Un viaggio vicino al sacro, in una santità che passa attraverso i piccoli i gesti: è la vita di Lazzaro, il protagonista del nuovo film di Alice Rohrwacher presentato a Cannes, un ragazzo di campagna la cui unica colpa è essere buono. Non alza mai la voce, cerca di aiutare tutti, e il vero miracolo è che nessuno riesce ad auguragli il male. Alcune volte si perde a fissare il vuoto, magari pensando a com’è il mondo fuori dalla sua campagna, dove il tempo si è fermato ed esiste ancora la mezzadria.
Sembra di rivedere L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, e il realismo magico dei fratelli Taviani in Padre padrone.
Ma qui non siamo in provincia di Bergamo o nella Sardegna profonda: gli scenari bucolici di Lazzaro felice potrebbero essere ovunque, sospesi tra cuore e anima. Poi arriva la città, una Torino fredda e povera, sempre grigia, dove l’avarizia degli uomini ha distrutto ogni sentimento. Non c’è più spazio per i poveri, che vengono cacciati dalle chiese anche quando fuori si gela. Ad avvolgerli è solo la musica dell’organo, che li segue anche per strada in una delle sequenze più potenti del film.
Alice Rohrwacher riprende l’analisi spirituale iniziata in Corpo celeste, un’indagine antropologica che si interrogava anche sulla religione. Il protagonista si allontanava dalla società moderna per avvicinarsi a qualcosa di più alto, attraverso una fede mai imposta e sempre vissuta con tutto se stesso. Qui il giovane Lazzaro potrebbe essere un angelo venuto dal cielo e, come nella Bibbia, muore per poi rinascere. Il suo è un eterno ritorno, per non abbandonare mai chi è in difficoltà. Passano gli anni, ma lui resta sempre uguale, perché non è una creatura di questa Terra.
Lazzaro è il vero incanto del film, figlio dei paesaggi de Le meraviglie e dell’incapacità di comunicare che affligge le persone comuni. Lazzaro è la soluzione all’aridità contemporanea, alla fretta di calpestare l’altro per raggiungere una meta qualunque. L’ingenuità lo rende vulnerabile anche alla cattiveria dei suoi simili, agli sfoghi dei disperati che si sentono condannati per sempre.
Lazzaro felice ha raccolto scroscianti applausi alla presentazione nell’Auditorium Lumière al Festival di Cannes, perché la sua forza vive nello sguardo sincero della sua regista. Rohrwacher fa un cinema di altri tempi, ancora legato alla terra, ai valori della famiglia e del lavoro. Chi ha un animo nobile viene sfruttato da uomini senza scrupoli, nell’universo non esiste armonia, ma solo disuguaglianza. È una vicenda che si sviluppa per contrasti: l’ignoranza dei contadini contro la furbizia di chi ha il potere, la povertà contro la ricchezza e la malvagità che in ogni momento rischia di vincere. Ma nonostante tutto Lazzaro è felice, perché porta la speranza a chi non ne ha, e illumina i disperati anche quando l’oscurità sembra l’unica via.