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venerdì 25 aprile 2025
 
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Il “made in Italy che spara” nel 2015 ha fatto affari

10/04/2016  Abbiamo esportato l’anno scorso un miliardo e 25 milioni di euro di armamenti. Ancora una volta, senza guardare se i Paesi destinatari erano in conflitto. Le vendite sono andate anche a Egitto e India, Paesi con i quali ci sono i casi aperti di Gulio Regeni e dei due marò. Il Rapporto viene dall’Opal di Brescia. Che denuncia anche la scarsa trasparenza con cui viene applicata la legge 185, che regola l’export delle armi italiane.

Il “made in Italy che spara” continua a essere molto richiesto. Prosperano coloro di cui Papa Francesco ha detto: «Fabbricano la morte, sono mercanti di morte e fanno mercanzia di morte». Nel 2015 abbiamo venduto all’estero un miliardo e 25 milioni tra fucili, pistole e proiettili dedicati agli eserciti e alle forze di polizia, e “armi comuni”, quelle acquistate dai privati. E ben un terzo vengono vendute a regimi repressivi e a Paesi in zone di conflitto.

È la denuncia contenuta nel “Breve rapporto sulle esportazioni di armi e munizioni dall’Italia e dalla provincia di Brescia”, redatto dall’Osservatorio Opal utilizzando dati Istat ed Eurostat.

Due i segnali positivi: il leggero calo (-3,6%) delle esportazioni rispetto al 2014, che arriva al -13,9% nella provincia di Brescia (produttrice di un quarto dell’export nazionale), e il forte decremento della vendita in Medio Oriente. Anche qui, tuttavia, si continua a sparare made in Italy: con il già venduto negli anni scorsi – la Siria è stata la destinataria della più importante commessa di armi italiane di tutti gli anni ‘90, consegnate fino al 2009 – e con ciò che anche oggi decolla verso la regione in fiamme.

Con l’Arabia Saudita, ad esempio, abbiamo fatto affari per 37 milioni di euro, di cui più della metà per ordigni usati per bombardare lo Yemen, in un conflitto stigmatizzato dall’Onu, che ha fatto 7 mila morti per la metà civili, oltre 20 mila feriti e milioni di sfollati. Si tratta di bombe prodotte dalla Rwm Italia, azienda del gruppo tedesco Rheinmetall con sede legale a Ghedi (BS) e stabilimento a Domusnovas in Sardegna.



Esportazioni di armi e munizioni (militari e comuni) dall'Italia nel 2015 

Giorgio Beretta di Opal.
Giorgio Beretta di Opal.

Nei giorni delle lacrime e del coraggio della madre di Giulio Regeni, però, il dato più doloroso arriva dall’Egitto. Accusa Giorgio Beretta, l’analista di Opal che ha redatto il rapporto: «Nonostante la decisione del Consiglio dell’Unione europea di sospendere le licenze di esportazione in Egitto “di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna”, il Governo Renzi, dopo aver autorizzato nel 2014 l’invio di più di 30 mila pistole prodotte nella provincia di Brescia, nel 2015 ha venduto 3.661 fucili, in gran parte esportati da un’azienda della provincia di Urbino». L’Italia risulta l’unico Paese Ue ad aver fornito nel biennio 2014-15 sia “pistole e revolver” che “fucili e carabine” alle forze di polizia del regime di Al Sisi.

Nel 2015 l’Egitto e i vicini hanno continuato la virata repressiva degli ultimi anni, aumentando gli acquisti di armi in Italia. Il totale dell’area nordafricana è di 52 milioni di euro, cifra record dell’ultimo ventennio.

Ma Arabia ed Egitto non sono gli unici Paesi autoritari che comprano made in Italy: l’anno scorso il Turkmenistan ha ricevuto armi e munizioni per 87 milioni di euro, nonostante nella graduatoria del Democracy Index 2013 figuri tra i maggiori “regimi autoritari” del mondo: nella “scala della democrazia” è 161° su 165 posti. In calo sono invece due mercati storici delle nostre esportazioni armate: Singapore (comunque 31 milioni anche lo scorso anno) e la Turchia (oltre 35 milioni, la quasi la totalità di tipo militare).



Le principali province italiane che hanno esportato armamento

L’Opal sottolinea anche le forniture a Emirati Arabi Uniti (41 milioni), Algeria (41) e India (24). Sì, vendiamo armi all’India con cui abbiamo aperto il contezioso sui due fucilieri Girone e Latorre…

Beretta sottolinea un altro primato italiano: «Nel 2015», dice l’analista, «l’Italia si conferma il principale esportatore Ue di armi comuni, cioè di tipo non militare: con quasi 307 milioni di euro precediamo la Germania (151 milioni) e la Croazia (63). Si tratta di armi prevalentemente per la difesa personale, per le discipline sportive e la caccia, ma nella categoria sono comprese anche quelle utilizzate dai corpi di polizia e dalle forze di sicurezza pubbliche e private». Al riguardo vanno segnalate le consistenti forniture, principalmente dalle province di Brescia e di Urbino, di armi destinate a Messico, Libano, Marocco e Oman: sono Paesi in cui la forza pubblica è stata spesso denunciata dalle organizzazioni internazionali per reiterate violazioni dei diritti umani.

Infine l’Opal denuncia la sempre minore trasparenza attorno alle esportazioni italiane. Spiega Beretta: «Ventisei anni dopo l’approvazione dell’ottima legge 185, che vieta la vendita ai Paesi in guerra o che violino i diritti umani, è necessario un tagliando. Il problema non è la legge, ma la sua applicazione. All’epoca di Andreotti, ad esempio, c’era maggior rigore nella comunicazione dei dati».




Esportazioni italiane: i principali Paesi destinatari del 2015

Al Governo Renzi le associazioni pacifiste rimproverano il ritardo nell’invio al Parlamento della relazione annuale sulle autorizzazioni all’export armato: lo prevede la legge 185. Inoltre, quelle degli ultimi anni risultavano poco chiare.

Scarsa trasparenza vuol dire un maggior rischio che finiscano nelle mani sbagliate. Beretta ricorda un episodio emblematico: «Quando accogliemmo con sfarzo Gheddafi a Roma, vennero ceduti a Tripoli 11 mila pistole e fucili per sancire l’alleanza. Come ha mostrato la Bbc, con la caduta del dittatore a seguito dell’intervento occidentale, terroristi e ribelli saccheggiarono tutto. Al mercato nero di Bengasi era facile trovare pezzi made in Italy. Ecco, chi oggi in Libia ci spaventa si è armato anche così».

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