Nel nuovo Governo Renzi c’è una
cosa di cui Gianni Bottalico, presidente
delle Acli, va giustamente
orgoglioso: la presenza di due ex
presidenti dell’associazione (Andrea
Olivero, viceministro dell’Agricoltura
e Luigi Bobba, sottosegretario al Lavoro
e welfare). «È la conferma che le Acli
sono una palestra di vita politica, una
scuola di autonomia, libertà e responsabilità
».
- La priorità della politica economica
secondo le Acli è ovviamente il lavoro?
«Io parlerei di povertà. La situazione
è drammatica. La possibilità di ritrovare
il lavoro per molti lavoratori disoccupati
non esiste, almeno a breve termine. Anche
aumentando il Pil non restituiamo il
posto di lavoro per tutti. C’è una situazione
sociale di difficoltà. È per questo
che occorrono politiche di welfare, ma
anche una serie di sussidi e di servizi».
- In questa direzione dovrebbe andare
la proposta di un reddito minimo
garantito per tutti, compresi i percettori
di contratti precari e a tempo determinato.
«Il reddito minimo garantito è un elemento
temporaneo, ma essenziale, un atteggiamento
positivo di un Governo che
vuole tentare di tenere insieme questo
Paese. Stiamo parlando di una situazione
di emergenza».
- Non c’è il rischio che nelle realtà in
cui il lavoro è in nero, specie al Sud, inneschi
fenomeni di assistenzialismo?
«Il rischio del parassitismo c’è ed è
per questo che occorrono controlli, vincoli
e rigore nel predisporre queste misure.
Ma il sussidio è una delle risposte necessarie
di fronte all’impoverimento di
milioni di famiglie. È un aiuto che va affiancato
con una serie di opportunità».
- Quali opportunità?
«Non solo sostegno economico, ma
una rete di servizi, come le iniziative di
formazione, ricerca e innovazione. Quello
che occorre in Italia è un’Agenzia nazionale
per il lavoro, che sia l’unica sede
di governo dei processi del mercato del
lavoro. Lo Stato deve intervenire in modo
più incisivo. Non può lasciare tutto alle
Regioni».
- Le piace il Piano sul lavoro di Renzi,
il cosiddetto “Jobs Act”?
«Per quanto riguarda il “Jobs Act” siamo
ancora alle enunciazioni, alla paginetta
uscita qualche settimana fa. Siamo
in attesa di capire in termini di declinazione
dei veri provvedimenti. Noi, come
ho detto all’inizio, abbiamo posto un altro
problema: dobbiamo considerare il
problema della disoccupazione e del lavoro
in un contesto più vasto, che è quello
della povertà.
- Che ne pensa della proposta di taglio
del cuneo fiscale, ovvero della differenza
tra il costo del lavoro e di quel
che va in tasca al dipendente?
«Favorevolissimi. Defiscalizzazione
del lavoro significa aziende più competitive
e soprattutto la possibilità che il lavoratore
si possa trovare in busta paga
qualche soldo in più».
- Si parla di 50 euro netti. Non cambiano
la vita...
«Non cambiano la vita, ma sono pur
sempre qualcosa che peraltro contribuisce
ad alimentare il circolo virtuoso consumi-
produzione-occupazione. Il problema
è trovare le risorse per avviare una simile
riforma».
- Secondo lei si possono trovare?
«Si possono reperire non solo dai tagli
alle spese della pubblica amministrazione,
la cosiddetta spending review, ma
anche con un maggior gettito fiscale generato
dall’aumento della domanda interna.
Mi sembra positiva l’intenzione di
coinvolgere le grandi organizzazioni del
Terzo settore. Le intenzioni sono buone.
Ora i fatti».