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sabato 12 ottobre 2024
 
 

Il mondo che rinasce dalle macerie

04/04/2011  Due anni fa, il 6 aprile, il sisma devastò L'Aquila. "Con il terremoto finisce una civiltà", dice Giuseppe Lupo, che ha dedicato un romanzo a un'altra tragedia, quella dell'Irpinia.

    Palmira non è mai comparsa sulle cartine geografiche, è arroccata sui monti lucani, ma per la topografia italiana in realtà è un paese invisibile. Il mondo fuori si accorge di Palmira solo quando, il 23 novembre 1980, viene distrutta dal terremoto dell'Irpinia. Il suo ricordo, allora, è affidato al lavoro paziente di un falegname del paese, Mastro Gerusalemme che, come incurante della distruzione e della morte intorno a sé, continua a scolpire nei mobili che crea la storia di Palmira, l'epopea della gente che l'ha popolata nei secoli. «La mia passione letteraria sono le geografie invisibili, i luoghi creati dall'immaginazione», spiega Giuseppe Lupo, docente di Letteratura italiana all'Università Cattolica di Milano e Brescia e scrittore, che nel suo nuovo romanzo, L'ultima sposa di Palmira (Marsilio), racconta il terribile terremoto dell'Irpinia tra storia e visionarietà, ambientandolo in un luogo molto simile ai paesi lucani eppure favolistico, Palmira. Due anni fa, il 6 aprile 2009, un altro terremoto devastante ha messo in ginocchio L'Aquila e l'Abruzzo, radendo al suolo paesi secolari e, con loro, una civiltà, un mondo, l'identità di una terra. «Dopo un terremoto niente è più come prima», dice Lupo. Che confessa: «La tragedia del 1980 a me ha cambiato la vita, ha segnato il mio destino».

Giuseppe Lupo, nel suo romanzo lei si mette nei panni di un'antropologa milanese trentenne. Come mai la scelta di calarsi in una protagonosta femminile?
«Per raccontare la storia di un mondo che muore era logico, e poetico, affidarlo alla voce di una donna, cioè colei che dà la vita. Devo dire che mi sono messo in gioco: calarsi nella psicologia femminile è più complicato. Questo personaggio nel corso del libro subisce una trasformazione: arriva in Irpinia con la sua razionalità scientifica di accademica, ma a contatto con la realtà di Palmira e con i racconti di Mastro Gerusalemme cambia, si evolve, fino ad arrivare all'amore e alla maternità, esperienze inizialmente negate».
Dopo la distruzione, dunque, si intravede la speranza?
«Sì, questo libro non vuole raccontare la morte di un mondo, parte dal day after, ma per testimoniare la continuazione della vita attraverso la memoria e la rinascita di un mondo».
Lei è di origine lucana e ha vissuto il terremoto in Irpinia in prima persona. Cosa ha rappresentato per la sua vita quell'esperienza?
«E' un avvenimento che ha segnato me stesso, la mia vita e i territori da cui provengo. Quel terremoto ha segnato la fine di una civiltà aprendone una nuova. Mi ricordo le persone che in quei giravano come intontite, frastornate, incapaci di muoversi, di reagire. Per la mia vita, poi, il sisma è stato determinante: allora avevo 17 anni, studiavo al liceo, ma fino a quell'evento non amavo affatto la lettura, i libri non mi interessavano. Proprio il terremoto mi ha fatto avvicinare ai libri, segnando poi il mio destino. Quando in quell'inverno 1980 io, liceale di un paese di provincia nel Meridione, mi sono ritrovato in mezzo a un mondo di morti e di distruzione, ho capito che i libri potevano diventare una compagnia, riempire la mia solitudine, aiutarmi a esorcizzare la morte. Da allora, ho preso in mano i libri, mi sono appassionato alla letteratura; da lì è scaturita la mia decisione di iscrivermi alla facolta di Lettere a Milano e ho scoperto la mia strada. Il terremoto ha deciso il mio destino. Da anni cercavo la maniera di raccontare quell'avvenimento, ma non sapevo come: c'era il pericolo di fare un'operazione nostalgica, oppure lugrubre. Poi ho trovato la chiave di lettura nella storia di un falegname in un paese immaginario, legato alle geografie invisibili cge ricorrono nei miei libri. Mi piaceva l'idea di un mestiere artigiano, di un uomo a contatto col legno, il materiale che più di altri accompagna la vita dell'uomo, dalla culla alla morte, che segna il destino umano. Le catastrofi naturali stimolano l'immaginario dell'uomo. Ma io non volevo raccontare il catastrofismo, mi interessava raccontare una storia sull'identità».
Il terremoto segna uno spartiacque tra due mondi. Può spiegare?
«Immaginiamo questi paesi che per secoli hanno dormito aggrappati ai monti e che, nel giro di pochi secondi, cambiano completamente faccia, fisionomia. Ma soprattutto il terremoto lascia una cicatrice nella carne di una terra, nella coscienza della gente. Distruggendo le case il sisma distrugge l'identità delle persone, perché la casa non è altro che il ritratto della coscienza di un uomo, la proiezione urbanistica della sua visione della vita e del mondo. Perdendo la casa l'uomo perde la sua identità. E dopo il terremoto il paesaggio è cambiato, tanti dispersi non sono stati mai più trovati, tantissime persone se ne sono andate via. Un mondo è finito e uno nuovo è nato dalle macerie».     
La tragedia dell'Irpinia ha ispirato una vasta bibliografia, la stesura di una grande quantità di libri.
«Raccontare ha una funzione di catarsi, è un modo per scaricare la paura e continuare a sentirsi vivi. C'era un detto che ricorreva in quel periodo subito dopo il sisma: l'importante è che si racconti, perché vuol dire che si è vivi. Il terremoto si può raccontare sotto forma di reportage, oppure in modo immaginario: Mastro Gerusalemme reinventa la realtà scrivendola sui mobili che intaglia; ma quello che lui racconta non è la storia, bensì una reinvenzione dei fatti. Che è poi quello che ho fatto io con il mio romanzo».
Mastro Gerusalemme: perché ha scelto questo nome per il suo personaggio?
«Mastro Gerusalemme è ispirato a un falegname reale, che fa parte dei miei ricordi di ragazzo. Palmira rappresenta il mondo mediterraneo, un incrocio di tante etnie e culture. E Gerusalemme è la città per eccellenza dove i mondi, le culture e le storie si incontrano».   

 
 
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