La calda estate di monsignor
Nunzio Galantino, segretario
generale della Conferenza
episcopale italiana, è
finita un mattino a Rimini
nel temporale che rimbalzava
sui padiglioni del Meeting
di Comunione e liberazione.
Finito il caldo, intendiamo.
E cominciati i brividi di chi si aspettava
una qualche marcia indietro del
vescovo diventato improvvisamente
famoso (l’arrivo al Meeting è stato da
rockstar, con i ragazzi ciellini stretti
in cerchio intorno a lui per frenare
la carica di telecamere e registratori)
per le stoccate sui «piazzisti da quattro
soldi» e il «piccolo harem di cooptati
e di furbi». Galantino invece ha
fatto al Meeting il suo discorso forse
più pienamente “politico”, i ciellini
(basta, per favore, con la retorica dei
ragazzi: lì c’è tanta classe dirigente)
l’hanno applaudito con gusto e…
Per andare avanti, da qui, serve
il classico passo indietro. Tra gli osservatori
di questo XXXVI Meeting si respirava un’arietta di nostalgia quasi imbarazzante. Ah, quando veniva
Andreotti e faceva le battute. Eh, ai
tempi di Formigoni. Oh, una volta
c’era la corsa dei politici e adesso... In
realtà, l’osservatorio religioso e sociale
di Cl ha colto molto prima e meglio di
tanti altri la portata della duplice rivoluzione
di cui la Chiesa (unica istituzione
rivoluzionaria al mondo) è stata
protagonista, prima con le dimissioni
di Benedetto XVI, poi e di conseguenza
con l’avvento di papa Francesco. E
degli effetti che tutto questo avrebbe
avuto anche sulla società italiana.
Se uno esamina i programmi degli
ultimi Meeting, intesi come espressione
culturale pubblica del movimento
fondato da Giussani, nota lo
sforzo di analisi e avvicinamento al
nuovo compiuto in questi anni: l’emergenza uomo, le periferie dell’esistenza,
di nuovo l’interesse per la
persona quest’anno, con il tema della
“mancanza”, della fragilità dell’io, dei
«grandi squarci di vuoto che si aprono
nel tessuto quotidiano» di cui don
Giussani parlava giusto vent’anni fa.
Nessuna rinuncia all’identità del
movimento, quindi, e tantomeno
un’operazione simpatia. Anzi. Come
abbiamo già detto, Cl stava più “simpatica”
(certo impressionava di più)
quando si mescolava con disinvoltura
alla politica che non adesso che pare impegnata a studiare e lavorare.
E di certo non poteva dispiacerle
un Galantino venuto a dire che «da
come pensiamo la persona umana
e il modo in cui dovrebbe vivere, costruiamo...
un certo tipo di società e di
esistenza individuale». Un pensiero
antitetico alla “cultura dello scarto”
di cui ha parlato spesso papa Bergoglio,
cultura «che non risparmia niente
e nessuno: dalle creature, agli esseri
umani e perno a Dio stesso
È la politica, invece, ad averla presa
male. Va da sé che i signori del vapore,
potendo scegliere, a una Chiesa che
scuote le coscienze ne preferirebbero
una che tranquillizza gli animi. Per
usare concetti di papa Francesco riproposti
da Galantino a Rimini: meglio,
per loro, una Chiesa “dispensatrice
di servizi” che una Chiesa “ospedale
da campo”. Ottima, inne, una Chiesa
che non si permetta di contestare un
modello sociale che si denisce soprattutto
per ciò che scarta o vorrebbe
scartare: la vita nascente e quella morente,
i poveri, i migranti, la famiglia,
ogni sorta di non omologato rispetto alla società del desiderio individuale
tramutato in diritto.
Così, nella sua lunga estate calda,
monsignor Galantino è stato colui al
quale la politica ha sparato non potendo,
per convenienza, sparare al Papa.
Pare che da noi, dove Berlusconi ha
governato contro il “teatrino della
politica” e Renzi è diventato premier
offrendo agli elettori la “rottamazione”
di un’intera classe politica, gli
unici che non possono parlar chiaro
siano i vertici della Chiesa italiana.
Che tra scuole, oratori, ospedali e assistenze varie conoscono meglio di tutti
i punti deboli del Paese e tanto contribuiscono
a tenere in piedi la vacillante
baracca della società italiana.
Il Papa comunista, il partito del
Papa, i vescovi sindacalisti. In mancanza
di meglio: il Papa che non si occupa
dei cristiani perseguitati. L’isteria dei
politici, e dei loro dipendenti, si è
spinta fino a vertici di assoluta comicità.
Ma si può capirli. In clamorosa
crisi di rappresentatività (astensioni al
6% nel 1976, oltre il 25% e con tendenza
a peggiorare quarant’anni dopo), tutto
fanno tranne che spiegare alla gente
quale «idea di persona e di società da
raggiungere» (cfr. Galantino) abbiano
in mente, ammesso che una purchessia
in mente ce l’abbiano.
E non capiscono che, al contrario, è
tutto qui. Si arrabbiano, si attorcigliano
sul ruolo della Chiesa. Ma alla n
ne soprattutto si stupiscono del fatto
che qualcuno un’idea di uomo e di comunità
(di cittadino e di società) provi
comunque ad averla. Sia quello un
Papa venuto dalla ne del mondo o un
ragazzo di Cl con lo zaino in spalla.