«Perché, ma perché? Nella vita si vede di tutto, ma c’è un tutto che non capirò. Come questo amore malato, che chiamare amore non si può». Alex Britti finisce di cantare Perché?, la canzone che apre il suo nuovo album, nell’atrio della Stazione Centrale di Milano, la città dove tutto è cominciato. «Mi trovavo qui vicino, quando ho sentito delle urla», ci racconta poco dopo.
«Mi sono messo a correre e ho visto un uomo picchiare selvaggiamente una donna. Quando lui si è accorto di me è fuggito. La donna era conciata davvero male. Le ho chiesto se voleva essere accompagnata in ospedale, ma non ha voluto. Ha solo accettato di chiamare un amico. Dopo un po’ è arrivato e si è limitato a dire: “È stato suo marito, ma non c’è da preoccuparsi. Fanno sempre così, ma dopo fanno pace”. Di colpo, mi sono sentito inerme. Ho capito che non avrei potuto fare nulla, che quella donna sarebbe tornata a casa, pronta a essere picchiata di nuovo». Le statistiche dicono che l’80 per cento delle donne vittime di violenze non denuncia i propri aguzzini. «La cosa che mi ha colpito di più», aggiunge il cantautore, «è la paura che ho visto negli occhi di quella donna. Non riusciva a vedere una soluzione al dramma che stava vivendo».
Perché? fa parte di In nome dell’amore vol. 1, un album che completa la progressiva trasformazione di Britti da cantante di tormentoni estivi come La vasca ad autore maturo, oltre a confermarlo come uno dei migliori chitarristi in circolazione, non solo in Italia. Sarà felice don Franco, il sacerdote che per primo lo avvicinò al suo strumento. «Un giorno vidi all’oratorio dove andavo per giocare a pallone un foglio, su cui era scritto che il sabato successivo sarebbe iniziato un corso di chitarra. Mi presentai e alla prima lezione don Franco ci insegnò un accordo, il La maggiore, e ci diede un libro per imparare gli altri. Io tornai a casa e il sabato successivo li sapevo suonare tutti. Dopo un anno ero con lui a insegnare chitarra agli altri ragazzini».
Alla chitarra Britti ha dedicato anche l’ultimo pezzo dell’album, Tra il Tevere e il blues, interamente strumentale. «Da ragazzo abitavo a Trastevere e la sera, quando non mi esibivo in qualche locale, prendevo la mia chitarra e mi mettevo a suonare sotto il ponte vicino all’Isola Tiberina. Nella mia immaginazione, il Tevere si trasformava nel Mississippi, il fiume dei grandi bluesman come B.B. King».
I genitori in quegli anni gestivano una macelleria e a loro qualche anno fa Alex ha dedicato una canzone molto toccante, Mamma e papà, in cui ricorda come il padre allo stadio lo salvò da una rissa. «Era un Roma-Juve. Io ero molto piccolo e alla fine della partita ci furono degli scontri molto violenti tra i tifosi, ma grazie a lui non mi accadde nulla. Purtroppo ora non c’è più». Della madre, invece, la canzone rievoca i viaggi in auto verso il mare scanditi da lei che cantava le canzoni di Battisti e di De Gregori. «Non avevamo l’autoradio e così cantava lei che per fortuna sta ancora bene, tanto che spesso la porto ai miei concerti».
A questo proposito, facciamo notare ad Alex che alla sua esibizione di pochi minuti fa, tra il pubblico c’erano parecchi poliziotti. Prima degli attentati di Parigi non sarebbe stato così. «Mio nonno mi raccontava che andava spesso al Teatro Ambra Jovinelli di Roma a vedere Totò. Una sera rise talmente forte che Totò si bloccò e simpaticamente lo rimproverò dicendogli che così non poteva andare avanti. Fuori dal teatro c’era la Seconda guerra mondiale, ma dentro la gente rideva. E così dobbiamo fare oggi. La voglia di vivere deve essere più forte di tutto».