«La Chiesa e il popolo in Myanmar stanno soffrendo ed ecco ancora una volta il Natale si avvicina. Ripenso al Natale dello scorso anno vissuto nella paura e nel silenzio. Quante storie sono accadute in quel Natale e che non sono state mai raccontate, perché troppo pene di dolore. Perché ancora non crediamo siano vere». Suor Emi Soe delle Ancelle missionarie del Santissimo. Sacramento parla da Loikaw nello Stato birmano di Kayah, dove con le otto consorelle si occupa della Casa della pace che ospita una sessantina di orfane e bambine affidate loro dai genitori fuggiti nella foresta per gli attacchi dei militari, al potere dopo il colpo di Stato del febbraio 2021. Mentre la comunità cristiana si riunisce per le preghiere dell’Avvento, c’è chi ricorda la violenza, le persone bruciate, le grida «di un Natale straziante –dice suor Emi-. E non avevamo nemmeno un luogo dove piangere insieme, perchè le nostre chiese sono state distrutte. I bambini ci chiedevano “perché?” ma non avevo risposta, solo l’abbraccio nel silenzio. All’improvviso è arrivato l’ordine di fuggire verso i monti per salvarci la vita. Era la vigilia di Natale, quasi una fuga in Egitto anticipata per salvare i più piccoli e deboli». Molte persone hanno passato il Natale senza un rifugio, con le poche cose dentro a un sacco, e tanta paura di cosa sarebbe accaduto. «Nel buio della foresta si pregava Gesù di tornare a nascere tra noi. Nel silenzio, le preghiere si univano nel desiderio comune della pace».
Anche suor Ri Moe ha vissuto quei terribili momenti con la sua gente «Il 25 dicembre gli adulti hanno lasciato i bambini nella foresta e sono andati nel villaggio vicino per pregare insieme ma subito si sono uditi colpi di cannone nelle vicinanze e tutti si sono dispersi nuovamente. Nel cuore mi sono chiesta perchè eravamo colpiti mentre pregavamo? Non c’era il Natale per noi ma solo paura e dolore. Ho chiesto a Gesù dove fosse nato questa notte. Forse, mi sono detta, proprio in mezzo a noi». Il 26 dicembre anziani e bambini sono stati trasferiti nella parrocchia di Hoya, mentre continuavano i raid aerei su altri villaggi vicini come Richibu dove non c’erano più acqua e cibo sufficienti. E chi ha cercato di tornare a casa ha trovato davanti a sé, racconta suor Libel «case vuote, capanne bruciate, persone arse vive, famiglie disperse. Il terrore e il bisogno di sopravvivere trasforma anche gli amici in nemici. Si fuggiva da un luogo all’altro, lungo le strade la fila degli sfollati non finiva mai. Ma anche nel pericolo, tra divieti ed arresti sacerdoti e suore hanno cercato di raggiungere i più sofferenti. Anche io e le mie consorelle ci siamo unite per portare soccorso come e dove era possibile». Anche quest’anno, malgrado la pace sembri ancora lontana, si preparano pacchi con generi di prima necessità per i più bisognosi. Le suore si dedicano alle bambine che hanno tanto bisogno di speranza, di credere che nel loro futuro c’è un Paese pacificato e senza più violenza. E’ questa la luce del Natale che viene, in cui «le lacrime della nostra gente sono state asciugate, ed è stata dimenticata la sofferenza di essere privati della dignità – conclude suor Libel. Desideriamo soltanto di vivere nelle nostre case, di lavorare i nostri campi, e celebrare le nostre feste religiose».