapevoli, che cristallizzare il pensiero in un supporto cartaceo non è lo stesso che immetterlo nel dinamismo mediatico. E poiché “il medium è il messaggio”, ciascuno si dovrà interrogare necessariamente su come continuare a pensare e comunicare il pensiero. Certo in entrambe le modalità, ma dovrà essere consapevole, come il sottoscritto, che, se pubblico un libro, cristallizzo una riflessione più di quanto non faccia se mi situo sui social a digitare pensieri. Il problema sta nella possibilità e fatica esigita da un pensiero dinamico. Indubbiamente non dobbiamo rincorrere le mode, ma anche essere capaci di pensare e scrivere senza l’ansia di chi considera, una volta scritto, determinato e configurato sistematicamente il proprio pensiero.
Viene alla luce il tema della presenza dell’intellettuale nella società e nella chiesa. Nel secondo ambito si tratta del teologo, per il quale “pensiero dinamico” dovrebbe significare “pensiero rivelativo”, dove la realtà che cambia e si modifica interpella la fatica del concetto e la mette con le spalle al muro. Ci dobbiamo arrendere: il futuro sta nella dinamicità del medium che è anche il messaggio. È come nella fede perché in Gesù di Nazareth si verifica e realizza propria questa coincidenza fra medium e messaggio: il mediatore è anche il tema della mediazione. Più dinamico di così non si può!
Mi sembra difficile, se non impossibile, veicolare tale dinamicità in ambito ecclesiale (e qui non abbiamo troppo da recriminare), ma soprattutto in ambito culturale diffuso, se si vuole, “laico”. Perché in ultima analisi o ci si converte alla dinamica credente e di ricerca della verità o si resta nel proprio cortile ideologico. Temo che la seconda possibilità risulti vincente e ne prendo le distanze.