Elio Cirimbelli e Felice Espro donano una copia del libro (a destra la copertina) a papa Francesco durante l'udienza del 13 settembre scorso a San Pietro
«L’accoglienza è uno dei modi più efficaci per rimettere le persone nel flusso dell’amore e quindi della vita» si legge nello studio di Elio Cirimbelli, mediatore familiare e ideatore dell’ASDI, Centro di Mediazione Familiare per Divorziati e Separati di Bolzano, realtà pionieristica che da oltre 40 anni riunisce professionisti e volontari per prestare aiuto e prendersi cura di tutti coloro che vivono l’esperienza traumatica della separazione. Insieme al giornalista Felice Espro, Cirimbelli ha voluto raccogliere le esperienze di una vita non sotto forma di saggio, ma di un romanzo accattivante e suggestivo attraverso un espediente che cattura il lettore e lo fa scivolare dentro il mondo tortuoso e complesso delle relazioni familiari. Ne è nato il libro Il mediatore. Vita di un pioniere nella gestione dei conflitti familiari (pp. 188, Gander Books).
Data la sua esperienza, cosa ne pensa del recente spot dell’Esselunga che ha scatenato un intenso dibattito?
«Sono polemiche sterili e inutili. Come mediatore familiare ma anche come conduttore di gruppi di divorziati, ho avuto la possibilità di ascoltare anche molti bimbi, che ci dicono sempre “noi vogliamo sentirci amati da loro, anche se vivono in case diverse”. Per l'ultimo incontro in cui partecipano anche i genitori, prepariamo i bimbi a raccontare e scrivere una lunga lettera per loro. Emerge che una buona parte di questi bimbi laddove non c’è violenza o casi particolarmente drammatici, vorrebbero che i genitori tornassero insieme. In situazioni molto serie che abbiamo vissuto come associazione, in cui i bambini crescendo manifestano un forte disagio, iniziano spesso a fare anche uso di sostanze e lasciano la scuola, molti di loro si colpevolizzavano per non essere riusciti a tener vicini i loro genitori. Esiste la carta dei diritti dei figli dei genitori divorziati, dal 2018, che si rifà alla carta dell’Onu. Sono dieci punti: nel primo si dice che i bambini non vanno coinvolti nella separazione. Noi dobbiamo cercare di aiutare le persone, parlare dei doveri. Viviamo in una società individualista dove si pensa soltanto ai diritti. Il dovere di un genitore separato è prendersi cura dei bambini coinvolti».
In cosa consiste nello specifico il lavoro di mediatore familiare?
«Gli inizi sono stati pionieristici: da una sola persona siamo passati ad avere più coppie. È importante perché li si aiuta a capire che ogni relazione di questo mondo è a rischio, tra fratello e sorella, tra genitori, tra fidanzati. In ogni relazione che volge a termine ognuno ha fatto la sua parte. Non c’è uno che vince e un altro che perde. All’ASDI va il merito di essersi occupati della sofferenza di un nucleo familiare che si disgrega. Purtroppo molto spesso viene sottovalutato il costo emotivo di una separazione: oltre il valore economico, dietro a una separazione ci sono sensi di colpa, momenti di sconforto, tanta sofferenza, indipendentemente da chi decide la rottura. Allora noi dobbiamo cercare di tutelare l’anello rimanente: i figli. Non si può considerarlo esclusivamente un fenomeno privato ma sociale. Io ho avuto l'occasione di lavorare con l’ex ministra per la Famiglia Elena Bonetti e mi ha detto di averle detto di aperto gli occhi. Grazie al nostro lavoro in Alto Adige, dal 2001, attraverso una delibera di giunta provinciale, è stato riconosciuto l’istituto di mediazione come servizio sociale».
Quanto ha inciso la sua fede in questo progetto?
«Quando un nucleo familiare si disgrega, da cattolico mi sono preoccupato e occupato della sofferenza che avevano i cattolici separati nel non poter più fare la comunione. Io e mia moglie avevamo scritto un libro in merito. Noi stessi soffrivamo di questa impossibilità di accedere alla comunione, di poter essere padrino o madrina, di leggere la Parola. Papa Wojtyla diceva che i cattolici non dovevano sentirsi esclusi. Chiedevo quindi alla Chiesa: "come possiamo essere corpo della Chiesa se non possiamo fare la maggior parte delle cose?". Un bel giorno papa Francesco ha parlato di misericordia, e io ho messo a frutto un anno di studi teologici: sono stato in Bielorussia per parlare con teologi ortodossi e ho scoperto che lì applicano la misericordia, dopo un cammino penitenziale. Quindi ho portato avanti questa tesi, finché nel 2013, nel primo anno di pontificato di Francesco, ho avuto l’opportunità di parlarci. Gli ho raccontato la nostra storia e gli ho raccontato il desiderio di voler essere parte della Chiesa. Tutto questo è stato possibile solo facendo tesoro di un’esperienza dolorosa personale. Non sempre si può rispondere a tutti, ma bisogna si porgere l’orecchio con umiltà. La prima forma di aiuto è l’ascolto».
Qual è la storia che maggiormente le è rimasta impressa?
«Torniamo a trent’anni fa. Una coppia stupenda, di cui la moglie si è scoperta omosessuale. La loro grande sofferenza era come dirlo ai figli. Lì ho faticato anche io a dare delle risposte. Questa storia mi ha particolarmente colpito, come anche il tema della malattia che divide e unisce. Nel libro ho raccontato il vissuto con mia moglie, quando ad esempio l’ho aiutata a tagliarsi i capelli. Quando la accompagnavo in oncologia, vedevo i visi tristi non tanto dei pazienti, quanto dei familiari. Avevo tentato di mettere su un gruppo d’aiuto e d’ascolto, ma in quel caso non ha funzionato. A noi la malattia ha unito, mentre in altre situazioni alcuni uomini non sanno gestirla e spesso fuggono».
Com'è nata l'idea di questo libro?
«Conosco Felice Espro da tanti anni. Anche lui è un divorziato mai risposato. Io avrei voluto scrivere un saggio, ma lui mi ha fatto notare che sarebbe stato pesante. Si parla molto di sofferenza, si rischia che la gente fatichi a star dietro a determinate tematiche e che io mi ponga come docente dietro la cattedra. Quindi abbiamo ideato questo espediente dello studente di Psicologia che viene a studiare da me e solo alla fine del libro si scoprirà che in realtà non esiste. È stato un ottimo modo per presentare e raccontare quest’esperienza».