La chiamano Morbo di Gehrig, dal nome del giocatore di baseball che morì di questo male nel 1939, o anche malattia di Charcot, dal nome dello scienziato francese che la individuò. E' la Sla, Sclerosi laterale amiotrofica. Nomi diversi che definiscono una malattia neurodegenerativa terribile, impietosa, per la quale, allo stadio attuale della ricerca, non esiste soluzione. La Sla atrofizza i muscoli, li paralizza, risparmiando il cervello. Pian piano porta alla paralisi del corpo, fino alla morte, che in genere arriva per blocco delle respirazione o superinfezione bronchiale.
Il "morbo del pallone": lo ha chiamato così Massimiliano Castellani, giornalista di Avvenire, sei anni fa, nel titolo del suo libro-inchiesta (edito da Selene) che indagava nel mistero delle numerose morti per Sla fra i calciatori. I numeri, infatti, sono inequivocabili: nel mondo del calcio i malati di Sla sono sei ogni centomila abitanti, ovvero 6,5 volte superiore rispetto al tasso di incidenza universale (0,5-0,7% ogni centomila persone). Sul rapporto fra calcio e Morbo di Gehrig indaga un'inchiesta decennale della Procura di Torino, con il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, che ha censito oltre cinquanta casi fra i calciatori.
La Sla ha portato via nel 2002 Gianluca Signorini, all'età di 42 anni; nel 2013 per questo male si è spento Stefano Borgonovo. Dopo la sua morte, in questi ultimi due anni pare che sul problema sia sceso un velo di silenzio e di oblio: di Sla si è smesso di parlare. Eppure, il morbo non si è attenuato, continua purtroppo a colpire, a mietere vittime, anche fra i calciatori. Castellani, che da quindici anni viaggia nel pianeta del calcio italiano per raccontarne storie, volti, vicende umane, ha continuato a scandagliare il fenomeno, fino a pubblicare una seconda edizione del suo libro-inchiesta: Sla. Il male oscuro del pallone (edito da Goalbook).
Il libro fa il punto della situazione italiana attuale, con storie (fra le quali una extra-calcistica, quella del cestista Francesco Canali che da anni lotta contro il morbo) e interviste, fra cui quella al dottor Nicola Vanacore, neuroepidemiologo del Centro nazionale di Epidemiologia e sorveglianza della salute dell'Istituto superiore di sanità di Roma, autore di uno dei due studi su calcio e Sla commissionati dal procuratore Guariniello.
Castellani, dopo la morte di Stefano Borgonovo sulla Sla è sceso il silenzio. Perché?
Insieme a Gianluca Signorini, Stefano Borgonovo è stato il giocatore malato di Sla con il curriculum più importante. Ha militato nella Fiorentina, nel Milan, nell'Udinese. Nella Fiorentina era legato alla figura di Roberto Baggio, i cosiddetti "B2". Inoltre ha creato una Onlus, la Fondazione Stefano Borgonovo - che, grazie alla moglie Chantal, continua le sue attività per finanziare la ricerca sulla malattia -, è stato un testimone importante della lotta contro questo male. Calciatori come Baggio, Van Basten, Beckham quando potevano lasciavano gli allenamenti nelle rispettive squadre e andavano a trovarlo a casa sua. La sua storia è stata più mediatica. Ma dopo la sua morte, la piaga non è certo finita. Quando arriva la malattia, per uno-due anni da parte dei giocatori malati c'è una sorta di chiusura, un'incapacità di accettazione di un male così devastante. I primi due anni sono i più difficili. E per gli atleti è ancora più dura, quasi una vergogna. Bisogna inoltre dire che i giocatori di serie minori - la maggior parte di quelli colpiti da Sla - hanno purtoppo meno visibilità rispetto a quelli di serie A. Bisogna però ricordare anche i sopravvissuti, i malati che, nel silenzio, resistono anche dopo vent'anni, perché la malattia si manifesta in forme molto diverse, imprevedibili. L'età in cui si viene colpiti si è abbassata, prima era sui 39-40 anni, adesso si è scesi a 33-35.
Uno studio medico commissionato dalla Figc ha escluso possibili relazioni tra attività calcistica e Sla. Il procuratore Guariniello ha definito il pianeta calcio "il più omertoso che abbia mai trovato". Il tuo libro parla del morbo di Gehrig, ma è in fondo anche un atto di accusa nei confronti del mondo del pallone.
Il calcio vive in televisione, deve dare di sé l'immagine di un prodotto perfetto. La malattia dà fastidio, rompe questa immagine. E' vero che in questi anni il mondo calcistico ha messo soldi per finanziare la ricerca, ma è troppo poco e manca una volontà di collaborazione seria. L'unica persona molto attenta a questa tematica è Damiano Tommasi, presidente dell'Associazione italiana calciatori. Ma con tutti i problemi che il pallone ha - dal calcioscommesse alla violenza negli stadi - il mondo calcistico non vuole aggiungere anche quello della malattia.
Eppure, alla luce dei dati, è necessario farsi delle domande sul legame, seppur indiretto, fra attività calcistica e Sla.
Nello sviluppo di questo male non si può escludere l'abuso di farmaci e di antinfiammatori, i traumi ripetuti alla testa e alla gambe, subìti a velocità fortissime e ai quali seguono tempi di recupero estremamente rapidi, eccessi di fatica. Poi, bisogna considerare i cosiddetti fattori ambientali, l'uso di pesticidi e di diserbanti sui campi d'erba. Del resto, il morbo di Charcot in passato era conosciuto come la malattia dei contadini. Colpiva anche i giocatori di baseball, di football americano, di golf, ovvero gli sport giocati sull'erba. Bisogna ricordare il caso dei cinque calciatori del Como - fra i quali Borgonovo - colpiti da Sla: sembra che sotto il campo siano stato ritrovati reperti radioattivi.
Cosa dicono e pensano gli altri calciatori, quelli non colpiti da Sla?
Da parte degli altri calciatori c'è paura. Ma quelli che accettano di parlare, di esporsi sono gli ex: la preoccupazione, il timore arrivano alla fine della carriera. Finché sono in attività non si pongono il problema, come se la malattia non esistesse.
(foto Ansa: il Cruyff Court a Como intitolato nel 2014 a Stefano Borgonovo. Il campo di erba sintetica è stato realizzato dalla Johan Cruyff Foundation e dalla Fondazione Stefano Borgonovo)