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martedì 20 maggio 2025
 
A due anni dalla morte
 

Il massaggiatore Carmando: "Vi racconto il mio amico Diego Armando"

25/11/2022  Salvatore Carmando è stato il massaggiatore di fiducia, l’amico, il confidente di Diego Armando Maradona. A due anni dalla morte ricorda dal suo personale punto di vista il campione del mondo, simbolo eterno del calcio a Napoli

«Era una delle persone più belle che abbia conosciuto. Era la Natura, la semplicità. La bontà». Salvatore stringe gli occhi umidi di emozione, vetri appannati di un’anima che ha dedicato la vita al calcio. Salernitano di nascita e nel cuore, napoletano d’adozione, Salvatore non è un uomo qualunque. Se fosse una figurina di un album calciatori il nome scritto in grassetto apparirebbe così: Carmando Salvatore, classe 1943, il re dei massaggiatori. È la memoria storica del calcio, anzi del “pallone”, quello giocato e vissuto con l’odore acre dell’erba appena tagliata. Più di ogni altra cosa, Salvatore Carmando è stato il massaggiatore di fiducia, l’amico, il confidente di Diego Armando Maradona. A due anni dalla morte del campione del mondo e simbolo eterno del calcio a Napoli - a lui è intitolato lo stadio - il ricordo del ‘pibe de oro’ riaffiora presente nelle parole di Carmando. «Non voglio parlare di cose private, avevamo un rapporto fraterno. E ci sono ricordi così intimi che preferisco custodire per me. Mi piace pensare che siano per sempre solo miei e di Diego». Carmando non si riferisce al centravanti argentino chiamandolo per cognome. Quasi come se per lui Maradona fosse l’atleta e Diego l’uomo, l’amico. «Era molto devoto, pregava tanto. Anche quando eravamo in ritiro aveva sempre con sé la statuina di Nostra Signora di Lujàn, la Madonna patrona dell’Argentina - racconta Carmando - e poi era molto legato a San Gennaro».

Chi ricorda gli anni di Maradona a Napoli non può non avere un’immagine impressa nella mente. È quella di un ragazzo riccioluto, coi calzerotti abbassati alle caviglie, che prima di salire i 15 gradini che dagli spogliatoi portano al campo di gioco napoletano, compie due gesti. Il primo e segnarsi con la croce il petto, il secondo è lanciare un bacio all’immagine sacra di San Gennaro affissa lungo le pareti dello stadio. «In realtà c’è anche un terzo gesto: mi afferrava per il collo e mi baciava la testa». Sorride Carmando, mentre ricorda l’affetto di Diego Armando Maradona. «Non aveva dimenticato le sue umili origini e spesso aveva nello sguardo la purezza tipica dei bambini. Probabilmente perché si sentiva ancora tale o forse perché per sua sfortuna bambino non lo era mai stato fino in fondo».

I ricordi di Salvatore Carmando si rincorrono come treni sui binari, con voce ferma e docile, lo storico massaggiatore e fisioterapista sottolinea un’altra ‘devozione’ del campione argentino. «Amava fare beneficenza, ma attenzione: mai fatta per cercare notorietà o riflettori. Fosse stato per lui, ogni azione di solidarietà o di aiuto al prossimo l’avrebbe fatta di nascosto. Ma in quegli anni per Diego era impossibile scampare al fiuto di fotografi e giornalisti. Ricordo che una volta rimase molto colpito dalla storia di un bambino di Acerra, un paese dell’hinterland napoletano. Aveva bisogno di un’operazione chirurgica alla faccia e la famiglia non aveva soldi. Diego subito disse ai suoi compagni: dobbiamo organizzare qualcosa, dobbiamo dare i soldi a questa famiglia. E così nacque l’idea della ormai leggendaria partita di Acerra». Un evento leggendario sì, perché Diego Armando Maradona riuscì a coinvolgere l’intera squadra in una partita di beneficenza che si giocò su un terreno disastroso. «Il presidente Ferlaino era perplesso, temeva per l’incolumità fisica dei giocatori, ma Diego si assunse la responsabilità. La partita fu un successo, l’incasso intero fu devoluto alla famiglia e quel bambino ottenne l’operazione che gli cambiò la vita”. Di tanto in tanto Carmando si concede una pausa. L’impressione superficiale potrebbe lasciar pensare al tentativo di ricordare meglio un dettaglio, una parola. La realtà è che il cuore batte forte quando parla di Diego. Così come accadeva al ‘corazon’ del popolo napoletano. «Lui amava Napoli, mi diceva sempre ‘Salvatore che bello vivere qui’ perché questa città, questa gente gli regalava amore. Era fatto così Diego, viveva per l’amore. Per dare e ricevere amore».

Le mani d’oro di Salvatore Carmando hanno accompagnato Maradona anche oltre oceano. «Si diceva che guadagnassi tanto con Diego, invece lui voleva darmi regali e soldi che non ho accettato. Con Diego diventammo amici praticamente subito, nel ritiro estivo di Castel Del Piano. Mi osservò per un po' di tempo mentre lavoravo, in silenzio. Poi Maradona mi scelse: sarai tu il mio unico massaggiatore. Non si faceva toccare da altri e per stendersi sul lettino dei massaggi aspettava che tutti i compagni fossero andati via dallo spogliatoio. Restavamo lì, da soli. Per ore. Nacque così un rapporto personale, oltre che professionale». Nell’estate del 1986 Carmando vola in Messico. Si giocano i campionati del Mondo di calcio, passati alla storia proprio per le performance atletiche di Maradona. «Diego mi volle con lui anche ai Mondiali in Messico, non me l'aspettavo. Feci un viaggio in aereo lunghissimo e con tre scali, per raggiungere Diego al seguito della sua nazionale. Ma il regalo me lo fece lui».

Un regalo speciale: la Coppa del Mondo e il gol più bello della storia del calcio, la cavalcata contro l’Inghilterra che consacrò il ragazzino di Rosario come ‘il figlio del vento’. Sorseggia il caffè, Carmando, mentre di tanto in tanto con lo sguardo punta verso lo stadio ‘Vestuto’ di Salerno. «Sono nato proprio qui, da casa vedevo il campo da gioco. La mia è una famiglia di massaggiatori e fisioterapisti». Una vita dedicata al calcio. E ai sorrisi. «Ricordo che durante la festa del primo scudetto del Napoli, nel 1987, Massimo Troisi disse a Maradona: questo te lo porto via, altro che massaggiatore. Viene con me a fare il comico». Di ricordi ne ha tanti, Carmando. E anche di sogni. «L’ho sognato due volte, in una eravamo in Messico. In un’altra mi diceva semplicemente: te l’ho detto e l’ho fatto. Alludeva al gol impossibile di punizione contro la Juventus, quello che spiazzò Stefano Tacconi». Il vuoto di un’amicizia che non c’è più può scavare dentro, e la sofferenza di aver perso prima di tutto un amico e poi un compagno di avventure calcistiche logora Salvatore Carmando, che si congeda con un sorriso e una speranza. «Sono certo, un giorno lo rivedrò lassù. E sarà con tutti i campioni a giocare, a far sorridere. E ancora una volta mi bacerà la testa».

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