di Massimiliano Padula*
L’Argentina è campione del mondo. Per la terza volta. Sconfigge la Francia ai rigori. Sono frasi che lasciano il tempo che trovano di fronte a qualcosa che è difficile commentare con i soliti criteri narrativi e giornalistici. Chi ha visto la partita ha vissuto qualcosa di trascendente, ossia uno spettacolo che oltrepassa gli schemi e gli schermi tradizionali e ingessati di uno sport che, dal 18 dicembre 2022, può riscoprire se stesso. Perché – come diceva Michel Platini – “il calcio non ha nessuna verità, nessuna legge”. È solo amore. Quello che miliardi di persone nel mondo hanno provato guardando e innamorandosi di Lionel Messi e di Kylian Mbappé che hanno giocato (quasi) da soli offrendo uno degli spettacoli più belli della storia calcistica e non solo. La finale è stato tanto, forse troppo. Tanti gol, azioni ed emozioni. Nessuno ne esce sconfitto se non sulla carta e per le regole incontrovertibili che lo sport impone. I sudamericani e i transalpini hanno vinto entrambi e la coppa dovrebbe essere divisa a metà. Sarebbe il giusto “happy end” di una sceneggiatura scritta da qualcuno più in alto. Non seduto sull’ultima fila della tribuna, ma ancora più su.
Come Diego Armando Maradona che sarà stato felicissimo di abdicare lo scettro di re del calcio cedendolo al capitano “albiceleste”. O come tutti i lavoratori scomparsi durante la costruzione dei meravigliosi stadi che hanno ospitato le 64 partite. A loro va il pensiero e il grazie per aver contribuito a realizzare un mondiale partito tra le polemiche, le richieste di boicottaggio e le proteste per i diritti violati. E che poi è continuato a suon di reti e di match avvincenti che hanno mascherato le oscurità anche con l’aiuto delle luci del lusso ostentato del Qatar. Ma i soldi non sono tutto e il calcio, al di là del business, resta ancora il gioco di tutti e per tutti. Lo spiegava Papa Francesco durante l’udienza ad un evento organizzato da La gazzetta dello sport nel maggio 2019 (e ribadito durante l’intervista a Mediaset andata in onda poco dopo la partita) quando ricordava ciò che don Bosco amava ripetere ai suoi educatori: “Volete i ragazzi? Buttate in aria un pallone e prima che tocchi terra vedrete quanti si saranno avvicinati!”. E aggiungeva (sottolineando come fosse solo l’opinione personale di un tifoso) che il calcio è lo sport più bello del mondo nonostante esistano fenomeni che macchiano la sua bellezza.
I calciatori francesi e argentini lo hanno dimostrato così come lo ho fatto Siniša Mihajlović sia in campo sia fuori, vivendo con dignità e coraggio la malattia che ha posto fine alla sua vita terrena proprio alla vigilia della finale. Perché il calcio non è solo panem et circenses, fisicità, agonismo, competizione, vittoria e sconfitta. Ma è molto di più. Lo spiegava anche l’allora Arcivescovo di Monaco e Frisinga Joseph Ratzinger commentando per una radio bavarese i mondiali del 1978 (giocati in Argentina e vinti dalla squadra di casa): “il calcio unisce in uno stesso stato d’animo le persone, attraverso speranze, paure, passioni e gioie”. E per questo “è una specie di ritorno a casa in Paradiso”.
*Sociologo, Pontificia Università lateranense