Versi a confronto. Ecco i primi: «Sia lodato Colui che manifestò la Sua umanità / Come sacramento della sua divinità folgorante // E poi apparse nel Suo creato / nell'immagine di chi mangia e beve // In modo che il Suo creato lo potesse vedere / come se lo stesso guardando dritto negli occhi». Questi versi di un poeta mistico, di cui vi rivelerò l'identità fra poco, mi ricordano una strofa del celeberrimo canto natalizio, composto da sant'Alfonso Maria de' Liguori – Tu scendi dalle stelle – che recita: «Tu lasci il bel gioir del divin seno, / per giunger a penar su poco fieno. / Dolce amore del mio core, / dove amore Ti trasportò? / O Gesù mio, / perché tanto patir? Per amor mio!». I primi versi citati sembrano tradurre lo stupore dell'anima dinanzi al mistero dell'incarnazione. Ora, lo stupore nostro aumenta quando scopriamo che l'autore di tale testo non è il vescovo e dottore della Chiesa, sant'Agostino, né il monaco san Bernardo, fondatore e primo abate del monastero di Chiaravalle, e nemmeno il diacono e dottore della Chiesa, profondo pensatore e fine poeta, sant'Efrem il siro, ma Mansur Al-Hallaj, sufi musulmano, condannato a morte e crocifisso a Baghdad nel X secolo. Non è qui il caso di fare una conferenza sulla ricostruzione del senso di questi versi enigmatici, anche se la spiegazione più plausibile pare la contemplazione del mistero dell'incarnazione di Dio. Ed è qui che vorrei lasciare che la coscienza meravigliata e grata di qualcuno di “fuori” ci faccia contemplare con occhi nuovi il senso del Natale. Non è infondato, infatti, affermare che la coscienza mistica di Al-Hallaj abbia intuito, nei limiti del possibile, che, se Dio è amore, Egli non può che farsi uno con l'amato, ovvero con l'umanità. D'altronde, l'amore è una forza unitiva. Questa, non è solo un'affermazione teologico-filosofica di Dionigi l'Areopagita, lo pseudonimo usato da un anonimo teologo e filosofo siro vissuto tra il V e VI secolo; è una coscienza primordiale di ogni creatura che sperimenta un barlume della luce dell'Amore. Ed è ciò che noi cristiani contempliamo nel mistero del Natale. Il Natale è ben più del regalo incartato. È il memoriale del “Regalo incarnato”. Scartando i regali, che dicono i nostri reciproci pensieri e attenzioni, ricordiamoci con amore del “Dono”, di Dio che si dona a ognuno e tramite ognuno di noi. non è solo un'affermazione teologico-filosofica di Dionigi l'Areopagita, lo pseudonimo usato da un anonimo teologo e filosofo siro vissuto tra il V e VI secolo; è una coscienza primordiale di ogni creatura che sperimenta un barlume della luce dell'Amore. Ed è ciò che noi cristiani contempliamo nel mistero del Natale. Il Natale è ben più del regalo incartato. È il memoriale del “Regalo incarnato”. Scartando i regali, che dicono i nostri reciproci pensieri e attenzioni, ricordiamoci con amore del “Dono”, di Dio che si dona a ognuno e tramite ognuno di noi. non è solo un'affermazione teologico-filosofica di Dionigi l'Areopagita, lo pseudonimo usato da un anonimo teologo e filosofo siro vissuto tra il V e VI secolo; è una coscienza primordiale di ogni creatura che sperimenta un barlume della luce dell'Amore. Ed è ciò che noi cristiani contempliamo nel mistero del Natale. Il Natale è ben più del regalo incartato. È il memoriale del “Regalo incarnato”. Scartando i regali, che dicono i nostri reciproci pensieri e attenzioni, ricordiamoci con amore del “Dono”, di Dio che si dona a ognuno e tramite ognuno di noi. Ed è ciò che noi cristiani contempliamo nel mistero del Natale. Il Natale è ben più del regalo incartato. È il memoriale del “Regalo incarnato”. Scartando i regali, che dicono i nostri reciproci pensieri e attenzioni, ricordiamoci con amore del “Dono”, di Dio che si dona a ognuno e tramite ognuno di noi. Ed è ciò che noi cristiani contempliamo nel mistero del Natale. Il Natale è ben più del regalo incartato. È il memoriale del “Regalo incarnato”. Scartando i regali, che dicono i nostri reciproci pensieri e attenzioni, ricordiamoci con amore del “Dono”, di Dio che si dona a ognuno e tramite ognuno di noi.