La legge sull’omicidio stradale suscita il plauso delle associazioni delle vittime della strada comprensibilmente e anche dell’opinione pubblica. Qualche perplessità arriva invece dagli addetti ai lavori, giuristi, magistrati, persone che devono applicare le leggi che si scrivono in Parlamento e che, per necessità professionale, vedono aspetti che sfuggono ai più.
Abbiamo chiesto, in proposito, lumi a Fausto Cardella, procuratore a L’Aquila, da poco nominato procuratore generale a Perugia.
Dal 3 marzo è legge, come fattispecie autonoma, l’omicidio stradale, ce n’era bisogno?
«Da addetto ai lavori direi che non ce n’era bisogno perché l’omicidio stradale come omicidio colposo aggravato nel codice c’era già e l’esperienza mi insegna che la giustizia per funzionare meglio avrebbe bisogno più che di accumulo di semplificazione. Da cittadino ho l’impressione che sia una di quelle norme che si scrivono sull’onda dell’emotività, immaginando l’incidente stradale commesso dall’uomo ubriaco o drogato che va a sbattere contro il bar e fa una strage: davanti a questo si risponde all’opinione pubblica inasprendo le pene. Però dobbiamo sempre tenere presente due cose: che si tratta sempre di reati colposi, cioè non voluti dal soggetto, e che, facendo i debiti scongiuri, in un reato colposo può incappare anche il padre di famiglia».
Si è detto che questa norma si fa perché di fronte a quella che c'è già i giudici applicano pene irrisorie, è una critica fondata?
«Un po’ di colpa l’ha anche la magistratura: noi siamo sempre tarati sul minimo, ma in qualche caso la valutazione della gravità del fatto dovrebbe incidere di più ai fini della determinazione della pena. Questo accade per ragioni che sarebbe complicato ricorstruire qui, ma è una delle concause che ha spinto il legislatore intervenire».
Nella nuova legge c’è un punto che mette sullo stesso piano la cosiddetta ebbrezza media e la commissione di alcuni tipi di infrazione molto dettagliati: è ragionevole che uno che provoca lesioni passando con il rosso sia sanzionato più severamente di uno che provoca le stesse lesioni mancando uno stop?
«Osservazioni esatte, l’impressione è che questa norma sia scritta con l’intento di limitare al massimo la discrezionalità al ribasso da parte del giudice, questo però fa sì che sempre più spesso le norme, che dovrebbero essere generali e astratte, vengono scritte con casistiche molto dettagliate che poi finiscono per determinare contraddizioni logiche, come quella di cui parliamo».
Nella norma c’è un automatismo che porta alla revoca della patente per cinque anni in caso di lesioni guaribili in più di 40 giorni, anche se non si sono assunti alcol e sostanze. Non è troppo, magari per un padre di famiglia che ha un lavoro che dipende anche della patente che dopo cinque anni dovrà rifare?
«Ho delle perplessità, ma mi rendo conto che c’è una tale diseducazione, un tale disordine di comportamenti nel traffico, che non me la sento di dissentire totalmente dal desiderio di indurre tutte le persone a una maggiore assunzione di responsabilità alla guida. Mentre sul carcere sono molto perplesso, se non nei casi più gravi e per un tempo che deve essere ragionevole perché non possiamo non distinguere tra un omicidio doloso e uno colposo, sul piano delle sanzioni alternative dobbiamo prendere atto del fatto che forse cinque anni possono essere tanti, ma che c’è una volontà del legislatore di maggiore severità. E’ nel suo potere».
Una delle critiche riguarda il rischio che molta severità incentivi la fuga: che scatti il calcolo della convenienza pensando: “Intanto devono prendermi”?
«Volendo questo calcolo si poteva fare già con la legge in vigore fin qui, ma a parte qualche delinquente, la persona che si trova per disgrazia a commettere un incidente stradale anche gravemente colposo non sta a calcolare mi conviene non mi conviene, generalmente si ferma. E se nel panico scappa direi che è logico che la fuga vada sanzionata più gravemente. La probabilità di prendere in flagranza uno che guidi ubriaco e drogato è minima, ma quando succede pare ragionevole che ci sia severità, se non altro per generare un effetto deterrente. Semmai il problema è un altro: l’inasprimento delle pene può dare un indirizzo di severità maggiore, ma non rende da solo le strade più sicure, se manca un’azione di prevenzione e se il controllo è insufficiente».