La storia di Helen Keller, la bambina sorda, muta e cieca che da piccola selvaggia senza regole e incapace di comunicare diventò, grazie all’intervento rieducativo di Anne Sullivan, un’affermata conferenziera in tutto il mondo e autrice di 11 libri, è noto grazie al suo romanzo autobiografico Storia della mia vita che ispirò il film di Arthur Penn Anna dei miracoli (1962) con Anne Bancroft. La versione teatrale di William Gibson è arrivata in Italia per la regia e l’adattamento di Emanuela Giordano. Fino al 22 maggio è in scena al Teatro Franco Parenti di Milano, un evento in collaborazione con la Lega del filo d’oro, l’associazione che si occupa delle persone sordocieche. Uno spettacolo di 80 minuti che volano in un attimo. In scena quattro personaggi: Helen, la straordinaria Anna Mallamaci, il padre e la madre, e Anna, l’educatrice chiamata dalla madre come ultima speranza prima che la figlia venga rinchiusa, per volere del padre, in un istituto per disabili. Helen è cresciuta senza regole, assecondata in ogni sua richiesta per paura delle sue reazioni: mangia con le mani dai piatti degli altri, è sporca, selvatica, urla e strepita per ottenere ciò che vuole. Ma ora che è nato un altro bambino, il padre non riesce più a tollerare la sua presenza in casa, mentre l’amore della madre è più viscerale, disperato, anche se totalmente impotente. Anna ha modi bruschi, mette subito i due genitori di fronte alle loro responsabilità, accampa una lunga esperienza con i bambini come Helen perché lei stessa, abbandonata alla nascita e cresciuta in un istituto, è stata ipovedente e ha riacquistato la vista solo dopo nove interventi. Malgrado qualche timido segnale che Helen possa stabilire un canale comunicativo, i genitori rimangono, loro sì, davvero ciechi di fronte all’evidenza: cioè che per fare di quella creatura rinchiusa nel buio e nel silenzio un essere umano, occorre rompere gli schemi, essere duri, insistere, saper dire dei no. E quello che loro vedono come una violenza è solo un grande atto di amore. L’ottusità del padre ci indigna, l’inanità della madre ci irrita, la fermezza di Anna (l’ottima Mascia Musy) ci cattura. E restiamo incollati alle dinamiche messe in scena fino al commovente momento finale, quando Helen finalmente si apre all’altro, e inizia quel lungo e meraviglioso percorso che fece della sua vita un miracolo.